Qualche anno fa mi recai a Cuba in occasione del Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano che si tiene all’Avana ogni inizio dicembre. Una cosa che mi colpì particolarmente appena arrivato fu la conversazione avuta col tassista che mi portava in città. Sapeva che ero italiano ma non mi chiese né di Berlusconi né di Del Piero, non parlammo né di politica né di calcio. Fu il cinema l’argomento appassionato della nostra conversazione. Non gli avevo detto i motivi del mio viaggio ma, vista l’imminenza del festival, pensai che avesse tirato ad indovinare. In realtà la soluzione stava nell’indirizzo che gli avevo fornito. Ecco una breve storia del cinema cubano.
Mi spiegò che in quel complesso residenziale di alti palazzi abitavano, col sostegno e per volere della Repubblica Socialista, tra le personalità più considerate del cinema e dei media. Una volta entrato in casa del regista che mi ospitava non mi feci tuttavia l’idea di una casta di privilegiati. Erano appartamenti molto modesti con servizi forse poco superiori allo standard. L’idea che mi feci fu che forse a quel regime facesse comodo tenere tutti gli intellettuali in uno stesso luogo. Da visitatore non ti rendi ben conto delle limitazioni democratiche e civili che una rivoluzione permanente porta come effetto collaterale nel percorso verso l’utopia egualitaria. Mi fu chiaro però da subito e nei giorni a seguire, che quel paese tiene in grande considerazione la cultura, l’arte e credo il cinema in particolare. Ora più che un tempo.
Gli esordi del cinema cubano
Il cinema a Cuba fu portato per la prima volta da Gabriel Veyre, rappresentante di casa Lumière in tour nelle Americhe. Era il 1897 e l’annuncio pubblicitario invitava a venire al Parque Central all’Avana “per una mostra speciale dove puoi vedere bellissime vedute in movimento”. Erano le immagini di accadimenti dell’epoca come la venuta dello Zar a Parigi, una tempesta marina, una parata di corazzieri. L’entusiasmo del pubblico rasentò il delirio. Nella stessa piazza, al Teatro Tacón, si esibiva in uno dei migliori spettacoli dell’epoca l’attrice spagnola María Tubau.
Questa conobbe Gabriel Veyre e lo volle invitare ad assistere a un’esercitazione dei vigili del fuoco, passatempo molto comune tra gli habaneros dell’epoca. Veyre portò con sé la macchina da presa. Fu così che nacque la prima pellicola girata a Cuba, un documentario di un minuto che mostrava una simulazione d’intervento in una caserma dei pompieri. Era il 7 Febbraio 1897. Qualche giorno dopo la Edison House installa all’Avana il suo Vitascope. Il fronte della Storia mondiale del Cinema avanza veloce in quegli anni e Cuba vi si ritrova dunque in prima linea.
Il primo film di finzione girato da un cubano, l’attore José Casasús, è La sparizione del Mago (1898) che usava la tecnica del fermo macchina sperimentata da Méliès per strabiliare il pubblico della neonata arte cinematografica.
La nascita stentata di un’industria
La prima casa di distribuzione e produzione di películas fu la Compañía Cinematográfica Habanera, fondata nel 1905 da Pablo Santos e Jesús Artigas, gli stessi che, nel 1912, pubblicano “Cuba cinematográfica”, la prima rivista interamente dedicata al cinema. Nel 1910 erano già oltre duecento le sale cinematografiche nell’isola.
Il più significativo cineasta cubano dell’epoca del muto è Enrique Díaz Quesada che ottiene diversi primati: quello dell’uso dei movimenti di macchina nel corto El parque de Palatino (1906); quello del primo cortometraggio a soggetto (Un duelo a orillas del Almenderas, 1907); quello del primo lungometraggio (Manuel García, rey de los campos de Cuba, 1913) e addirittura quello del primo serial (El genio del mal, 10 episodi, 1920).
Dopo il fallimento della Compañía Cinematográfica Habanera un altro tentativo di rendere stabile la produzione cinematografica cubana viene fatto con la BPP Pictures fondata nel 1929, tra gli altri, da Ramón Peón, regista con una lunga filmografia che va dal 1920 al 1960. Suo è La Virgen de la Caridad (1930) unico lungometraggio muto sopravvissuto integralmente.
