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Joaquin Jordá, il padre del documentario spagnolo moderno

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Joaquin Jordá è stato il teorico della Scuola di Barcellona ed è riconosciuto come il padre del documentario spagnolo moderno. Eppure, in Italia la sua figura è pressoché sconosciuta, se non per una recente retrospettiva del Torino Film Festival, compiuta dopo la sua morte, che ne ha in qualche maniera salvata la memoria dall’oblio. Se i riferimenti alla sua carriera di documentarista sono praticamente nulli, anche le tracce della sua appartenenza alla Scuola di Barcellona si limitano alla citazione generica ed evasiva. Ma proprio a Jordá si devono le teorizzazioni programmatiche della Scuola e anche la famosa frase “Se non possiamo fare Hugo, faremo Mallarmé!”, che bene al di là del motto di spirito ha significato due cose ben precise: da un alto, la polemica nei confronti del realismo sociale del cinema madrileno, compromesso con l’Amministrazione, e dall’altro il principio di poetica della Scuola verso un cinema intellettuale, ermetico, formalista, deliberatamente difficile, che non potendo essere compreso dal regime finisse per scavalcare i limiti della censura. E un cinema essenzialmente anarchico, prossimo alle idee radicali di Jordá in tema di ideologia politica. Inoltre, il suo contributo alla Scuola, anche dal punto di vista della realizzazione materiale, non è stato affatto minoritario, avendo scritto e diretto (fornendo un contributo assai più rilevante di quello che retrospettivamente gli viene riconosciuto dalla critica) con l’amico Jacinto Esteva il manifesto della stessa Scuola, Dante non es únicamente severo. Scrive Livio Marchese, qui e oltre: “Per Jordá il cinema non è mai stato un fine. Credo siano davvero pochi i registi della storia del cinema più recente così alieni da ambizioni puramente estetiche. Jordá ha sempre avuto una concezione “sana” della macchina da presa e ha inteso il cinema – e l’arte in generale – come mezzo per produrre comunicazione, come una forma di lotta, di resistenza. Come un’ipotesi – a volte l’unica possibile – di intervento sulla società, allo scopo di metterne in luce le contraddizioni più esplicite, ma anche le pieghe più recondite e dolorose (…) Jordá ha saputo comprendere criticamente i mutamenti che hanno travolto la società ed è riuscito a mantenere una percezione talmente consapevole, lucida e disincantata dei contesti nei quali si è trovato ad agire, da essere stato sempre in grado di valutare e quindi di scegliere, secondo le circostanze, le modalità di intervento più opportune. All’occorrenza, riconvertendo generosamente e umilmente il proprio talento e la propria creatività in esperienze che le cronache ufficiali non riportano, ma che sono ugualmente importanti per capire l’uomo”.

Nel 1951 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza; l’anno seguente abbandona l’università e inizia a militare clandestinamente nel PSUC (Pardido Socialista Unificado de Catalunya), ramo catalano del Partito Comunista spagnolo. Nel 1956 si sposa e si trasferisce a Madrid con l’intenzione di studiare cinema. Quattro anni dopo gira il suo primo cortometraggio, Día de los muertos(1960), in collaborazione con Juliàn Marcos, definito dalla censura “una pellicola nauseabonda”, al punto che l’intera sequenza in cui appaiono le tombe dei grandi esponenti della sinistra spagnola che risposano nel “Cementerio Civil” di Madrid verrà tagliata. Si tratta di una cronaca dei festeggiamenti per la festa dei morti, il primo novembre; il film segue, dall’alba al tramonto, i vari rituali che si svolgono in questa giornata al cimitero. A questo inizio di assoluta contestazione morale al regime, seguono gli anni della Scuola di Barcellona e della collaborazione con Esteva; ma successivamente, dopo il fallimento di vari progetti, tra cui l’adattamento di Un lloc entre els morts della scrittrice Maria Aurèlia Capmany, con cui realizza un documentario introduttivo intitolato María Aurèlia Capmany parla de «Un lloc entre els morts» (1969), costituito da 6 piani sequenza di 10 minuti cadauno, si trasferisce in Italia e, per 4 anni, si dedica al cinema militante e alla politica attiva lavorando anche per il PCI,  e si avvicina ai gruppi più radicali dell’estrema sinistra montando e realizzando, con l’amico poeta (e cineasta squisitamente isolato) Gianni Toti, una serie di documentari militanti, fortemente spregiudicati e antifascisti (tra cui Lenin vivo e Portogallo paese tranquillo, nel 1969, e Spezziamo le catene, nel 1971).

