La Marvel al cinema: storia degli adattamenti degli eroi più famosi al mondo (pt.2)
Dopo i film "non ufficiali", andiamo a vedere tutti ma proprio tutti i film del Marvel Cinematic Universe, l'universo condiviso più celebre del grande schermo
Continua la pratica guida per conoscere tutti i film della Marvel, con le opere che fanno parte del Marvel Cinematic Universe, l’universo condiviso della casa editrice su grande schermo.
Abbiamo visto nel primo approfondimento come i filmMarvel siano approdati al cinema nel 1977 con l’AMAZING SPIDERMANdi E.W.Swackhamer; aprendo una lunghissima stagione di lungometraggi “non ufficiali” che è continuata fino ad oggi, chiudendo idealmente un cerchio con l’acclamatissimo SPIDERMAN: INTO THE SPIDERVERSE di Bob Persichetti.
Ripartiamo allora proprio dall’Uomo Ragno approfondendo un discorso solo accennato, cioè che proprio il tessiragnatele creato da Stan Lee è stato, fino al 2019, il “pomo della discordia” dei diritti cinematografici degli eroi Marvel.
EROI DI FERRO
In principio, la stessa casa editrice vendeva i diritti per la realizzazione dei film sui suoi personaggi: la cosa è cambiata solo nel 2008, quando con IRON MAN di John Favreau sono scesi in campo i Marvel Studios, una casa di produzione discendente direttamente dall’editore con un controllo e una supervisione creativa ovviamente più ampia delle e nelle storie.
Il film che ha fatto debuttare sullo schermo l’uomo dall’armatura di ferro e dal cuore debole (con le fattezze di Robert Downey Jr) ha inoltre apportato una profonda, importantissima innovazione non solo nel campo dei cinecomics -diventati, nel nuovo secolo, un vero e proprio genere per così dire codificato e istituzionalizzato- ma nel cinema tout court: ovvero, la trasposizione del concetto di continuity o continuità che dir si voglia all’interno del lungometraggio.
In sintesi, ogni film dei Marvel Studios è come ogni singolo albo della Marvel Comics: fa parte di una macrostoria che comprende tutti gli accadimenti dei suoi personaggi, ed è come un piccolo tassello di un mosaico più ampio. In questo modo, tutti i film sfornati dal 2008 dagli Studios ufficiali diventavano come un capitolo del MCU, il Marvel Cinematic Universe.
Per rendere ancora più evidente la cosa, per i neofiti al termine di IRON MAN si è inaugurata la ormai famosissima scena post crediti: dopo i (lunghi!) titoli di coda del film, si posiziona infatti una scena di pochissimi secondi nella quale si introducono e si anticipano in qualche modo gli avvenimenti che si vedranno nei prossimi film.
Una preview inedita, in soldoni, con lo scopo di fidelizzare il pubblico.
Tutta l’idea ha avuto un successo inaspettato e strepitoso: film dopo film, anno dopo anno, i Marvel Studios hanno quindi colonizzato l’immaginario, forti di una resa al botteghino crescente e culminata con AVENGERS ENDGAME, ad oggi il film che ha più incassato al cinema (e che ha battuto per questo AVATAR).
Nella clip alla fine del primo IRON MAN, Fury promette di parlare a Tony Stark dell’IniziativaAvengers: un progetto dello S.H.I.E.L.D. che, nel mondo reale, culminerà con THE AVENGERS di Joss Whedon nel 2012.
Una dichiarazione d’intenti da non sottovalutare e che all’epoca generò tantissimo hype tra i fan, che presero subito questa post-credit scene come la conferma che il grande universo a fumetti Marvel sarebbe presto arrivato al cinema.
Quello che non tutti sano è però che esiste una scena alternativa: svelata da Kevin Feige nel settembre 2019 per presentare l’uscita in Home Video della Infinity Saga (cioè i primi 23 film dell’MCU), questa seconda versione mette molta più carne al fuoco. Fury, infatti, menziona esplicitamente anche incidenti coi raggi gamma, morsi di insetti radioattivi e mutanti di varia tipologia: riferimenti impossibili da non ricondurre a Hulk, Spider-Man e gli X-Men.
