abbiamo già visto tutti i film con i supereroi Marvel, sia quelli “non ufficiali” (qui) che quelli dell’universo “canonico” dell’MCU (qui): concludiamo allora il nostro viaggio con le serie tv.
Dove vale anche qui lo stesso discorso per i film: la produzione delle serie era partita quando ancora i diritti di tutti gli eroi erano in mani differenti, causando uno scollamento narrativo tra i vari prodotti.
E partendo dall’inizio, non può che creare un vero e proprio paradosso constatare che, nonostante al cinema i film dell’MCU abbiano mutuato gli strumenti classici della serialtà televisiva (macrostoria verticale, sviluppo di trame in orizzontale su ogni film, scene post-credit, i crossover, etc.), tutti i serial Marvel siano stati -fino a poco tempo fa- un mezzo flop, vuoi per lo scarso gradimento del pubblico, vuoi per gli strali della critica, senza riuscire quindi a mettere d’accordo tutti.
La divisione Marvel Television è stata fondata nel 2010, sotto la supervisione del veterano Jeph Loeb che aveva nel curriculum non solo diversi ottimi fumetti come autore ma anche diverse produzioni di successo (SMALLVILLE, HEROES): e con l’intento di diversificare target e produzioni, ha sparpagliato in giro per vari network i suoi prodotti.
Senza contare il prototipo dell’HULK con Lou Ferrigno e lo SPIDERMAN degli anni ’70 di cui abbiamo già trattato, i primi tentativi furono disastrosi: un pilot tv per NICK FURY, poi diventato un film tv straight to video, con David Hasselof protagonista, abortito fin dal principio per l’inesistente carisma dell’opera; una fiacca serie ispirata agli X-Men, MUTANT X, dove i mutanti non sono però mai citati, che diede origine ad una causa legale fatta alla Marvel dalla 20th Century Fox perché non in possesso dei famosi diritti; solo dodici episodi di BLADE, che proseguirono senza successo la storia dei due film per il cinema; arrivando infine al 2013, quando viene messa in cantiere la prima serie targata Marvel a sbarcare nella tv generalista -l’ABC statunitense della Disney-, ovvero MARVEL’S AGENTS OF SHIELD.
AGENTI A RAPPORTO
La serie segue gli eventi iniziati sul grande schermo, riprendendone un personaggio, Phil Coulson, morto in AVENGERS di Whedon e ripreso dal regista del film nonché produttore del serial, Joss Whedon. AGENTS OF SHIELD è un serial fortemente atipico negli sviluppi produttivi: nato proprio come costola delle avventure sul grande schermo, ha seguito malamente gli sviluppi dei lungometraggi con risultati alterni, per poi sganciarsene verso la terza stagione riuscendo quindi a sviluppare trame autonome, guadagnandone in fascino.
A dispetto quindi delle sue potenzialità crossmediali, AGENTS OF SHIELD non è mai riuscita ad imporsi, con risultati qualitativamente altalenanti: probabilmente, buona parte dei problemi derivavano dal non poter sfruttare appieno il calderone narrativo della Marvel Comics, dovendo stare la produzione sempre sul chi va là per non sconfinare, con le storie dell’agenzia filo governativa di Coulson e Nick Fury, in situazioni che coinvolgevano personaggi non di proprietà dei Marvel Studios.
Eppure, AGENTS OF SHIELD era un buon intreccio di spy-story, action e superomismo, che manteneva la tradizione delle scene post-crediti, arrivando a produrre due stagioni di grandissimo impatto emotivo (la quarta e la quinta, rispettivamente incentrate sull’intreccio tra la malvagia organizzazione dell’Hydra e un mondo fittizio, e gli alieni Kree): l’impressione è che nel baillame produttivo, AGENTS sia stata abbandonata a sé stessa dai creativi, arrivando a dover chiudere con la sesta stagione per poi finire definitivamente la corsa con i solo dodici episodi di recupero di una settima.
Contemporaneamente, fu messa in cantiere sempre dalla ABC MARVEL’S AGENT CARTER, incentrata su un altro personaggio recuperato dalla mitologia di Capitan America, ovvero Peggy Carter. Le due stagioni erano ambientate durante gli anni ’40: e a differenza di AGENTS OF SHIELD, nata in origine per collegare tra loro i film, AGENT CARTER venne pensata come serie autonoma.