Poco prima della caduta del regime, Jordá rientra in Spagna e decide di abbandonare il cinema in favore di un impegno più strettamente politico, seguitando anche nel suo mestiere di traduttore. Nel 1980 torna dietro la macchina da presa per il documentario Numax presenta…, sull’esperienza di autogestione di una fabbrica di ventilatori della capitale catalana. “Nel 1977, a Barcellona, i lavoratori della Numax, per protesta contro i licenziamenti in fabbrica, assumono essi stessi il controllo e la gestione dei mezzi di produzione. Dopo più di un anno, presa coscienza di alcuni ostacoli insormontabili – stanchezza, concorrenza, boicottaggio – decidono di utilizzare il fondo-cassa residuo per produrre un’opera che testimoni le fasi finali di quell’esperienza. Jordá, contattato dall’assemblea della fabbrica, propone un documentario”. Il risultato è un documentario militante di notevolissimo rigore che Jordá contamina con inserti del cinema di finzione “che mostrano in una cornice circense i grotteschi colloqui fra i padroni dell’azienda. Per quanto riguarda i contenuti, il film si rivela come il documento audio-visivo che chiude idealmente un’epoca, rappresentando la fine delle lotte operaie e la morte delle ideologie”.

Nel 1983 si trasferisce nuovamente a Madrid e diventa famoso come sceneggiatore lavorando soprattutto per l’amico Vicente Aranda. Durante i primi anni ’90 alterna l’attività di sceneggiatore a Madrid con quella di insegnante all’università Pompeu Fabra di Barcellona. Dopo Encargo del cazador (1990), dedicato all’amico scomparso Jacinto Esteva, film inclassificabile e appassionante per come si addentra nella vita del grande cineasta, amico intimo di Jordá in un periodo molto importante della sua vita, nel 1996 il regista gira un lungometraggio a soggetto, Un cos al bosc, storia di un’indagine di polizia in seguito al ritrovamento di un cadavere in un bosco da parte dei cacciatori locali. L’ispettore di polizia è una donna che si trova a lavorare in un piccolo paese conservatore della Catalogna, e la sua inchiesta la condurrà a scoprire il lato oscuro della comunità, fatto di razzismo e odio. Il film, che è una sorta di Scene di caccia in Catalogna, si astiene da ogni giudizio e dipinge un affresco entomologico di una piccola città catalana, senza nessun messaggio edificante e senza tesi di conciliazione.

Nel 1997, Jordá è colpito da un infarto cerebrale. Uscito dal coma, resta vittima di una grave forma di alessia e agnosia. Invece di ripiegarsi su se stesso, il regista sfrutta il ricovero in un centro psichiatrico per realizzare Monos como Becky (1999), uno spietato film-saggio contro la pazzia intesa come uno dei tanti mezzi di controllo prodotti dalla società per l’irreggimentazione di quegli individui i cui comportamenti appaiono difficilmente gestibili e potenzialmente eversivi. “L’idea originaria era quella di realizzare un film sulla sinistra figura di Egas Moniz, neurologo-macellaio portoghese, promotore della lobotomia, che nel ’49 ottenne paradossalmente il premio Nobel per la medicina. Durante il ricovero, Jordá si imbatte in un ex-attore di teatro, anch’egli, in passato, lobotomizzato. L’incontro con questo sostenitore della funzione catartica dell’arte lo convince ad accantonare il progetto iniziale per mettere in scena, con gli stessi pazienti del centro psichiatrico, una recita che si conclude con l’uccisione di Moniz. In Monos como Becky la commistione linguistica è molto evidente e la struttura dell’opera, particolarmente complessa ed elaborata, si avvale dei materiali più svariati. Dalle interviste a medici e sociologi che intervengono sulla figura storica di Moniz, a quelle ai parenti del neurologo, a inserti di cinegiornali d’epoca, all’intervento chirurgico al quale viene sottoposto lo stesso Jordá, al making of della recita, alla recita vera e propria, fino alle riprese dei pazienti che, in una sala di proiezione, assistono divertiti alla loro stessa performance. Monos como Beckydiventa, in ultima istanza, un’operazione di cine-terapia. Nel finale, gli stessi pazienti riconoscono di aver ricevuto più benefici dall’esperienza di solidarietà e di lavoro collettivo condotta insieme a Jordá piuttosto che dalla cure mediche istituzionali”. Il film è in realtà una sorta di docudrama sulla vicenda del professore, ancora una volta impiegando nel montaggio la tecnica consueta della frammentazione tra documentario e finzione, così che alle sequenze dei malati (che provengono dai luoghi di ricovero della zona del Maresme) si alternano le vicende personali e di anamnesi esistenziale dell’attore Joao Maria Pinto, che fu lobotomizzato dopo essere stato internato. L’opera ha un valore testimoniale enorme, soprattutto perché riesce ad essere un’analisi umanamente partecipata – che dunque impiega la macchina da presa non come fine ma come strumento di lotta e di resistenza, a testimonianza del rapporto tra la vita reale e la sua mimesi cinematografica.