Se infatti ora i diritti dei personaggi sono tutti (più o meno…) riconducibili a Disney, e quindi ai Marvel Studios, all’epoca in cui il film di Favreau è stato girato la situazione era molto più complessa, come detto sopra, e un crossover che contemplasse tutti questi personaggi sarebbe stato a dir poco impossibile. Spider-Man era ancora appannaggio della Sony, i Fantastici Quattro e gli X-Men facevano parte di un franchise gestito da 20th Century Fox, mentre Hulk era complesso in maniera ibrida.
Conseguentemente, non tutti i personaggi potevano essere protagonisti degli adattamenti dei Marvel Studios, e questo portò ad una situazione paradossale: mentre ad esempio in un film degli Avengers appariva Quicksilver, fratello di Wanda Maximoff aka Scarlet Witch, in quanto entrambi membri degli Avengers, in un altro film prodotto però dalla Fox lo stesso Quicksilver, in quanto mutante, era interpretato da un attore differente e aveva una storia differente.
La confusione che si era creata appariva dall’esterno ingestibile, e film dopo film sempre più ingarbugliata.
Mentre la Sony portava avanti i suoi SPIDERMANcon diversi reboot (furono prima Tobey Maguire e poi Andrew Garfield ad indossare l’iconica maschera di Peter Parker), la Fox si concentrava sui mutanti (con risultati altalenanti): alla Marvel non restò quindi che concentrarsi sull’universo vendicativo, quella narrazione cioè che aveva al centro di tutto il gruppo degli Avengers, ricca di storie e materiale da poter costituire un calderone di storie per un tempo infinito.
L’INIZIATIVA AVENGERS PRENDE FORMA
Il secondo lungometraggio inserito ufficialmente nel MCU fu quindi l’HULKdi Louis Leterrier: dimenticando il bellissimo film di Ang Lee, questa volta il pelleverde aveva le fattezze dell’intenso Edward Norton. Alla fine del film, altra scena che, con Tony Star protagonista, continuava a fomentare l’idea di una “iniziativa Avengers”. Il multiverso Marvel era definitivamente sbarcato al cinema, e ogni film era la conferma che questa volta si voleva fare sul serio: la produzione aveva trovato un proprio mood, che consisteva in un irresistibile miscela di azione e umorismo giocando nello stesso tempo anche su un’introspezione costruita su attori particolarmente in ruolo e delle sceneggiature praticamente perfette.
L’ansia dei fan faceva il resto, perché i film successivi (IRON MAN 2,THOR e CAPTAINAMERICA:THE FIRST AVENGERS) si avvicinavano sempre più alla tanto desiderata reunion degli eroi che avrebbe sancito finalmente la nascita degli Avengers al cinema.
Nel sequel di IRON MAN, con la regia del fedele Favreau, la scena post-crediti presentava Phil Coulson, agente dello S.H.I.E.L.D., che introduceva il martello di Thor; in quella di THOR appare per la prima volta il Tesseract, manufatto magico e potentissimo che sarà motore immobile dei futuri eventi; mentre in CAPTAIN AMERICA, essendo tutto il film ambientato durante la seconda guerra mondiale, la scena post-crediti porta lo scudiero a stelle e strisce nel nostro presente, faccia a faccia con Nick Fury e con l’Iniziativa Avengers.
Va detto anche che l’impianto produttivo dei Marvel Studios è stato fin dall’inizio attento soprattutto alla qualità: sancendo in maniera inequivocabile come anche un’opera action, come in fondo il cinecomic, potesse avere un’anima e una dignità, ma soprattutto potesse essere un prodotto intelligente, raffinato e di valore.
