Disponibile su Prime Video e Chili grazie a 102 Distribution Haunted Identity è l’opera più recente di Giuseppe Lo Conti (qui per il suo primo horror). A metà tra un thriller e un horror (anche se del secondo ha veramente pochi elementi) il film mette in scena una storia particolare, circondata da tante tematiche. A spiegarla è il regista.
Qualche domanda a Giuseppe Lo Conti per Haunted Identity
Innanzitutto com’è nata l’idea di questa storia? E com’è stato girare il film in un periodo come questo?
L’idea di questa storia nasce da lontano. La sceneggiatura l’ho scritta nel 2012 ed è stata la mia prima sceneggiatura. Poi l’ho “parcheggiata” in attesa di acquisire la giusta esperienza e creare la giusta regia. Negli anni ha subito parecchi cambiamenti durante le varie revisioni fino ad arrivare alla stesura finale. Purtroppo anche quella è cambiata ulteriormente in fase di ripresa, principalmente a causa delle restrizioni del Covid. Il film doveva, infatti, uscire ad agosto/settembre. Invece le riprese sono iniziate il 2 novembre e sono durate 18 giorni continuativamente. Abbiamo girato dal 2 al 20 novembre dovendo anche ovviare al problema del coprifuoco. Diciamo che è stata una produzione molto “alternativa”.
Nessun genere predefinito
Una cosa che mi ha colpito è che Haunted Identity non ha stereotipi di un determinato genere. Secondo me non si può definire un horror, né tantomeno un thriller, ma piuttosto una via di mezzo. Non ci sono le caratteristiche tipiche di un genere o dell’altro. Ma tutto è mescolato per far sì che ci siano continue sorprese e che lo spettatore non dia niente per scontato. Giuseppe Lo Conti come definirebbe il suo film?
In tanti, per “etichettare” il film si sono basati sulla mia carriera da filmmaker perché nasco come scrittore horror. La maggior parte delle mie opere, infatti, sono horror. Per questo penso che abbiamo aggiunto “horror” come genere di questo film sulla fiducia. Io personalmente l’ho pensato come un thriller travestito da horror. Poi è successo che con le varie restrizioni tante cose non le ho potute fare e tante scene non le ho potute realizzare (non sono state neanche girate). La maggior parte di esse erano legate all’horror. Togliendole, quindi, rimane un film che dovrebbe essere una sorta di thriller. Addirittura con gli attori, essendoci dedicati la prima settimana a girare tutte le scene che riguardavano la storia d’amore del film, avevamo pensato di cambiare il titolo in La villa. Perché parlavamo solo della storia d’amore e non c’era niente di horror e thriller. Io comunque continuo a dire che è un thriller.

Il rapporto tra Giuseppe Lo Conti e il cast di Haunted Identity
Avevi già lavorato con gli attori selezionati per il film?
No, con tutti era la prima volta. In generale era la prima volta che tutti conoscevano tutti. Anche questo è stato il bello della riuscita del progetto. Ci siamo ritrovati il 2 novembre senza conoscerci. Abbiamo legato durante le riprese: è stato un azzardo. Per i prossimi progetti penso che qualcuno lavorerà ancora con me. E poi un ringraziamento speciale a Daniele Ferrari che mi ha aiutato molto e ha aiutato anche il resto del cast perché aveva più esperienza.
Quello che secondo me è a tutti gli effetti un altro protagonista della vicenda è la villa. Nasconde, poi mostra e si presta molto bene alla storia che hai scritto. Come hai trovato il luogo e quanto ti ha influenzato?
Sì, la villa è una protagonista del film. Così doveva essere secondo la mia visione e in parte così è stato. Però c’è un aneddoto legato a questo luogo. Dovevamo iniziare le riprese il 2 novembre e questa villa l’ho recuperata il 1 novembre alle 16 del pomeriggio. Il lunedì prima mi ero sentito con il proprietario di un’altra location con il quale avevamo un accordo da mesi. E questi mi aveva comunicato che non era più disponibile. In una settimana, quindi, ho dovuto fare il lavoro di alcuni mesi. Anche perché non potevo prendere una casa qualunque. In extremis avrei potuto usare una casa che avevo a disposizione, ma non era una villa. E non poteva essere una protagonista. Alla fine, per fortuna, ho trovato questa villa di un amico che è stato molto disponibile. E sono molto contento perché la location si presta effettivamente molto bene.
Qualcosa in più sulla “quinta protagonista”
Sì, perché non è ben definita. Non si capisce com’è strutturata, anche perché molto grande. Nasconde e mostra ed è perfetta per il ruolo che doveva avere.
Questo è stato voluto. Ho voluto optare per questa scelta per non dare un’idea lineare della situazione. Alcuni, per questo, mi hanno accostato a un altro thriller italiano uscito su Prime Video La stanza (qui per vedere il trailer, qui per leggere la recensione e qui per leggere l’intervista al regista Stefano Lodovichi).