Le veniva incontro già l’ambientazione cronologica: i riferimenti agli eroi erano conseguentemente pochi e sporadici, ma a parte questo la serie aveva un’ottima protagonista (Hayley Atwell) e un intreccio degno di questo nome, con personaggi ben caratterizzati, mentre già si intravedeva il cocktail Marvel perfetto (la tensione stemperata da dialoghi effervescenti). Lo scarso riscontro portò però alla cancellazione dopo due stagioni -e dire che il secondo finale di stagione lasciava aperti diversi spiragli.
Ma la strada era già aperta, e nel 2017 ecco che sempre la ABC propone THE INHUMANS, basato sui personaggi creati sulle pagine di FANTASTIC FOUR da Lee e Kirby, cercando di cavalcare i programmi editoriali della Marvel che in quel periodo, complice l’enorme successo degli Avengers, stava cercando di rimpiazzare il successo dei mutanti (troppo legati alla Fox) con la famiglia reale degli Inumani.
Purtroppo, INHUMANS è stato forse il tonfo più assordante dei Marvel Studios. Distribuito addirittura nei cinema in IMAX, è stato sbertucciato malamente dalla critica, e non a torto: disponibile oggi (come AGENTE CARTER, e come AGENTS OF SHIELD) su Disney Plus, la serie aveva un’atmosfera infantile e da Z movies.
Narrativamente, gli Inumani sono essere modificati geneticamente dagli alieni Kree, che hanno sempre vissuto in disparte e perlopiù nascosti dal genere umano: nonostante il concept interessante, la realizzazione soffre di una struttura drammaturgica spaccata in due e di caratterizzazione dei protagonisti frettolosa e senza alcun pathos.
Eppure, la partenza (con i primi due episodi condensati in una sorta di film di 75’ distribuito in poche sale) non era neanche male: una funzione classica portava i protagonisti in una situazione di immediato pericolo, spingendo il pubblico a volerne sapere di più sul loro background. Iniziando in medias res, INHUMANS sembrava realizzato con competenza e attenzione per i dettagli, ma subito dopo qualcosa si rompe immediatamente, insieme all’andare in frantumi degli effetti speciali, rovinosi e visivamente scadenti. In questo modo, a conti fatti, dalle intenzioni di action politico e psicologico -che si ricollegava alla bellissima miniserie di Paul Jenkins e Jae Lee– tutto lentamente diventava un teen drama senza nessun appeal.
EROI IN ROSSO
Ma non era tutto così buio, prima dell’alba.
Nel 2015, un accordo tra Marvel Television e Netflix ha portato alla creazione di un universo condiviso adulto, violento e dark, con gli eroi urban della Casa delle Idee.
Il primo progetto avrebbe adattato quindi uno degli eroi sulla carta più valido (il DAREDEVIL che dopo il trattamento di Frank Miller era diventato una serie di culto, un noir/hard-boiled con influenze esistenziali) che però non aveva affatto avuto fortuna al cinema (nessuno vuole pensare al film con Ben Affleck). MARVEL’S DAREDEVIL rappresenta allora per la tv quello che IRON MAN nel 2008 è stato per il MCU: un battesimo del fuoco, un trionfo inaspettato ma talmente valido da convincere milioni di fan che era possibile avere degli eroi in calzamaglia credibili, in un contesto adulto, con uno spessore non indifferente.
Con DAREDEVIL la Marvel cambia le carte in tavola, cambia le regole, cambia la formula precedente vista nei prodotti ABC: la serie (che ha avuto tre stagioni) è un mix affascinante che soddisfa soprattutto un pubblico adulto, maturo, abituato ad una violenza psicologica e materica che si riflette in trame ossessionanti e personaggi ossessionati.
Da subito, lo showrunner Steven S. DeKnight ha dichiarato che la serie avrebbe avuto toni decisamente meno decadenti rispetto allo sfarzo abbagliante e tecnologico degli AVENGERS di Whedon: le avventure dell’avvocato cieco Matt Murdock (con le fattezze di Charlie Cox) che, grazie a supersensi sviluppati, di notte diventa un vigilantes fasciato da un costume di pelle rossa, sono raccontate con un tono underground spintissimo, ambientate nelle degradate strade di Hell’s Kitchen.