Importante sottolineare come i registi a cui furono affidati i progetti non erano esattamente degli Oley Sassone qualunque: oltre Favreau, Joe Johnston (su CAPTAIN AMERICA) aveva nel curriculum due cult assoluti come JUMANJI e TESOROMI SI SONO RISTRETTI I RAGAZZI, oltre al terzo capitolo del franchise JURASSIC PARK;THOR fu affidato nientepopodimeno che a Kenneth Branagh, autore scespiriano per eccellenza, mentre HULK vedeva dietro la macchina da presa lo stesso autore di due piccoli gioielli action come TRANSPORTERe DANNY THE DOG.
Arriviamo quindi a THE AVENGERS, un film che per molti versi è un punto di svolta.
Prima di tutto perché, ovviamente, raccoglie l’eredità narrativa (e produttiva) di quattro anni di film: in secondo luogo perché apre a tutti gli effetti una nuova era, mentre i Marvel Studios rivelano che il film con la regia di Joss Whedon, chiude quella che sarà ricordata come la Fase Uno, perché sempre in nome della famosa continuity instaurata fin da IRON MAN del 2008 il MCU avrà una storia interna ai suoi film procederà per fasi.
Poi perché fa la sua prima comparsa il personaggio di Thanos, nella scena post-credit, che porterà dritto fino ad ENDGAME di ben sette anni dopo; e poi, proprio in nome di questa progettualità a lunghissima percorrenza, la presenza di Thanos (ancora solo in computer grafica, senza il volto dell’attore che lo impersonerà, Josh Brolin) i Marvel Studios capitanati dal lungimirante Kevin Feige dimostrano non solo di avere le idee molto chiare sui film, ma anche che ogni minimo dettaglio presente nei film non è messo lì a caso ma serve a puntellare la trama con particolari che verranno poi ripresi diventando magari centrali nei prossimi film.
AVENGERS è tutto fuorché un film perfetto: troppo sbilanciato, forse troppo pieno, raccoglie però i frutti dell’attesa dei fan e li trasforma in uno spettacolo di fuochi d’artificio: è dopotutto il primo film che raccoglie le trame dei film precedenti mostrando in maniera lampante la programmazione degli studios ed è stracolmo di fanservice. Whedon è prima di tutto un abilissimo sceneggiatore di fumetti: autore del pluripremiato ciclo degli X-Men su ASTONIGHING X-MEN, con i disegni di John Cassady, come regista ha al suo attivo un cult generazionale assoluto quale è BUFFY L’AMMAZZAVAMPIRI, e di certo il suo compito non era semplice: unire in un solo film personaggi icastici e apprezzati da milioni di fan del fumetto.
Ma il regista confeziona un prodotto ad uso e consumo degli appassionati, ricalcando la storia originale (dello storico AVENEGERS # 1, 1963), miscelando pathos, umorismo e una dose non indifferente d’azione. In più, Cap, Iron Man, Thor e Hulk acquistano quella profondità d’insieme che forse mancava nei loro film stand alone, definendo anche le new entry Black Widow e Hawkeye, serviti su un piatto d’argento dai due interpreti efficacissimi, rispettivamente Scarlett Johansson e Jeremy Renner. L’obiettivo di Whedon è comunque prima di tutto non far scendere mai il ritmo in 142 minuti di film: con una CGI spintissima, al punto che oggi, a nove anni di distanza, sembra un po’ invecchiata. Ma l’invasione finale dei Chitauri è ancora un bel vedere: insomma, AVENGERS è un vero e proprio manifesto, ambizioso e perfettibile, che non delude le aspettative.
Ora le carte erano tutte in tavola per cominciare davvero.
VERSO LA FORMULA PERFETTA
Nel 2013 è tempo quindi di IRON MAN 3. In regia non c’è più John Favreau, e si sente: Shane Black, il sostituto, non è all’altezza del compito (inaugurare la Fase Due): e difatti il lungometraggio appare stanco e senza fiato, con un villain per la prima volta fuori fuoco -ma qui, sul Mandarino, le cose si aggiusteranno in seguito con un’abile retcon- in un’operazione produttiva così affannata che neanche il carisma di Downey Jr salva il salvabile.
