Conversation
Conversazione con Stefano Lodovichi regista de La Stanza
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4 anni agoon

Prodotto da Lucky Red e distribuito on demand su Prime Video La stanza di Stefano Lodovichi è un thriller psicologico con venature horror che racconta gli inferni famigliari attraverso un triangolo edipico autodistruttivo
La stanza si apre nel bel mezzo dell’azione. Se è chiaro che Stella si sta per suicidare, la forma delle immagini sembra volerci dire dell’altro. In generale nel film esiste una tensione tra le azioni dei personaggi e le informazioni presenti all’interno del quadro. Nella sequenza in questione a depotenziare lo sguardo rispetto alla realtà delle immagini è la sproporzione tra la figura di Stella e la cornice della finestra che la contiene. In campo lungo quest’ultima appare di una grandezza smisurata per essere reale. A questo si aggiunge il pallore eccessivo della ragazza e la trasparenza virginale dell’abito da sposa: tutti particolari che fanno di Stella la protagonista di un mondo fantasmatico.
Il film procede in due direzione. La prima, quella più evidente, è relativa al racconto di genere e in questo caso l’home invasion a cui La Stanza appartiene per struttura narrativa. L’altra invece è la trasposizione di un’idea, di un sentimento, di una emozione, di un senso di colpa declinati in chiave surreale, grottesca e anche horror.
Certamente. La stanza è stato scritto come se fosse una costellazione di piccoli elementi, di piccoli indizi, destinati a legarsi al percorso compiuto da Giulio nel momento in cui entra nella casa di Stella. Dal primo momento il suo costante pensiero è quello di mettere alla prova la madre, anche andando a tentoni, perché essere di fronte alla donna che ha cambiato la sua vita lasciandolo solo e senza risposte non può farlo rimanere indifferente. Nel momento in cui lui mette piede nell’edificio, riceviamo tanti piccoli segnali che sembrano strani e stonati ma che lo sono solo in apparenza, come il comportamento di Stella destinato a trovare coerenza nel proseguo della storia mentre all’inizio ci si chiede perché faccia entrare quella persona, perché di tanto in tanto accetti di relazionarvisi, nonostante la sua stranezza e ambiguità e direi anche il suo essere inquietante.
A proposito di segni, uno molto importante è quello di matrice hitchookiana che rimanda a Psycho, con il buco nella parete da cui Giulio guarda cosa succede nella stanza attigua alla sua. Il fatto che verso la fine del film ci mostri la stessa azione, compiuta però da Stella, rimanda al duplice punto di vista del film, che è di entrambi i personaggi.
Come nella messa in scena di un film di Tim Burton, anche in quella de La stanza gli aspetti grafici sono prevalenti. Da una parte danno vita a una precisa e peculiare estetica, dall’altra fornisco un senso legato strettamente alla dimensione interiore dei personaggi.
Tutto questo viene ribadito anche da un altro elemento fondamentale della storia, che è quello della relazione tra l’album fotografico e i protagonisti. Dicevamo degli aspetti grafici e della corrispondenza tra estetica e contenuti. Le fotografie scattate da Giulio in Giappone si legano indissolubilmente al ricordo della madre, al suo legame con lei. Ancora un elemento accessorio all’interno del quadro diventa significante delle relazioni tra i protagonisti.
Certo, il Giappone è in qualche modo il sogno di Stella, che il figlio ha portato avanti in sua vece. Allo stesso tempo è la condivisione infantile di un bambino, simile a quella del gatto che porta al padrone l’uccellino per farglielo vedere. In quel momento del film Giulio è il bambino che fa un disegno e vuole condividerlo con la madre.
Si tratta di un particolare del tutto coerente con la costruzione de La stanza. Il segno grafico ed estetico diventa sostanziale del legame madre e figlio. Una simbiosi di elementi presente lungo tutto il film.
Come ti ho detto prima è tutto ai limiti della follia, estremamente tematico e coerente, sempre annodato.
La stanza è attraversato da linee e geometrie che si stagliano sullo sfondo dell’immagine, venendo spesso in primo piano per partecipare a un determinato stato d’animo, il più delle volte per diversificarlo dall’apparenza dell’immagine, trasformando la violenza in una richiesta d’amore. Specchi e finestre sono spesso incorniciati all’interno di architetture Art Deco.
Tra l’altro utilizzi il campo lungo e le profondità di campo in maniera narrativa, per questo voglio chiederti di queste due scene. Nella prima, Stella è già seduta al tavolo per iniziare a mangiare mentre Giulio è in piedi, un po’ distante da lei e più vicino al nostro punto di vista. Quello che mi ha colpito è la scarto tra la figura minuscola della donna e quella smisurata del suo ospite. È come se questa differenza volesse segnalare la predominanza dell’uno sull’altra. Lo stesso succede nella seconda, ma a parti inverse, nel senso che il primo piano del personaggio di Edoardo Pesce è sfocato, mentre la figura di Giulio, pur rimanendo sullo sfondo, è nitida e visibile.
È normale. La profondità di campo è un elemento con il quale gioco molto spesso, perché ogni ottica ha un significato e, più profondità di campo hai, più hai la possibilità di vederci, di capire e di sapere quello che guardi nella storia in cui guardi. Questa è una vicenda che di largo non ha tantissimo: c’è sempre una certa distanza, sempre qualcosa fuori fuoco, perché comunque prima della fine non si può comprendere del tutto la realtà della vicenda. Non a caso nel finale le inquadrature sono più larghe; ad esempio, c’è una corrispondenza: l’aumento di luce all’interno della casa e l’uso di ottiche più ampie. Le sfocature si riducono, la profondità di campo si allarga perché Stella ha compreso qualcosa di più. Con la speranza, l’inquadratura si allarga a partire da quando lei entra nella camera del figlio ed entrambi si rifugiano nella casetta di cartone: quando escono fuori, c’è un campo lungo nel corridoio con il modellino di dinosauro per terra. Da lì scendiamo piano di sotto e per la prima volta è una panoramica a rendere tutto più nitido: nella cucina lo sguardo sulle cose è oggettivo; a terra c’è del sangue a indicare che qualcosa è successo. Le foto sono sul tavolo, dunque la realtà è quella. Da quella non si scappa e l’ultima inquadratura su Stella sta a significare che è lei la protagonista, quella che ha fatto un passo, un piccolo passo in avanti.
Nel primo dei due campi lungi la scenografia mette insieme oggetti diversissimi, per stile epoca e funzione. Vediamo lampade antiche a fianco di uno schermo da computer, a suggerire come in altri casi una sospensione temporale e una dimensione interiore della vicenda, legittimata dalla stratificazione di passato e presente all’interno delle medesime inquadrature. Mi sembra che tu abbia lavorato molto alla scenografia e alla disposizione degli oggetti.
Sì moltissimo. Il copione aveva più o meno quindici pagine in più dedicate alle descrizioni interne alle scene, con descrizioni degli ambienti, delle luci, dei colori, del tipo di carte da parati rovinate dalle quali trasparivano grafiche e scritte. Da questo punto di vista è stato fatto un grandissimo lavoro già nella costruzione e punteggiatura delle atmosfere e su come doveva essere questa casa. Con l’arrivo dello scenografo Max Sturiale e dell’art director Adriana Cattaneo, si è delineata e ha preso vita la possibilità di fare una casa come questa, anche perché non ho cercato un’abitazione reale, ma l’ho fatta come l’avevo pensata.
La stanza, dal punto di vista narrativo, mette in scena un triangolo edipico, in cui a livello psicanalitico queste tre figure archetipiche interpretano dei personaggi come quelli del film. Si palesa la gelosia del padre rispetto al rapporto tra madre e figlio e l’inevitabile uccisione del genitore da parte del figlio.
Non per niente il film è attraversato da una forte componente di Eros, e soprattutto Thanatos, che è parte integrante del rapporto madre e figlio.
Certo, come pure è parte integrante della vita stessa. Non si può prescindere da essa. La morte di un genitore è un elemento che ti fa crescere, ma questo è pure alla base della scrittura. In essa per esempio per diventare adulto devi uccidere tuo padre e il tuo mentore. Sono riuscito a fare questo film che avevo iniziato a scrivere tre anni fa solo dopo la morte di mia madre, accaduta un anno fa. Dunque, in questo percorso, nel quale la scrittura del progetto è cambiata tantissimo, sono riuscito a vedere questa storia da un punto di vista differente, probabilmente digerendo il dolore e le incomprensioni e crescendo dal punto di vista umano.
Il fascino di un film come La stanza è che rimane comunque un oggetto inafferrabile per lo spettatore chiamato a completare lui la storia dei suoi significati Fermo restando che il finale mette in scena il superamento di una crisi. Non a caso vediamo Stella vestita di nero, consapevole e disposta ad elaborare il lutto.
Giusto, anche perché l’unico modo che si ha per crescere è quello di confrontarsi con la morte, confrontarsi con lucidità sui problemi, da un certo punto di vista semplicemente con il dire le cose, perché molto spesso è il non detto che crea i mostri. E’ semplice mandare a quel paese le persone, odiarle e offenderle, ma è così complesso dire ti amo o ti voglio bene a una persona cara. Il non detto crea traumi e difficoltà, acuisce spazio e distanze in cui poi si annidano i mostri. Con la scrittura fatta assieme a Francesco Agostini, l’idea di verosimiglianza si riferiva alla creazione di una plausibilità interna alla nostra storia, perciò dal primo minuto tu sei preso per mano da Stella sul bordo di quella finestra, entri dentro questa casa e accetti di seguirla nella sua vicenda. Nella nostra storia devi credere di amare i personaggi e il loro percorso senza farti portar via dalla verità della strada, dalla verità oltre la finestra che è quella delle regole. Ciò che ci interessava era il rapporto interno dei personaggi: l’amore, i sentimenti e le passioni; la commozione e la catarsi finale, che è una cosa cui io credo molto-
Uno degli effetti della pandemia è stato quello di cancellare il rimosso della morte ricollocandola al centro delle liturgie sociali. In questo il tuo film entra in dialettica con la realtà, aiutandoci a fare i conti con essa, suggerendoci i mezzi per riuscire a farlo.
Sono totalmente d’accordo! Siamo in un periodo di grandi cambiamenti, non sapendo dove ci porteranno. Di certo c’è la verifica di vivere in una società fallimentare. Mi auguro il meglio, ma ho la sensazione che sarà difficile, perché come la mia casa anche lo spazio pubblico è un luogo della perdizione, dove il loto crea distanza e ti fa addormentare. Mi sembra che la gente preferisca farsi trasportare senza farsi domande, senza realmente mettersi in gioco, senza fare critica su se stessa. Questo è il mio grande timore. Mi auguro che non sarà così e che l’esperienza ci faccia imparare qualcosa.
Le interpretazioni sono veramente performanti, perché gli attori sono chiamati a un tour de force non solo interpretativo, ma anche fisico. Da una parte devono farsi portatori del senso di minaccia che incombe su di loro, dall’altra lo devono fare come se ignorassero la ragione del loro tormento e della loro follia.
Non la fa più ragionare impedendole di riconoscere la bugia di Giulio.
L’arco narrativo del film potrebbe essere in estrema sintesi il percorso che porta una madre ad abbracciare il figlio, perché è quello che manca a Giulio.
È quello che ti dicevo prima a proposito della difficoltà di dire ti amo e ti voglio bene alle persone care. Pensa quanto ci manca un abbraccio oggi che non lo possiamo fare.
Per concludere la nostra conversazione, la domanda sul cinema che ti piace come spettatore e ti ispira come regista.
Il grande cinema di intrattenimento americano, soprattutto quello di avventura. Sono cresciuto con mia madre che mi faceva guardare la commedia all’italiana e mio padre che mi portava a vedere i film d’azione americani degli anni settanta e ottanta, quelli con Stallone e Schwarzenegger. Poi piano piano ho trovato la mia dimensione e il mio grande amore è arrivato guardando i film di Spielberg e con lui il grande cinema del diventare grandi, del vivere grandi avventure. Quello che vorrei è questo, raccontare grandi avventure ed è quello che sto cercando di fare anche nei progetti futuri. Trovare personaggi capaci di attraversare di nuovo il tempo e lo spazio, pur di vivere esistenze capaci di cambiargli la vita e di salvare il mondo. Quindi se dovessi dirti un film che amo alla follia è Incontri ravvicinati del terzo tipo