Destinato a far parlare di se prima ancora di essere visto The Dissident di Bryan Fogel non smentisce la sua fama e alla pari del suo protagonista si ritrova dissidente, costretto a restare fuori dalla sua terra d’elezione se è vero che sia Netflix che Prime Video le due piattaforme più importanti del pianeta hanno rinunciato a programmarne le visione per paura (così si dice) di dispiacere i potenti della terra.
Non nuova a operazioni del genere per fortuna ci ha pensato MioCinema ad acquistarne i diritti per distribuirlo in esclusiva a partire dal 12 febbraio. Il motivo di questa anomalia e’ in parte da attribuire alle stesse ragioni per cui davanti all’evidenza delle prove dell’assassinio di Jamal Khashoggi, avvenuto nel 2018 all’interno del consolato saudita a Istanbul, nessuna nazione ha pensato di schierarsi apertamente contro le istituzioni del paese arabo, preferendo voltarsi dall’altra parte piuttosto che fare i conti con l’ipotesi più che provabile e cioè che quello di Khashoggi è stato un omicidio di stato, volto a eliminare non solo uno degli oppositori del regime più in vista di altri ma anche colui che un tempo era stato parte integrante del sistema e dunque a conoscenza della politica di quel governo fino al momento in cui non ha deciso di tagliarsene fuori trasferendosi negli Stati Uniti.
Se il cuore del documentario è costituito dalle ultime immagini di Khashoggi, ripreso dalle telecamere a circuito chiuso mentre entra nel comprensorio diplomatico lasciando la fidanzata ad attenderlo di fronte all’edificio, The Dissident amplia il discorso relativo alla scena del delitto con una ricostruzione dei fatti volta a delineare tanto i motivi del conflitto tra le parti, quanto le conseguenze generate nel mondo politico e diplomatico internazionale dall’evidenza dei fatti, e cioè dalle accuse nei confronti dei mandanti.
Boyle non si limita a svuotare il potere della sua ambigua fascinazione al fine di mostrane il suo vero volto – come si evince dalla sovrapposizione tra l’immagine distesa e sorridente del principe Mohamed bin Salmane e le parole della voce narrante che ci informa delle nefandezze compiute dai suoi presunti emissari.
In un continuo confronto tra personalità opposte il montaggio di The Dissident costruisce infatti una sorta di storia alternativa in cui la vittima anche da morto, attraverso la testimonianza del suo vissuto, non smette di interrogare i carnefici sull’iniquità dei loro misfatti, tratteggiando un quadro generale impermeabile a qualsiasi tentativo di manipolazione.
In effetti l’importanza della posta in gioco e di quella dei temi che da essa scaturiscono non deve far dimenticare l’efficacia del dispositivo allestito dall’autore. In questo senso a venirci in aiuto nel ragionamento e’ il paragone con le sequenze della morte del presidente John Fitzgerald Kennedy filmate da Abraham Zapruder in occasione del tragico attentato.
Come il Zapruder Film anche quello relativo alla scomparsa di Khashoggi assume le forma di un lungometraggio, con inizio, sviluppo e fine frutto di un montaggio di scene girate ex novo e/o tratte da filmati d’archivio che nel loro insieme forniscono alle immagini degli ultimi istanti di vita del protagonista un’aggiunta di significati senza scalfire di un millimetro quella resilienza di cui parla Nicolò Gallo in Framing Death (edito da Bonomia University Press) a proposito dell’omicidio del Presidente americano. Come quelli, di Zapruder anche i fotogrammi di The Dissident sono sottoposti a destabilizzazioni di segno opposto, a secondo del punto di vista di chi li osserva. e ciononostante riescono a non far venire meno l’oggettività di una perdita ancora in cerca di un colpevole. In tal senso The Dissident offre allo spettatore l’opportunità di farsi un’idea che lascia pochi dubbi al reale svolgimento dei fatti e al perché del loro verificarsi. La conoscenza va di pari passo con l’incredulità su come neanche la morte sia più materia di scandalo.
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The Dissident: il documentario su Jamal Kashoggi