Fortunatamente, nello stesso anno arriva il sequel di THOR: via Branagh, dentro Alan Taylor: che della tragedia scespiriana messa in scena dal suo predecessore prende il meglio, approfondendo il ruolo di Loki all’interno della cosmogonia del Tuono e rendendo il suo interprete, Tom Hiddelston, un vero e proprio idolo delle folle. Neanche Taylor è alle prime armi: nel suo curriculum, regie per I SOPRANO ma soprattutto per IL TRONO DI SPADE, che in qualche modo lo prepara all’epica che andrà a raccontare: THE DARK WORLD è infatti stracolmo di verve e soprattutto di una visione d’insieme intrisa nell’atmosfera. Il film, pur non brillando per originalità, non annoia mai, e la miccia è accesa. In qualche modo, sia questo che IRON MAN 3 e AVENGERS hanno permesso a Feige di capire le potenzialità del genere cinecomics: il geniale produttore allora prepara l’uscita successiva, CAPITAN AMERICA: THE WINTER SOLDIER, consapevole che l’Universo Marvel è il vero e unico epos moderno, e il calderone dei personaggi è talmente ricco e sfaccettato da far sì che il MCU compia, attraverso i suoi film, una rilettura dei generi cinematografici.
THE WINTER SOLDIER è quindi probabilmente il primo cinecomic a far capire a tutti che si fa sul serio: il secondo capitolo dedicato allo scudiero a stelle e strisce propone una maggiore problematizzazione del supereroe Marvel, il cui nucleo è roso dal dubbio e galvanizzato da interessantissime rimuginazioni su concetti del calibro di fiducia.
“Questa non è libertà… questa è paura”: i fratelli Russo debuttano nel MCU inserendosi nella sua maestosa continuity in maniera egregia, e nel loro film si respira un’aria sostanzialmente diversa dai film di tutta la Fase Uno, riportando il pubblico in parte agli anni ’70 e ’80 dei grandi film di spionaggio.
Non per niente, tra i protagonisti di THE WINTER SOLDIER troviamo Robert Redford, uno dei più grandi cineasti viventi, sicuramente affascinato dalla ripresa in un contesto moderno di un genere molto intenso. A conti fatti, la nuova avventura di Cap, dall’accentuato sapore retrò, è più vicina all’action-spy che al film di supereroi, dosano però gli ingredienti in modo da non creare un anonimo blockbuster ma una pellicola densa di risvolti più che contemporanei e attuali, senza neanche risultare pedante con scene d’azione molto ben coreografate. Con THE WINTER SOLDIER, insomma, Feige si avvicina sempre di più alla formula perfetta del cinecomic.
La nuova avventura di Cap, dall’accentuato sapore retrò anni ’70/’80, ricorda più un action-spy movie che un usuale film di supereroi, con un umorismo misurato e un buon concept alla base. I fratelli Russo hanno saputo ben dosare gli ingredienti di modo da non creare un anonimo “giocattolone” quanto, anzi, una pellicola densa e dagli interessanti risvolti, senza tuttavia risultare pedante grazie a scene d’azione molto fumettistiche e ben coreografate (benché, a volte, confusionarie).
Kevin Feige, perennemente alla ricerca del “tono” giusto per i suoi film, si sta pericolosamente avvicinando alla formula perfetta del cinecomic in grado di accontentare tutti.
Non per niente, il passo successivo è sempre del 2014, quando esce GUARDIANS OF THE GALAXY con la regia di James Gunn. Come sempre, non proprio l’ultimo arrivato: sceneggiatore, musicista e produttore, ha scritto nella sua carriera tra l’altro due cult-movie prodotti dalla Troma (casa di produzione statunitense fondata da Lloyd Kaufman e Michael Herz nel 1974) come TROMEO & JULIET e TERROR FIRMER.
Con GUARDIANS, forte della scelta di personaggi pressoché dimenticati dalla Marvel, e quindi senza una identificazione caratteriale ben precisa come altri più conosciuti, Gunn ha unito il suo gusto per un vintage kitsch all’avventura spaziale nel più puro spirito da sci-fi.