Anche la scena all’inizio, forse la più “horror” dell’intero film la mostra con un’accezione negativa. Poi dopo si scopre e riscopre. Già come primo impatto ci porta verso la direzione che hai detto.
E pensa che quella è stata l’unica scena, tra quelle horror che avevo previsto, che sono riuscito a fare.
Poi c’è da dire che il direttore della fotografia Simone Boccalatte ha fatto un ottimo lavoro con il 10% dei mezzi che avevamo. E anche lui, un po’ come la villa, l’ho ingaggiato due settimane prima dell’inizio del film.
Tornando un attimo agli attori volevo chiederti un’altra cosa. Anche se non ci sono riferimenti precisi che lo fanno capire, anche solo dal modo di parlare dei personaggi, si intuisce dove sia ambientato il film. Hai voluto mantenere di proposito un legame con il luogo dove vivi cercando attori del posto o è stato un qualcosa dettato dalla situazione d’emergenza?
Principalmente il film era stato pensato per l’Australia. Poi, per questioni burocratiche, ho dovuto rinunciare e tutto si sarebbe dovuto spostare a Torino. Ma ho dovuto rinunciare anche a questa alternativa per via dell’emergenza Covid. Per questo il film l’ho organizzato in Sicilia. Gli attori comunque sono gli stessi che hanno partecipato ai casting quando era previsto si dovesse girare a Torino. I soli attori con l’accento chiaramente siciliano sono stati “recuperati” per ovviare alle mancanze dovute al Covid.

Tante tematiche
In Haunted Identity Giuseppe Lo Conti ha affrontato tanti temi. Oltre all’horror ci sono la storia d’amore, il legame con la famiglia, l’amicizia. Anche questi sono nati per caso o avevi già in mente di mettere tutte queste tematiche all’interno del film?
La storia del triangolo amoroso si è rafforzata durante le riprese. Non doveva essere così evidente. Anzi all’inizio pensavo di aver esagerato. L’unica cosa che mi dispiace è che avendo dovuto tagliare alcune scene (che non ho neanche girato) è venuto a mancare un aspetto a cui tenevo: il tema del razzismo. Mi sarebbe piaciuto approfondirlo di più e invece si nota poco. Ed è un peccato perché è comunque un tema attuale e di cui c’è sempre bisogno di parlare. Però ho dovuto fare una scelta e purtroppo l’ho “sacrificato”.
Un’analisi del film
Si può dire, secondo te, che hai dato, in qualche modo e in alcuni precisi momenti più “riflessivi”, più spazio alla tecnica rispetto alla storia in sé? Nel senso che a volte io ho notato un’attenzione particolare all’inquadratura, alla messa in scena a determinate scelte stilistiche che attiravano l’attenzione quasi di più rispetto all’azione.
Sicuramente c’è stato un lavoro extra sulla scelta delle riprese, la luce e la scenografia. Considerando la situazione di emergenza in cui eravamo (e tutt’ora siamo) abbiamo dovuto tagliare molto per quanto riguardava le riprese. E una scelta stilistica che non facesse notare queste mancanze era da scegliere minuziosamente. Tre quarti delle scene d’azione horror sono state definitivamente tagliate in fase di ripresa, quindi ogni giorno era come se dovessi scrivere un nuovo film mantenendo la linea del giorno prima. Con la giusta attenzione nel collocare la cinepresa e le luci siamo riusciti a creare qualcosa di unico in un periodo storico “alternativo”.
Un’altra cosa che mi ha colpito è che non hai dato troppe spiegazioni, più che altro sul finire. Cioè alla fine lasci aperte molte “porte”, permettendo allo spettatore di immaginare un qualcosa piuttosto che sbrogliare le matasse. Pensi che ci sia una “spiegazione” universale alla storia che hai raccontato?
Ci sono alcune scene nelle quali si spiega la storia nella sua complessità, però riusciamo a spiegarla senza spiegarla. Cioè la spieghiamo senza togliere allo spettatore la facoltà di immaginare cosa potrebbe accadere. Potrebbero esserci varie spiegazioni ma la cosa che più mi fa piacere è il fatto che, parlando con tre persone diverse, mi sono state date tre spiegazioni diverse sul finale. E tutte e tre plausibili e questo mi fa capire di non aver creato qualcosa di troppo definito, ma una storia che lascia varie “spiegazioni”. Chissà, magari tra qualche mese spiegherò quella esatta… (ride, ndr)

Alcune “curiosità”
Come mai la scelta di questo titolo? Da cosa deriva? Da una ricerca di universalizzazione?
Il titolo è stato difficile da collocare perché in realtà volevo mettere un titolo italiano. Avevo alcune opzioni, ma nessuna avrebbe rispecchiato il focus del film. Poi ho pensato a questo titolo che è sempre rimasto questo. Ho provato ad accostarlo a un altro sottotitolo italiano per definire meglio il tutto e tornare alla mia idea di partenza. Alla fine, però, ha prevalso l’idea di non complicarsi la vita viste tutte le altre vicissitudini del film.