Inoltre, DAREDEVIL sfrutta appieno le opportunità offerte alla dimensione superomistica dalla struttura seriale: approfondimento introspettivo dei personaggi e una maggiore caratterizzazione, non solo per il protagonista ma anche per il cast dei comprimari, dove spicca senza dubbio l’enorme (in tutti i sensi) Kingpin di Vincent D’Onofrio. Le tre stagioni di DAREDEVIL, con qualche cedimento nell’ultima, costituiscono un piccolo patrimonio autoriale che ha fatto salire un ulteriore gradino alla narrativa supereroistica, mostrandone lo spessore e le potenzialità.
Nell’universo condiviso di Netflix, dopo DAREDEVIL si sono succeduti il riuscito JESSICA JONES (due stagioni dal 2015 al 2019), con protagonista Krysten Ritter su soggetto di Brian Michael Bendis e Michael Gaydos, autori di diverse run di culto del diavolo rosso); LUKE CAGE (due stagioni, dal 2016 al 2018) dove Mike Colter interpreta il personaggio principale, amante della Jessica Jones di sopra, serial fuori fuoco; IRON FIST (due stagioni, dal 2017 al 2018), che nonostante l’aderenza dell’attore principale Finn Jones non riesce mai a trovare una sua identità; DEFENDERS (una sola stagione, nel 2017) dai risultati altalenanti; per concludersi con quel PUNISHER (due stagioni, dal 2017 al 2019) che risollevano la curva di qualità discendente delle serie Netflix con un ottimo JonBernthal che restituisce il Punitore definitivo, alienato, lacerato, violento e amorale, sempre sul confine tra Bene e Male.
Perché se le prime annate (DAREDEVIL e JESSICA JONES) avevano raccolto il plauso unanime di pubblico e critica, gli entusiasmi sono andati lentamente scemando portando la N rossa a cancellare ogni futura stagione.
Tutti i serial sono ora disponibili su Disney Plus, ma adesso che i diritti sono di nuovo liberi si vocifera di una specie di reboot ibrido del difensore di Hell’s Kitchen con il volto di Cox nel prossimo venturo SPIDERMAN 3 di Tom Holland, che a quanto pare consacrerà definitivamente il concetto di multiverso ospitando Tobey Maguire e Alfred Molina (dallo SPIDERMAN di Raimi) e Jamie Foxx (da quello di Marc Webb). Questo senza dire che uno dei prossimi film che vedremo a breve in sala sarà proprio DOCTOR STRANGE IN THE MULTIVERSE OF MADNESS, che avrà tra i protagonisti proprio la cara Wanda Maximoff…
ALTRI UNIVERSI
Anche la Hulu ha fatto la sua parte, perché guardando al pubblico young adult ha prodotto tre serie di RUNAWAYS e due di CLOAK & DAGGER.
La prima è tratta da una serie di culto ideata da Brian Vaughan, e racconta della “perdita dell’innocenza” di un gruppo di amici adolescenti dopo la scoperta che i loro genitori sono componenti dell’organizzazione criminale Pride. Decidono allora di lasciare le loro case e scappare, approfondendo anche la conoscenza dei loro nuovi poteri.
RUNAWAYS è partita benissimo, catturando alla perfezione lo spirito fresco e innovativo del fumetto originale: e ritrae anche con il tono giusto i dolori della crescita, con adolescenti problematici ma mai bozzettistici.
La serie si arena alla seconda stagione e viene sospesa con la terza. almeno per i primi tre episodi, CLOAK & DAGGER -per chi volesse a tutti i costi un termine di paragone- si mette a metà strada fra HEROES (ma non è un caso, perché lo showrunner è lo stesso, Joe Pokaski) e il citato DAREDEVIL: insomma, supereroe sì, ma con classe.