Ne è uscito fuori un film divertentissimo, classico nella struttura grammaticale eppure irriverente nell’esposizione, con una forza innovativa tale da rivaleggiare con un franchise importante come quello di STAR WARS.
Tanto per fare un esempio chiarificatore, Gunn ha fuso insieme il musical di CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA con la fantascienza aliena scintillante e plasticosa di George Lucas, il tutto riletto in chiave punk ma soprattutto con un’esibizione di cultura cinematografica mai fine a sé stessa bensì sempre e comunque funzionale alla trama.
L’anno successivo è la volta di un altro eroe dal basso profilo, ovvero ANT-MAN, di Peyton Reed, che forte dei due film precedenti questa volta prende in mano l’heist-movie e lo aggiorna ai tempi dei supereroi: finché, in una perfetta simmetria, la Fase Due si chiude con il secondo film che riunisce gli Avengers, AGE OF ULTRON, nuovamente con la regia di Whedon.
La Fase Due ha messo a fuoco la materia, e il film del supergruppo è ancora una volta un manifesto programmatico: la terza Fase scivola lentamente verso un tono più drammatico, e l’MCU è ormai un universo sempre più ampio, con l’inclusione di una porzione di storia più lontana come quella dei GUARDIANI DELLA GALASSIA o delle serie TV che intrecciano le loro storyline con quelle dei film, e sempre più ricco, grazie ad un lavoro di coordinamento tra i singoli progetti che riesce a rendere l’insieme ben maggiore della somma delle singole parti.
È chiaro oramai che l’elemento che rende riconoscibile l’MCU è la continuity: una forza coesiva che unisce tutti i progetti, che accresce il piacere della visione e che collega personaggi e storie su larga scala, riuscendo però a non vincolare lo spettatore, che gioisce a vedere un solo film, perfettamente comprensibile da sé, ma gioisce ancora di più a vederli tutti trovandosi immerso in una storia enorme.
RAGNAROK & ROLL!
La fase successiva si apre con il botto: nel 2016 esce in sala CAPITAN AMERICA: CIVIL WAR, che non è solo il terzo capitolo dedicato all’eroe, ma un vero e proprio terzo capitolo degli Avengers.
Il riferimento è di quelli che più alti non si può: CIVIL WAR è la saga a fumetti, scritta da Mark Millar, che ha ridefinito il ruolo degli eroi Marvel per il nuovo millennio.
Nella miniserie di sei numeri viene in pratica stabilito un nuovo status quo dopo l’emissione dell’Atto di Registrazione dei Supereroi (altrimenti noti come Accordi di Sokovia: una legge discriminatoria che obbligava tutti coloro che volessero indossare una maschera a dichiararsi, con la conseguenza che qualunque eroe sarebbe diventato una specie di bersaglio umano per tutti i suoi nemici, sottostando contemporaneamente alla volontà dello Stato che avrebbe, d’ora in poi, deciso quanto intervenire e dove.
Stessa cosa nel film: e anche il terzo capitolo di Capitan America prende le sembianze di un film con i forti connotati politici, con da una parte Cap che, nonostante la sua “uniforme” a stelle e strisce decide di schierarsi contro la legge, e Iron Man che invece è filogovernativo. CIVIL WAR è un tassello fondamentale dal punto di vista narrativo, perché fa compiere un balzo in avanti alla macrostoria raccontata dall’MCU: ma anche da un lato prettamente produttivo, perché tra le loro fila gli Avengers accolgono Spider-Man.
Ed è una circostanza storica: si accennava sopra di come Spider-Man facesse parte di quegli eroi con i diritti appannaggio di case di produzione differenti dai Marvel Studios.
Il crescente e inarrestabile successo del brand ha però fatto sì che con il passare degli anni (e dei film) la Marvel volesse riappropriarsi di tali diritti, sia per sfruttare tutti i suoi personaggi ai fini di una logica di coerenza interna ed economica, sia per accontentare i numerosi fan che si trovavano difronte una situazione paradossale.
