David Lynch, nato il 20 gennaio 1946, compie 75 anni. Vincitore della Palma d’Oro nel 1990 con Cuore selvaggio e nel 2001 con Mulhollan Drive, ottiene il Leone d’oro alla carriera nel 2006 e l’Oscar nel 2019.
Misterioso, trascendentale e onirico sono solo alcuni degli aggettivi con cuoi si può descrivere il cinema di David Lynch. In sostanza il cineasta è uno dei pochi autori capace respingere ogni possibile classificazione. I suoi film nascondo sempre uno o più messaggi da decifrare. Partendo da un materiale, apparentemente banale, imbocca strade disseminate di ostacoli psicoanalitici e giunge a conclusioni a dir poco paradossali. David Lynch stravolge la convenzionale fruizione cinematografica. I suoi film sono dei chiodi che penetrano l’inconscio dei personaggi e dello spettatore.
La nuova Hollywood
Per ragioni principalmente cronologiche l’attività cinematografica di David Lynch viene spesso accostata alla Nuova Hollywood. Ma il suo cinema è lontano anni luce da autori come Micheal Cimino, Francis Ford Coppola o Brian De Palma.
Questi, pur affermando uno stile autoriale, agiscono all’interno di un sistema produttivo e soprattutto narrativo tutto sommato convenzionale. Hanno, senza dubbio, realizzato dei capolavori come Il Padrino (1972), Il cacciatore (1978) e Scarface (1983), che sono, in ogni modo, film “conservatori”. Cioè conservano la possibilità di immedesimazione da parte dello spettatore.
In David Lynch ciò non è più possibile. Il regista, infatti, cambia di continuo il punto di vista all’interno della vicenda. Ma soprattutto non divide mai i suoi personaggi in buoni e cattivi. Non sono stereotipati e tutti sono capaci di commettere del male.
David Lynch e Luis Bunuel
Tutto ciò sconvolge lo spettatore e in alcuni momenti è quasi aggredito dal suo cinema. Difficile e forse impossibile trovare delle fonti o modelli del regista e forse non esistono. Ma la sua filmografia può essere, almeno in parte, esemplificata con il prologo di Un chien andalou (1929) di Luis Bunuel. La lama di un rasoio che taglia l’occhio di una donna.
Le immagine del regista spagnolo avevano la finalità di scuotere lo spettatore, così come il cinema di David Lynch. I due registi hanno molti punti di contatto, ma l’autore statunitense va ben oltre. Tuttavia David Lynch, insieme a Luis Bunuel e pochi altri, come Federico Fellini, ha il merito di aver fatto nascere un aggettivo riconducibile al suo stile.
Come esiste, infatti, l’aggettivo bunueliano e felliniano c’è anche lynchiano. Uno dei primi a usare il termine è stato David Foster Wallace. Lo scrittore, grande ammiratore di David Lynch, tentò di intervistarlo sul set di Strade perdute, ma il regista fu inavvicinabile.
Lynchiano
Ha, comunque, illustrato cosa significa lynchiano. Questo termine indica la presenza di alcuni temi ricorrenti del regista. In primo luogo troviamo delle figure mostruose. Personaggi con delle malformazione fisiche, come John Merrich in The Elephant Man, oppure il presunto neonato in Eraserhead.
Poi c’è la violenza, ma questa ha delle connotazioni del tutto particolare. Il regista la usa come uno strumento d’indagine nella psiche umana. Crea dei buchi che proiettano i personaggi in un “altrove”. Come avviene in Velluto blu.
David Forest Wallace ricorda anche la capacità del regista nel mescolare materiale narrativo banale con altri componenti del tutto grotteschi. E il risultato è altamente straniante. Infine, con il termine lynchiano c’è quella particolare qualità di confondere lo spettatore con immagini che oscillano tra dimensione onirica/psicoanalitica-inconscio/realtà.
Mullholland Drive
Mullholland Drive (2001) è forse il suo miglior film. Candidato all’Oscar per la miglior regia, è da molti considerati una delle più belle opere cinematografiche mai realizzate.
Dopo un incidente stradale avvenuto sulla Mullholland Drive, Rita (Laura Harring) perde la memoria. Betty (Naomi Watts), un’attrice in cerca di fortuna, cerca di aiutarla e trovare la sua vera identità.
La trama è solo apparentemente banale, ma tentare di trovare il vero messaggio di questo film è un’operazione davvero ardua. David Lynch inganna lo spettatore con falsi indizi. Nelle sequenze iniziali il film sembra un classico thriller, con due poliziotti che indagano sull’incidente.
Poi il tutto sembra dirottato su i soliti racconti ambientati nel mondo della prostituzione. Questi, però, sono tutti vicoli ciechi che non portano da nessuna parte. La reale intenzione del regista, ovviamente con la dovuta cautela, è forse evocare una dimensione onirica intraprendendo un viaggio nella psiche umana.
La prima parte del film ha un andamento del tutto lineare, se si escludono intromissioni di alcuni personaggi difficilmente collocabili. Ma questi servano per anticipare i mutamenti che avvengono nella seconda parte.
Qui tutto cambia. Le due protagoniste hanno altri nomi soprattutto un carattere del tutto diverso. Betty, sicura piena di speranze per la sua carriera d’attrice, diventa Diane, attrice fallita e delusa di tutto. Rita è ora Camilla, attrice di successo. Davvero difficile per lo spettatore orientarsi in questo labirinto onirico e psicoanalitico.
Il regista lascia alcuni indizi all’interno del complicato tessuto narrativo. Come una scatola e una chiave blu che possono servire a collocare i singoli eventi. Betty/Diane e Rita/Camilla sono in realtà l’una il doppio dell’altro. Affascinante è l’immagine dei loro volti che si fondono.