Certo, ci sono poi le inevitabili discrasie fra la storia di Tyrone -Cloak- e Tandy -Dagger-, i due protagonisti, per come sono state ideate da Bill Mantlo nel 1982 sui fumetti e per come la tv ha deciso di raccontarle: ma sono poca cosa, perché la scelta permette di dare un background drammatico ai due ragazzi e fare così un’analisi approfondita delle loro psicologie, attraverso le relazioni che instaurano nel loro doloroso percorso di crescita, specialmente con i genitori.
Ecco che allora Cloak & Dagger parla in maniera straordinariamente lucida e ferma di razzismo e lotta di classe, ma lo fa rovesciando intelligentemente le premesse e le aspettative, indugiando su una tematica calda in America come in Italia, come il bullismo, e ancora divagando sulla tossicodipendenza, sulla violenza sessuale e sulla corruzione delle forze dell’ordine.
Peccato che, come ormai da tradizione, la seconda stagione non è all’altezza della prima e diventa anche l’ultima.
Ancora peggio è andata a HELLSTROM, inedita in Italia, dedicata al figlio di Satana, poco prima che Marvel Television fosse assorbita dai Marvel Studios.
LA VISIONE DI WANDA
Il genio di Kevin Feige ha saputo far sì che i rinvii dovuti al Covid si trasformassero in hype: e pure se partita con ritardo, WANDAVISION è il primo, vero centro assoluto dei supereroi in tv, e non certo con un prodotto facile (qui la nostra recensione).
A visione ultimata delle prime quattro puntate (Disney Plus ha deciso di rilasciarne una a settimana in barba a qualunque binge wacthing), la serie che ha ufficialmente aperto sia la Fase Quattro dei Marvel Studios, sia la produzione in proprio di show televisivi, è stata un colpo al cuore. Prima di tutto, in quanto prodotto dei Marvel Studios, frutto di una programmazione meticolosa nonchè di uno sforzo di concettualizzazione talmente lungimirante che non aveva eguali nella storia del medium; e poi, come concezione di show televisivo.
Perché WANDAVISION è qualcosa di mai visto prima: nonostante nei primi tre episodi si ricolleghi come messa in scena ai telefilm rispettivamente degli anni ‘40, ’50 e ’60, la struttura della serie è rivoluzionaria. Stracolma di easter egg per il fan più attento e scafato, piena di strizzatine d’occhio all’MCU e ai fumetti Marvel (principalmente al ciclo di John Byrne sui West Coast Avengers, con le saghe VISION QUEST su AWC # 42/49, e DARKER THAN SCARLET su AWC # 50/61), ma insieme perfettamente fruibile da un pubblico generalista. Che improvvisamente, nel quarto episodio, scopre un suo alter ego in due personaggi del serial -interpretati da Jimmy Woo e Kat Dennings– che esattamente come chi guarda assistono increduli e spiazzati mentre si (e ci) chiedono cosa c’entri una sit-com con i due Avengers.
WANDAVISION, e non WANDA & VISION: perché è la visione di Wanda, il costrutto di una mente distrutta, la percezione di una donna tra le più intriganti dell’intero parco personaggi.
Al termine di questo piccolo miracolo, partirà FALCON & THE WINTER SOLDIER, di cui iniziano a trapelare le prime immagini; mentre sono in produzione o pre-produzione HAWKEYE (sull’arciere vendicativo interpretato da Jeremy Renner), WHAT IF (una serie di sguardi sui mondi paralleli, e torna il Multiverso…) e LOKI (il celebre e richiesto fratellastro di Thor con le fattezze di Tom Hiddelston) nel 2021; MRS. MARVEL (la fortunata -editorialmente- supereroina pakistana Kamala Khan, emula della più famosa Captain Marvel) MOON KNIGHT (un eroe/antieroe disturbato con ben tre personalità) e SHE-HULK (la cugina del pelleverde) nel 2022, SECRET INVASION (ispirata alla saga a fumetti che rivela che gli Skrull hanno invaso la Terra molti anni fa, e attualmente vivono sotto mentite spoglie nella comunità supereroica), ARMOR WARS (interna alla saga di Iron Man, con le sue armature e i suoi progetti ipertecnologici venduti al miglior offerente) e IRON HEART (altro prodotto che deriva dalla storia personale di Tony Stark, con l’adolescente Riri Williams che inventa una propria armatura) nel 2023.
Se allora il buongiorno si vede dal mattino…
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