Per fare un esempio: Wanda Maximoff -aka Scarlet- e il fratello Pietro, due eroi facenti parte sui fumetti dei Vendicatori, erano apparsi per la prima volta in AVENGERS AGE OF ULTRON, dove a fine film il velocista sokoviano moriva. Ma Wanda e Pietro erano anche dei mutanti: contemporaneamente quindi apparivano anche nei film della FOX, con attori diversi e storie diverse (là, Pietro era un Evan Peters acclamatissimo, in diverse sequenze passate alla storia).
Spider-Man è stato allora il primo eroe a “tornare a casa”: tramite un patto epocale con la Sony, i Marvel Studios poterono finalmente utilizzare Peter Parker che conseguentemente entrava nelle fila del gruppo. Una faccenda enorme, per l’epoca, che tenne banco su tutti i giornali di settore e non, sfociando inevitabilmente nel primo film solista dell’arrampicamuri targato Marvel. Un nuovo reboot per lui, dopo essere stato nei due film di E.W.Swackhamer nel 1977 e in quelli di Raimi dal 2000.
Dopo CIVIL WAR, e prima di SPIDERMAN, ci fu però tempo per DOCTOR STRANGE con la regia di Scott Derrickson (già autore del bell’horror SINISTER), che rileggeva la Sword & Sorcery declinandola in salsa supereroistica, e poi per il sequel GUARDIANS OF THE GALAXY vol. 2sempre con Gunn dietro la macchina da presa.
SPIDER-MAN: HOMECOMING arrivò solo nel 2017, anno anche del THOR: RAGNAROK di Taika Waititi.
THOR: RAGNAROK contraddice totalmente ogni aspettativa e speculazione cinefila proponendo un restyling semantico, strutturale e tonale che segna una netta cesura nel Marvel Cinematic Universe. Ardito fautore di quest’altrettanto audace cambio di rotta, Waititi; il regista neozelandese, totalmente smaliziato in materia di supereroi, non ama le mezze misure, stravolgendo il paradigma whedoniano, estremizzandone i presupposti e ridicolizzandone alcuni capisaldi. Asgard viene avvolta da una patina glam in puro stile ’80s, con un apparato estetico che farebbe impallidire ogni cult movie del decennio: scene d’azione funamboliche ed in slow motion, carisma dei personaggi ai massimi storici, il tutto confezionato in una sgargiante cornice cromatica.
Un anno dopo, arriva sugli schermi BLACK PANTHER, altro film spartiacque per la dignità dei cinecomics: primo del genere ad ottenere dei premi Oscar (scenografia, costumi e colonna sonora; nomination per miglior film, montaggio sonoro, sonoro, miglior canzone), caposaldo di una rinnovata blackexploitation con protagonista il primo vero supereroe di colore.
LE SCENE POST-CREDIT
Tutto questo senza dimenticare le attesissime scene post-credit, che avanzavano la trama principale verso l’abbagliante fine della Fase Tre: in IRON MAN 3 nessuna anticipazione, ma solo un duetto fra Tony Stark e Bruce Banner; THOR THE DARK WORLD ne contiene addirittura due, dove nella prima si incontra il Collezionista, in seguito tra i protagonisti de I GUARDIANI DELLA GALASSIA, che mostra di avere al Gemma della Realtà, una delle sei pietre necessarie per far funzionare l’onnipotente Guanto dell’Infinito inseguito, da anni ormai, da Thanos, e nella seconda vediamo Thor che riporta la sua amata Jane Foster sulla Terra; in THE WINTER SOLDIER fanno il loro esordio proprio Wanda e Pietro, tenuti in cella dal barone Von Strucker della cattivissima e neonazista Hydra, che ricevono i loro poteri proprio dalla Gemma della Mente, e ancora Bucky, il Winter Soldier del titolo, che inizia ad indagare sul suo passato dimenticato.
In GUARDIANS OF THE GALAXY due scene: baby Groot che balla, e uno sguardo alle prede del Collezionista, tra cui ritroviamo addirittura il redivivo Howard il Papero; in AGE OF ULTRON, Thanos indossa finalmente il guanto; in ANT-MAN viene mostrato il costume di quella che sarà la sua partner in seguito, la Wasp della bellissima Evangelyne Lilly, e Steve Rogers discute con Sam Wilson dei pericolosi Accordi di Sokovia; in CIVIL WAR facciamo la conoscenza di Pantera Nera e della sua Terra, il Wakanda, e viene introdotta anche zia May in un siparietto con il nipote Peter; in DOCTOR STRANGE torna brevemente Thor, per riallacciarsi al prossimo RAGNAROK, e facciamo la conoscenza del villain Barone Mordo; GUARDIANS OF THE GALAXY vol. 2 ha addirittura cinque scene post-credit, la più importante mostra la futura nascita di un eroe amatissimo dai fan, Adam Warlock, ancora conosciuto solo come Lui; in THOR RAGNAROK torna Thanos, che insegue Loki perché in possesso di un’altra Gemma da aggiungere al suo Guanto; in BLACK PANTHER, il Wakanda entra a far parte delle Nazioni Unite.
I giocatori sono al loro posto: ora tutto è veramente pronto per la pirotecnica corsa verso la fine.
FINE DEI GIOCHI
È il 2018 quando nelle sale di tutto il mondo esordisce AVENGERS: INFINITY WAR, la prima parte delle due che chiuderà la fase in atto dell’MCU.
La morte arriva per tutti.
È imparziale e misteriosa, assoluta ed eterna. È la nemica della vita, ed era venerata dagli antichi greci con il nome Thanatos.
I Marvel Studios avevano avvertito tutti, fin da AVENGERS: la morte, Thanos, sta arrivando, e non ci sarà scampo. Dopo sei anni di attenta e meticolosa costruzione, INFINITY WAR (preso in prestito dalla celebre miniserie a fumetti in sei parti THE INIFNITY GAUNTLET, il Guanto Dell’Infinito….) sbarca nei cinema per distruggere non solo buona parte dei supereroi in costume, ma anche buona parte delle certezze che il pubblico credeva di poter avere nell’MCU, lasciando dietro di sé solo macerie.
AVENGERS INFINITY WAR (con il suo seguito, ENDGAME) è in fondo un enorme, costosissimo, emozionante crossover: arriva a dieci anni esatti dall’inizio della storia con IRON MAN, e pone l’accento su uno dei villain più riusciti e tridimensionali della storia del cinema, quel Thanos creato da Jim Starlin che decide di sterminare metà della popolazione umana solo per il bene della Terra.
Impresa titanica, letteralmente, quella dei fratelli Russo, demiurghi dell’ultima frangia creativa dei Marvel Studios, che certosinamente hanno costruito e adesso mostrano in gran spolvero questo monumentum aere perennium, uno dei film più costosi e enormi (nelle ambizioni, nella struttura, nella lavorazione, nei risultati) che il cinema moderno ricordi, un’opera maestosa lunga più di due ore e mezza ma non fluviale, bensì proprio enorme.
Su un livello prettamente tecnico, poi, AVENGERS INFINITY WAR è straordinario per come sceneggiatori e registi hanno saputo e voluto assemblare una storia con diciotto personaggi differenti -insieme ad un procione e un albero- tutti con una fisionomia ben definita, tutti con un loro spazio e tutti con la loro personalità filmica, che si mescolano, anzi si assemblano per far fronte comune senza rinunciare alle loro individualità.
E sempre a proposito dei personaggi: due o tre colpi di scena sono davvero ben piazzati e regalano divertimento ai fan più accaniti e non. Ma ci sono anche un paio di sequenze in cui il cuore sobbalza per fremiti emozionali non propriamente legati alla storia: in particolare, l’ultimo abbraccio di Spiderman e Iron Man è qualcosa di delicato e struggente, inaspettato e violento, è un momento di cinema e di racconto che resta impresso.