De nens (2003), nasce da un caso giudiziario – il caso Raval – che sconvolse l’opinione pubblica del Barrio Chino di Barcellona (il quartiere del sesso e della trasgressione) nell’estate del ’97. “Attorno ad un processo per pedofilia, Jordá, utilizzando i formati più svariati – DVCam, Betacam, Digital, MiniDV –, costruisce una radiografia indignata e impietosa del sistema giudiziario, del connubio fra politica, speculazione edilizia e stampa e del ruolo di quest’ultima all’interno della vicenda, oscillante fra superficialità dell’informazione ed esplicita manipolazione dell’opinione pubblica, rea anch’essa di eccessiva ingenuità, ipocrisia e malafede”. Cinematograficamente, l’opera è disordinata a causa del troppo netto contrasto tra le immagini rubate in DV e le compiaciute sequenze autoriali, ma certamente è un documento unico preziosissimo sulla morale della nuova Spagna e sui meccanismi di endemica corruzione che tessono la società dell’immagine come luogo esclusivo della finzione. “Nel 2004, dopo un quarto di secolo, Jordá rintraccia i partecipanti alla festa di chiusura della fabbrica, che aveva intervistato nel finale di Numax presenta…, e li fa incontrare e confrontare per valutare assieme se le aspettative, le speranze e le previsioni che avevano espresso anni addietro hanno poi trovato riscontro nella realtà. Ne viene fuori Veinte años no es nada, il ritratto di una generazione che porta sulla propria pelle le ferite della Storia, che ha vissuto entusiasticamente quella stagione irripetibile nella quale si credeva di poter cambiare il mondo, per poi assistere al crollo degli ideali, all’affermazione della politica-spettacolo, alla necessità di ripensare e ridisegnare il proprio ruolo all’interno della società. Tutti, comunque, si dichiarano concordi nel riconoscere l’immenso valore che l’esperienza della Numax – e del relativo film – ha esercitato sulla propria formazione”. E ancora: “La cinepresa del catalano si dimostra quindi un mezzo “aggregante”, promotore di socialità, di solidarietà. Egli stesso compare spesso nei suoi film, infrangendo in tal modo una delle regole canoniche del cinema documentario, secondo la quale il regista non dovrebbe figurare all’interno dell’inquadratura. Se Jordá contravviene a questa norma, non è per eccesso di protagonismo, ma perché egli in fin dei conti non è altro che un membro del gruppo che sta davanti alla cinepresa. Questa “etica della solidarietà”, questa intima adesione all’esistenza della comunità che si propone di filmare è il basso continuo che ha costantemente accompagnato la vita e l’arte del “cineasta-cittadino”.

A metà del 2005, terminate le riprese di Literaturas de l’exili, sulle strade che percorsero gli intellettuali catalani, in seguito all’abbandono della Catalogna causato dalla guerra civile, e le tracce che lasciarono in Messico, Francia e Cile, gli viene diagnosticato un tumore; ma Jordá non si scoraggia e continua a lavorare portando a termine due piccoli incarichi: Ictuse Descontrol urbano, doppio documentario sulle abitazioni di una famiglia gitana e di un ex legionario, nel distretto barcellonese di San Martì, realizzato per l’esposizione La città in fiore; il film dura sette minuti e viene proiettato simultaneamente su due schermi. L’ultimo film di Jordá radicalizza la struttura di  Monos como Becky. “Aggravatosi a causa di un tumore, Jordá rintraccia, incontra e mette in contatto alcune persone affette dai suoi stessi disturbi. Más allá del espejo(2006) aggira abilmente la trappola del patetismo e si mostra invece un ritratto umanissimo, a volte umoristico e surreale, di un gruppo di persone che non si arrendono e che trovano nel sostegno reciproco la forza per resistere. Ma è anche l’opera di un cineasta che non si è ancora stancato di sperimentare sul linguaggio audiovisivo e di riflettere sulla funzione sociale del cinema”.

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