Il sonoro
In un mercato già monopolizzato da Hollywood, la nascita del sonoro e la conseguente supremazia statunitense nella distribuzione di film in lingua spagnola prodotti altrove, ostacolò l’avvento di una vera e propria produzione nazionale stabile. Il numero dei lungometraggi a soggetto che fino al 1927 era stato di sei film l’anno, si ridusse a due, senza risalire, fino alla fine degli anni ’30.
Tra le opere di rilievo di quest’epoca del cinema cubano sono da annoverare Maracas y Bongo (1932) diretto da Max Tosquella e prodotto da BPP Picture, primo cortometaggio a soggetto completamente sonoro; La serpente roja (1937) di Ernesto Caparrós, primo lungomentraggio sonoro; Napoleón, el faraón de los sinsabores (1937) di Manuel Alonso, primo lungometraggio sonoro di animazione.
Dalla seconda guerra mondiale alla fine della dittatura
Lo stesso Alonso lancia nel ’40 e nel ’42 La noticia del día e Noticiario nacional, film periodici d’informazione che seguono l’esperienza del Noticiero periodico hoy voluto dal Partido Socialista Popular che realizza anche i pregevoli documentari Azúcar amargo (1938) e La lucha del pueblo cubano contra el nazismo (1940) con i quali porta la lotta di classe sullo schermo.
Con la guerra tuttavia la produzione annua di pellicole viene nuovamente quasi azzerata. È ancora una volta Alonso a risollevare le sorti del cinema cubano, quando il governo gli affida la direzione dei nuovi Estudios Nacionales: per tutti gli anni ’50 si poterono così girare una media di cinque film l’anno. In quegli anni si sviluppa anche una cinematografia indipendente ad opera di attivisti anti Batista che presto prenderà la forma di vero e proprio cinema della rivoluzione. Alcuni autori sono fortemente influenzati dal neorealismo italiano: Cesare Zavattini diventa una specie di nume tutelare per costoro e lo stesso Zavattini si recherà più volte a Cuba per collaborare ai loro progetti. Come quello di Tomás Gutiérrez Alea e Julio García Espinosa che con El mégano (1955) portano sullo schermo la condizione delle masse diseredate, e avranno un ruolo primario nel cinema dell’avvenire post Batista.
La rivoluzione e la nascita dell’ICAIC
A soli due mesi dall’insediamento del governo rivoluzionario, nel marzo 1959 viene fondato l’Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos (ICAIC) affidato ad Alfredo Guevara che lo condurrà per diversi decenni e che sarà, nel 1979, tra i fondatori del Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano. In un clima di grande fervore culturale l’istituto, oltre a promuovere la produzione casalinga, si fa partner in diverse coproduzioni internazionali. Nel mondo spaccato in due della guerra fredda e nel cappio economico dei vicini Stati Uniti, anche nel cinema l’Unione Sovietica ha un ruolo di grande rilievo. Soy Cuba (1964), di Michail Kalatazov, rimane la perla più pregiata della collaborazione tra i due paesi comunisti.
Soy Cuba (1964), di Michail Kalatazov
Un cinema maturo
Gli anni ’60 sono considerati gli anni d’oro del cinema cubano. I film cubani cominciano a conquistarsi un posto nella cinematografia mondiale. Ne ricordiamo due di Tomás Gutiérrez Alea, La muerte de un burócrata (1966) e Memorias del subdesarollo (1968), e due di Humberto Solás Borrego, Manuela (1966) e Lucía (1968). Quest’ultimo è forse il film più emblematico della cinematografia cubana dell’epoca. Assai degno di nota anche il documentario corto di Santiago Àlvarez Now! (1965) che, mostrando episodi di violenze razziali negli Stati uniti col sottofondo continuo di una canzone, è considerato il primo videoclip della storia.
I temi sono quelli di un cinema maturo, che pone spunti di autocritica sociale, come il ruolo negativo della burocrazia nel processo rivoluzionario o il machismo imperante nella società cubana. Autocritica resa possibile, in un contesto di democrazia assente, grazie alla larga autonomia sancita per statuto e che ha permesso all’ICAIC di superare senza censure il periodo noto come quinquennio grigio (1971-1976). Sono gli anni in cui tutta la produzione culturale cubana subisce un forte condizionamento in nome del realismo socialista.
Un cinema diversificato e profondo
Gli anni ottanta vedono da un lato un cinema che approfondisce, nei temi, l’indagine sulla società cubana in perenne trasformazione, dall’altro l’affiancamento di una narrazione più propensa alla commedia e all’autoironia.
Il decennio vede anche la nascita di un vero fiore all’occhiello dell’istituto: la Escuela Internacional de Cine y TV di San Antonio de Los Baños, fondata da Gabriel García Márquez, Julio García Espinosa, Tomás Gutiérrez Alea e Fernando Birri. Tutti e quattro erano stati studenti della Scuola Nazionale di Cinema di Cinecittà a Roma.
Dello stesso periodo sono il pluripremiato Clandestinos (1987) di Fernando Péreze un lungometraggio di animazione destinato a rimanere un cult, specie tra i giovani di quell’epoca e di quelle successive: ¡Vampiros en La Habana! (1985) di Juan Padrón, una coproduzione Cuba-Spagna-Germania(DDR).
Francobollo commemorativo per i 50 anni dell’ICAIC
La fine dell’URSS
Negli anni ’90 la fine dell’esperienza sovietica rischia di trascinare nel fallimento non solo l’ICAIC ma la stessa Repubblica socialista la cui economia, soffocata dall’embargo internazionale, dipende in larga parte dal gigante russo. Dal 1959 al 1990 l’ICAIC, unica realtà produttiva del paese, ha prodotto 161 film, 1082 documentari, 262 cartoons, 1490 notiziari. Adesso il cinema cubano chiude un capitolo per affrontare un futuro incerto. Sono i tre lustri di dura crisi economica noti come el Período especial (1991-2007).
Nonostante le forti difficoltà nella produzione cinematografica gli anni ’90 si presentano con interessantissime novità. Oltre a Fernando Pérez che ci dà conferma di una nuova cinematografia fortemente poetica e introspettiva con le opere Hello Hemingway (1990) e Madagascar (1994), viene posta una pietra miliare nella cinematografia cubana: Fresa y chocolate (1993) di Tomás Gutiérrez Alea (che ormai tutti a Cuba conoscono come Titón) e Juan Carlos Tabío affronta il tabù dell’omosessualità con una denuncia a viso aperto dell’intolleranza machista della società cubana. Il film, una coproduzione internazionale con Spagna e Messico, con oltre 2 milioni di dollari al boxoffice, rimane uno dei più conosciuti film cubani all’estero.
Il nuovo millennio
A cavallo del millennio sono ancora i film di Fernando Pérez a varcare con successo i confini nazionali. La vida es silbar (1998), Suite Habana (2003), e Madrigal (2007) trovano tutti una facile distribuzione internazionale.
Nell’ultimo decennio, a conferma di quanto il cinema cubano sia vitale, emancipato e relativamente affrancato dalle logiche censorie dei regimi autoritari, sono stati prodotti film che per esistere hanno comunque dovuto lottare, più degli altri, contro gli stessi apparati dello stato che li finanziavano. Eccone, semplicemente, una lista. El cuerno de la abundancia (2008) di Juan Carlos Tabío; Memoria del desarrollo (2010) di Miguel Coyula; Juan de los muertos (2011) di Alejandro Brugués; Vestido de novia (2014) di Marilyn Solaya; Regreso a Itaca (2014) di Laurent Cantet; Conducta (2014) di Ernesto Daranas; Fátima o el Parque de la Fraternidad (2014) di Jorge Perugorría; Esteban (2015) di Jonal Cosculluela; El acompañante (2016) di Pavel Giroud; Santa y Andrés (2016) di Carlos Lechuga.
El acompañante (2016), di Pavel Giroud
Quale futuro
Sul futuro delle nuove generazioni di filmmaker cubani l’ICAIC dibatte da anni su una nuova legge che regoli il settore che con le nuove tecnologie, ormai a portata di tutti, è diventato un territorio senza barriere e monopoli. In una recente discussione a tal proposito ecco l’intervento di Fernando Pérez:
“Vogliamo una legge che regoli, non controlli, lo sviluppo del Movimento audiovisivo cubano che, in questo momento, ha bisogno di questo sviluppo. Perché non aspiriamo a un cinema di propaganda, un cinema che faccia da modello o sia didattico. Aspiriamo a un cinema che partecipi della complessità del reale, susciti confronto e ragionamento.”