Thanos è un Titano Folle, è un essere di oltre tre metri dalla pelle viola e dal mento bislacco: ma è un genocida con un’idea precisa in mente, un assassino senza scrupoli che, mentre soffiano venti biblici, sacrifica la figlia per un potere che è (anche) conoscenza, è un personaggio gigantesco e tridimensionale non solo grazie alla CG ma anche e soprattutto per una componente psicologica non da poco.
“Narcisista sociopatico e shakespeariano”, Thanos è indiscutibilmente metafora assoluta della volontà di potenza che sfida l’ultraterreno e fa i conti con la divinità, pagandone i prezzi più alti, unificando in maniera spettacolare l’idea di narrazione e quella di industria, di concezione filosofica del mondo e addirittura di spiritualità. Un villain a tutti gli effetti, perfetto e profondo: che piange e soffre, e che con uno schiocco di dita aggiusta l’universo come lui pensa dovrebbe essere.
Non è in fondo quello che ognuno di noi vorrebbe fare? Non è quello che, in preda allo sconforto o alla vista delle tante storture, chiunque si ritenga giusto vorrebbe avere il potere di fare incidendo su una realtà sbagliata? In fondo è sempre solo una questione di punti di vista: questo alla Marvel lo sanno bene, se hanno fatto litigare i suoi due personaggi più iconici (Capitan America, sentinella della libertà, ideologo e “comunista”; e Iron Man, capitalista, tecnocrate, materialista e “fascista”) per divergenze etiche sul loro ruolo in un mondo che rifugge la morale, spaventato da problemi più grandi di lui.
Senza mezzi termini e preamboli, questo film è un unicum nella storia del cinema moderno e non, per tutto quello sopra detto ma anche perché il cinema con la Marvel ritorna ad essere un grande evento condiviso, un rito comune, un momento in cui in tutto il mondo l’appassionato si ferma e va in sala per assistere all’opera cinematografica tanto attesa. E non è davvero cosa da poco: l’attesa, l’hype, il momento della scoperta rimandato che abilmente scarta il web e fa ritrovare tutti in sala, sono tutti componenti di un rito che con l’avvento di internet si erano persi ma che già si stavano dissolvendo con l’inevitabile diverso utilizzo che dell’oggetto filmico oggi si fa. AVENGERS INFINITY WAR sancisce il ritorno ad un certo tipo di concezione, con il ritorno nel buio del cinema per avere tutti nello stesso momento, con lo stesso film, la stessa emozione.
Tra il primo (INFINITY WAR) e il secondo atto (ENDGAME), il “coro”: CAPTAIN MARVEL e ANT-MAN & THE WASP alleggeriscono la tensione, smorzano i toni, riportano il racconto a quelle dimensioni più ritmate e divertenti ma non troppo. Mettono in scena un nuovo supereroe, meglio, supereroina, quella Carol Danvers aka Capitan Marvel che non poteva mancare in tempi di #metoo (con tanto di regia al femminile di Anna Boden), e in certo senso riequilibrano la situazione che INFINITY aveva creato, con quel finale enorme e straniante, che mostrava la dissolvenza di quasi tutti gli eroi.
Specialmente il primo è solido narrativamente, spettacolare, coinvolgente, perfettamente integrato nella continuity Marvel nel suo essere a tutti gli effetti un prequel (è ambientato diversi anni prima di IRON MAN), ed ha una scena post-credit che rimanda ad eventi che avranno luogo probabilmente solo nel 2023: perché Nick Fury, insieme a Maria Hill, sua sodale nello S.H.I.E.L.D., rivela di essere uno Skrull, ovvero un alieno mutaforma. Da quanto tempo ha preso il posto del Fury originale? E quali sono i suoi piani? Tutti misteri che diventeranno materiale per SECRET INVASION, serial tv in pre-produzione che approderà sugli schermi di Disney Plus solo, appunto, nel 2023.
Perchè proprio i serial saranno centrali nella Fase Quattro, appena iniziata con WANDAVISION.
Ma anche questo: materiale per un altro giorno.
La MARVEL al cinema (pt. 2)
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