Tornando un attimo a parlare di attori in Haunted Identity c’è anche un “cameo” di Giuseppe Lo Conti. Com’è stato essere dall’altra parte della macchina da presa? Era previsto questo tuo ruolo?
Il mio cameo non è stato né voluto e né pensato. Il giorno in cui erano fissate le riprese del personaggio del dottore, l’attore in questione mi disse che non si sarebbe presentato, molto probabilmente a causa della situazione covid. Così abbiamo cercato varie soluzioni, ma l’unica attuabile senza stravolgere ancora di più il piano lavorativo era quella di mettermi personalmente di fronte la videocamera. Ovviamente non mi sono trovato a mio agio. Io sono abituato a dire agli attori cosa fare e come farlo, quindi dover essere io stesso ad immedesimarmi per dare le giuste emozioni è stato molto difficile. Se poi pensi che non mi ero nemmeno preparato puoi immagare… Infatti ho dovuto rimandare le riprese di una scena per l’intera giornata per riuscire ad immedesimarmi!!! Però è stata una nuova esperienza comunque interessante e chissà, magari potrò rifarla (programmandola prima) nel nuovo film.
Una corsa verso i David di Donatello
Complimenti perché nonostante tutte le vicissitudini che hai raccontato il film è in corsa per il David.
Siamo in lista per un posto in una delle 22 categorie. Praticamente siamo in concorso per ricevere una candidatura. E considerando, appunto, tutto quello che è successo per fare il film direi che è un onore anche solo concorrere ai David di Donatello.
Come hai reagito alla notizia? Anche perché già un’altra volta, con il tuo cortometraggio Un mese eri arrivato allo stesso attuale traguardo.
La notizia l’ho resa pubblica solo 3 giorni dopo perché all’inizio non ci credevo. E con il cortometraggio Un mese ero arrivato ai David, ma non ero stato selezionato. Diciamo che avevo bussato alla porta, vediamo se questa volta riesco ad aprire la porta.

Una predilezione per l’horror
Visti i tuoi lavori si può dire che hai una passione e predilezione per l’horror?
Direi di sì, assolutamente. I film che guardo io sono sostanzialmente horror o al massimo thriller.
Cosa pensi dell’horror (e thriller) italiano?
Si dice spesso che il cinema italiano stenta a ripartire. Ma, secondo me, il problema in generale non è dovuto al cinema o a chi fa i film. È dovuto alla mancanza di fiducia verso chi osa creando qualcosa di innovativo. Cioè in Italia si cerca sempre di creare qualcosa per essere “vendibile” anche se senza innovazioni. Negli ultimi anni penso che l’horror e il thriller italiano siano tornati alla ribalta solo grazie a registi e produzioni “indipendenti” che osano nel creare opere stupende magari con poco budget, ma sicuramente con tanta voglia e determinazione. Basti pensare al Caleb di Roberto D’Antona, The Nest di Roberto De Feo (qui per vedere il trailer, qui per leggere la recensione, qui per leggere l’intervista al regista e qui per leggere l’intervista agli sceneggiatori). Due grandi film che meritano ancora di più di quello che stanno ottenendo. Quella è la linea da seguire se vogliamo vedere il cinema italiano finalmente al posto che merita.
Le ispirazioni di Giuseppe Lo Conti per Haunted Identity (e non solo)
Quali sono i tuoi autori preferiti in generale?
Il mio autore preferito, con il quale ho iniziato a scrivere thriller, è sicuramente Tim Burton. E, se dovessi stilare una mia classifica personale, nei primi tre ci sarebbero Tim Burton appunto, James Wan e Christopher Nolan.
Sei stato influenzato per Haunted Identity da qualcuno o da qualcosa? Quanto e in cosa pensi sia cambiato il tuo modo di fare film rispetto agli inizi?
Influenzato direi di no. Ho scritto la sceneggiatura nel 2012 e man mano che leggevo toglievo e aggiungevo qualcosa. Da qualche anno sono influenzato dai film psicologici. E forse il finale è stato influenzato da quello, ma per il resto direi di no. Quanto al resto la mia idea di regia inevitabilmente si modifica man mano che creo dei nuovi progetti o ne vedo altri in giro. Ovviamente cambia sempre in base a quelle che sono le mie idee e le mie visioni di una storia. All’inizio mi piaceva scrivere storie horror in stile Sinister o Insidious. Adesso, invece, prediligo di più cimentarmi in quelli che sono i meandri della psiche umana. Cercando di far risaltare il lato oscuro che si cela dentro ognuno di noi. Magari prima o poi scriverò un action movie, mi piacerebbe. Per il momento, però, almeno per ancora 3 o 4 film, continuerò sulla mia linea.
Qui per il trailer del film
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli