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Conversation

Terra bruciata! Conversazione con Luca Gianfrancesco

In occasione della giornata della memoria History Channel dedica tre serate speciali al racconto delle persecuzioni dei nazifascisti

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In occasione della giornata della memoria History Channel dedica tre serate speciali al racconto delle persecuzioni dei nazifascisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Terra Bruciata! apre la rassegna lunedì 25 gennaio, alle 22:40. Nella conversazione con il regista Luca Gianfrancesco i motivi di un racconto fuori dall’ordinario.

Volevo aprire l’intervista dedicandola alle vittime di cui parla Terra bruciata! e poi a Cecilia Mangini, che ci ha appena lasciato. Diceva la regista pugliese: “Sono stata per tutta la vita una documentarista e anche quando ho fatto fotografia sono andata alla ricerca di qualcosa di molto più profondo della verità, di assolutamente nascosto che solo le immagini possono rivelare”. Mi piacerebbe un tuo commento a riguardo.

Lei, come tutti sanno, è stata la prima documentarista donna del primo audiovisivo italiano e aveva il dono di riuscire a coniugare il realismo con la poesia. Che poi è la grande scommessa che affrontano tutti i grandi documentaristi, a partire da Frederick Wiseman, ma anche dai suoi contemporanei. Quando si riesce a raccontare un fatto storico o di cronaca con l’incisività del realismo unito al linguaggio poetico che lei aveva, quello, come dice lei nella frase, è il raggiungimento dell’obiettivo più ambito per chi fa questo lavoro, cioè quello di riuscire a comunicare fatti realmente accaduti in maniera poetica, capaci di raggiungere il cuore delle persone al di là della curiosità storica, antropologica, politica dei fatti raccontati. In questo senso penso che lei sia in linea con i grandi registi del cinema, anche perché questo crinale tra documentario e cinema è andato sempre più assottigliandosi; per cui sono linguaggi comparabili. 

A proposito di linguaggi, in Terra bruciata! ne metti insieme due, perché  il tuo non è solo un documentario, ma anche cinema di finzione. Un’unione dettata, non solo dal voler agevolare la comprensione degli avvenimenti, ma anche per favorire il coinvolgimento del pubblico, che è spinto a partecipare al destino delle persone impegnate a sopravvivere alle stragi messe in atto dai tedeschi nel casertano. 

Questo film è stato una grande scommessa per i rischi a cui si poteva andare incontro. Come hai detto bene tu, è un ibrido, tanto che in Italia forse non esiste nemmeno un termine che lo definisce: gli anglosassoni lo chiamano docudrama, vale a dire una sorta di via di mezzo tra il cinema e la finzione. In realtà ci sono molti documentari e nello specifico quelli storici, dove ci sono ricostruzioni come la nostra, ma la differenza è che Terrà bruciata non mette in immagini le memorie dei testimoni intervistati, ma vi aggiunge qualcosa, nel senso che la sua fiction è cinema. Nello specifico, si tratta di tanti piccoli film all’interno di una struttura, che invece ricorda quello del documentario. I rischi di cui dicevo all’inizio erano relativi al fatto di parlare di storie vere: quando hai davanti agli occhi persone che ti raccontano vicende terribili, come capita ai nostri testimoni, affiancare una ricostruzione in forma di fiction è un grandissimo azzardo. Nel senso che la retorica è dietro l’angolo.  Vedere le parole che si trasformano in una messa in scena con gli attori e la musica è un passaggio delicato. La possibilità di diventare ridondanti è tanta. Dal successo del film credo di averlo evitato. 

Uno dei segreti di Terra bruciata! è per l’appunto la grande accuratezza delle ricostruzioni. Penso per esempio alla cura con cui sono stati scelti i volti dei personaggi, alla corrispondenza con la fisiognomica del tempo. Parlo non solo dei personaggi italiani, ma dell’espressività degli ufficiali tedeschi. Alle prese con una materia di per sé carica di pathos, tu hai l’accortezza di non aggiungere altra enfasi, scegliendo una drammaturgia meno concitata e lavorando di sottrazione sia con gli attori che con la tua regia. 

Certo, tenendo presente il grande stress emotivo dello spettatore calato nel mezzo dell’azione, dopo aver ascoltato le drammatiche testimonianze degli intervistati. Il lavoro di sottrazione ha riguardato gli attori  e la mancata sottolineatura dell’impianto di recitazione, considerando quanto già la parole avevano trasmesso al pubblico prima della loro apparizione.  Nel farlo ho avuto buon gioco perché i sei protagonisti –  Paola Lavini, Antonio Pennarella, Pino Sferra, Arturo Sepe, Luciana De Falco, Antonello Cossia –  erano tutti attori provenienti dal cinema, dal teatro,  dalla televisione, quindi  capaci di entrare nel registro voluto e cioè di evitare sottolineature eccessive. Per quanto riguarda gli ufficiali tedeschi, sono stato fortunato a trovare due giovani attori che fanno teatro e che sono stati bravissimi. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, ho cercato fortemente di rispettarne la verosimiglianza con i tipi di quell’epoca. Ho fatto un lavoro di svariati mesi sul territorio, contattato alcune filodrammatiche e compagnie teatrali, pescando i vari personaggi in continuità con l’aspetto degli altri personaggi. Molte altre facce appartengono a gente reclutata proprio nei paesini in cui avvennero i fatti.

Come documentario Terra bruciata! è importante, perché racconta di  una questione storica di cui pochi erano a conoscenza, e cioè che dopo l’8 settembre il Casertano diventa il laboratorio del nuovo atteggiamento tedesco nei confronti dell’alleato italiano. È lì che per la prima volta  si sperimentano le conseguenze di un occupazione diventata improvvisamente violenta e stragista, come poi succederà  nelle regioni del nord Italia.

È questo il tema. Parliamo di un territorio e di una popolazione molto sfortunati, nel senso che con l’armistizio, non solo il governo italiano non è più alleato con i tedeschi, ma diventa cobelligerante con gli alleati. La particolarità sta nel fatto che in quel momento le zone in questione rappresentavano il fronte di guerra. Questa è la differenza con quello che succede tra settembre e dicembre del 1943 nella provincia di Caserta e nell’alta Campania e in tutto il resto d’Italia. L’armistizio ovviamente vale per tutto il paese, ma in quei mesi il fronte è lì; dunque, essendo zona di guerra – tant’è vero che come si dice anche nel film la  provincia di Caserta è la prima area italiana ad essere dichiarata zona di operazioni -, i tedeschi esautoravano le istituzioni locali, prendendo il controllo completo del territorio, dalle istituzioni alla polizia. La violenza dei tedeschi avviene esattamente per quella cosa che tu dici. Quando  i tedeschi arrivano in provincia di Caserta in ritirata da Napoli, dove sono stati cacciati dalla popolazione insorta, hanno il dente avvelenato, nel senso che iniziano ad avere paura, perché si trovano improvvisamente ad essere circondati da nemici. Questa è la ragione per cui ho deciso di raccontare questi fatti. In Terra bruciata! si concentrano una serie di coincidenza, dovute al fatto che i tedeschi per la prima volta iniziano ad avere paura degli italiani. Considerati dei militari scadenti, sfaticati e donnaioli,  incapaci di fare la guerra, dopo le quattro giornate di Napoli inizia a farsi largo tra le fila nemiche un’idea differente. Si capisce che gli italiani, quando sono mossi da un ideale concreto, sono dei combattenti formidabili. Non mi spiegavo come fosse possibile che una storia enorme e così importante, anche per capire e per interpretare meglio quello che poi succede nel resto d’Italia man mano che il fronte avanza, non fosse mai stata raccontata. Con Terra bruciata! ho voluto coprire questa lacuna. 

L’eccezionalità del racconto è anche data da due dei tanti episodi che vi vengono raccontati. Il primo è relativo alla comunità di Tora, la cui popolazione salva la vita a una novantina di ebrei, il secondo alla strage di Conca della Campagna, le cui modalità anticipano quella di Marzabotto. 

Come suggerisce anche il sottotitolo (Il laboratorio italiano della ferocia nazista, ndr) Terra bruciata! si occupa di raccontare le stragi naziste avvenute in questo territorio. Ho voluto usare quella di Conca della Campagna come una specie di paradigma per raccontare tutte le altre accadute nel Casertano. Abbiamo scelto quella perché, grazie al racconto dei testimoni, siamo riusciti a costruirla minuto per minuto. Se spostiamo il discorso sulla resistenza, Terra bruciata! è anche il laboratorio della resistenza italiana perché racconta di quando tutto ebbe inizio, laddove le popolazioni di quelle zone iniziano a ribellarsi alle brutalità dell’occupazione nazista. Sono delle insurrezioni spontanee e improvvisate, prive del profilo organizzativo e strutturato incontrato a Roma con le fosse Ardeatine e poi a Marzabotto. In relazione alla resistenza, Terra bruciata! racconta due episodi, quelli accaduti a Tora e Riardo. Nel caso di Riardo succede come a Napoli, perché gli abitanti di questo paesino si armano, scacciano i tedeschi e salvano la vita a una pattuglia di soldati americani. Quello di Tora invece è collegabile alla Giornata della memoria che  apprestiamo vivremo nei prossimi giorni. Si tratta di un episodio di resistenza civile, perché non viene sparato un colpo e non scorre una goccia di sangue. Non ci sono rappresaglie tedesche. Dopo essere stata trasferita a Tora, la comunità ebraica napoletana si salva dalla deportazione, perché gli abitanti di quel paese non li tradiscono, neanche quando nei campi di lavoro in Germania vengono deportati alcuni dei loro cittadini. Avrebbero potuto barattare la vita dei propri cari con quella dei nuovi arrivati e invece non lo fanno.  Come dice una delle testimoni, Ziva Modiano, Tora è l’unico posto in Europa dove durante la seconda guerra mondiale  sono andati via con un numero più alto di persone di quello con cui erano arrivati, perché nel frattempo vengono messi alla luce due bambini.

Si parlava dell’accuratezza con cui hai realizzato la parte di finzione presente all’interno di Terra Bruciata!. Di solito nei docudrama non si usano attori importanti, invece il cast ne annovera più di uno, tra cui  Paola Lavini che anche in questo caso conferma la propensione a recitare in dialetto, risultando credibile nonostante sia l’unica a non essere campana. Peraltro, la coincidenza vuole che il suo personaggio assomigli a quella di sua nonna, anche lei capace di salvare il marito dalle rappresaglie dei soldati tedeschi.

Quest’ultimo aneddoto infatti lei lo racconta nei dibattiti seguiti a tutte le proiezioni del film ed è una cosa molto bella. Sarò grato per sempre a Paola e agli altri attori, nel senso che molti sono anche amici personali, e penso ad Antonio Pennarella, purtroppo scomparso poco prima che uscisse il film. Paola è stata una scoperta meravigliosa; l’ho conosciuta grazie a una conoscenza comune per una piccola cosa che volevamo fare con lei. Quando l’ho vista simulare in maniera ineccepibile il napoletano, l’emiliano, il calabrese ho pensato fosse perfetta per il film. Devo dire che ci siamo anche divertiti, perché io sono originario di uno dei paesini che sono stato teatro della vicende del film; quindi, per qualche giorno l’ho ospitata nella mia famiglia.Entrare in contatto con mia madre e le mie zie le ha permesso di adottare il metodo Stanislavsky e dunque di assorbire in poco tempo l’accento e le sfumature delle lingua locale. Questo le ha permesso di calarsi nel personaggio e realizzare una performance degna di nota. 

In occasione della giornata della memoria, History Channel dedica tre serate speciali al racconto delle persecuzioni dei nazifascisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Terra Bruciata! apre la rassegna lunedì 25 gennaio, alle 22:40. Mi piacerebbe concludere l’intervista con un invito alla visione per i lettori di taxidrives.it 

La storia degli ebrei raccontata in Terra Bruciata! è una vicenda a lieto fine grazie al coraggio, alla gentilezza e all’umanità degli abitanti di questo piccolo paesino. Metterlo in scena fa capire qualcosa di diverso rispetto alla figura del solito meridionale fascista in attesa di essere stato liberato dagli americani, per poi riciclarsi nelle file liberali. Con Terra bruciata! questo paradigma viene smontato. 

Un ringraziamento speciale a Cristina Vardanega e Margherita Fratantonio

  • Anno: 2018
  • Durata: 90
  • Distribuzione: Cinecittà Luce
  • Genere: documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Luca Gianfrancesco

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