Festival del Cinema Europeo di Lecce (12ª edizione): Young girls in black” di Jean Paul Civeyrac
Morbosamente magnetico, cupo, seducente, “Young girls in black” (titolo originale Des filles en noir) è un film che non si può non amare. Diretto dal francese Jean Paul Civeyrac. Recensione di Francesca Giannone.
Morbosamente magnetico, cupo, seducente, Young girls in black(titolo originale Des filles en noir)è un film che non si può non amare. Diretto dal francese Jean Paul Civeyrac (noto per aver vinto il premio Jean Vigo nel 2003 con All the fine promises), racconta la vita intima di due adolescenti disadattate, Noemi e Priscilla, che condividono lo stesso atteggiamento idiosincratico nei confronti della vita e delle persone. Le due ragazze, unite da un rapporto che accarezza l’omosessualità senza mai toccarla e dipanarla veramente, progettano l’idea di suicidarsi insieme per raggiungere quel bisogno di assoluto e di infinito che non riescono a trovare nella superficialità della realtà che le circonda.
Noemi, colta e dannata, vive con la madre in una situazione di incomunicabilità e ritrosia. Ama la musica classica e prende lezioni di flauto.
Priscilla, timida, fragile e influenzabile, non ha rapporto con i genitori, divide l’appartamento con la sorella e il fidanzato di lei, un rapporto da cui la giovane si sente esclusa come “un peso morto”.
Tra le due il demone è Noemi, capace con la sua forza malata e distruttiva di incenerire qualsiasi cosa le si avvicini. Sarà lei infatti a suggellare il suicidio di Priscilla, in una scena suggestiva, di rara bellezza: è notte, le due ragazze stanno parlando al telefono, ubriache e gaudenti, nelle rispettive case. Noemi, come un fulmine a ciel sereno, le propone di “farlo” quella notte, gettandosi nello stesso momento dalla finestra. Inizia il conto alla rovescia, entrambe sono di spalle, con le ante spalancate, pronte a saltare. Tre, due, uno. Priscilla si butta, Noemi no.
Si alternano ripetutamente per alcuni secondi le inquadrature silenziose della finestra vuota che dà sul cielo scuro e quella in cui Noemi rimane di spalle, codarda, con il telefono in mano e nessuno a risponderle dall’altra parte.
Il film potrebbe chiudersi così, in un finale amaro e struggente, e invece si dilunga inutilmente per altri venti minuti mostrando il percorso di cura e di redenzione di Noemi, che sembra guarire e rinascere grazie al vecchio amore per la musica e per il flauto.
Da segnalare l’ammaliante fotografia di Hichame Alaouie e il talento straordinario delle due attrici esordienti Elise Lhomeau e Léa Tissier.
Francesca Giannone
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