Inland Empire – L’impero della mente
Inland Empire – L’impero della mente (2006) è ugualmente complesso. Il film è stato presentato alla 63° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Due attori, scelti per recitare in un film, si ritrovano immersi in una storia oscura e raccapricciante. Si mescola la realtà, il sogno la finzione.
Anche in questo film la dimensione onirica è centrale. Ma non solo. Troviamo ancora il doppio, personaggi sdoppiati, che ingannano i protagonisti e lo spettatore. In Inland Empire – L’impero della mente è probabilmente il film più trascendentale del regista.
È individuabile, ovviamente a un’interpretazione corrispondo molte altre pur valide, un sogno di una donna che sta per morire. Il distacco dalla vita alla morte avviene senza spavento. In questo film troviamo alcuni collegamenti a riti dei nativi americani e alla massoneria.

Eraserhead – La mente che cancella
David Lynch già da subito ha mostrato alcuni temi che hanno successivamente caratterizzato la sua filmografia. Eraserhead – La mente che cancella (1977) è il suo primo film, realizzato dopo 5 anni di lavorazione. Ma in questa pellicola è presente la sua abilità nel mescolare materiale banale con elementi grotteschi.
Henry (Jake Nance) è un uomo perbene, ma codardo. Quando la sua ragazza Mary X (Charlotte Stewart) rimane incinta, lui si prende cura del bambino nonostante il compito sia molto più arduo del previsto.
Con questo film il regista ebbe grosse difficoltà. Inizialmente considerato difficilmente distribuibile, venne proiettato nelle proiezioni notturne. Ma ben presto ottenne grande successo e divenne modello da seguire per altri cineasti.
Sorprendente è il modo in cui vengono realizzate alcune sequenze. Partendo da una situazione banalissima, come una cena a casa della fidanzata in compagnia dei genitori, si arriva a un esito del tutto grottesco.
Il padre di Mary sembra un uomo giocoso simpatico, al contrario della madre scontrosa e minacciosa. Suggestiva e raccapricciante è la scena del taglio del piccolo pollo, che assomiglia molto a un roditore. Dal suo interno esce un liquido strano. Sangue? Petrolio? Non lo sappiamo; è comunque qualcosa di nocivo che fa riferimento a una società post-industriale.
In questo film ci sono molte figure mostruose. Come il neonato prematuro che piange di continuo. Ma anche la vicina di casa Henry, oscilla tra sensualità e mostruosità. E quando va a letto con il protagonista, sembra trascinarlo nel suo orribile mondo.

The Elephant Man
The Elephant Man (1980) è il suo secondo film, adattato dai libri di Frederick Treves e Ashely Montagu. L’opera ottenne un grande successo, soprattutto per Anthony Hopkins e John Hurt.
Durante uno spettacolo circense il chirurgo Frederic Treves (Anthony Hopkins) incontra John Merrick (John Hurt). È un uomo colpito da una grave malformazione congenita. Costretto da un impresario malvagio a esibirsi per il divertimento del pubblico. Merrick, in realtà, è un individuo istruito e sensibile. Il medico, allora, decide di liberarlo e di aiutarlo a reinserirsi nella società.
Durante la 53° edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar, il film ricevette ben otto nomination, senza ottenere neanche un premio. In questo caso la mostruosità è nel protagonista, ma è solo di carattere fisico. John, infatti, si mostra molto più sensibile e intelligente di tutti gli altri personaggi.
La trama è essenzialmente lineare, ma il regista non rinuncia a indagare la psiche umana. Il protagonista, comunque vive in un “altrove”, staccato dal resto del mondo. E anche quando sembra accolto è sempre lontano dagli altri personaggi. L’animo triste e malinconico del protagonista è sottolineata dalla fotografia in bianco e nero scelta dal regista.
Il genere fantascientifico, usato parzialmente nel suo primo lungometraggio, viene approfondito in Dune (1984). Il film è tratto dal romanzo omonimo di Frank Herbert.
Nell’anno 1019, la famiglia Atreides, governa il pianeta Arrakis. Fondamentale per la presenza di una spezia in grado di allungare la vita. Ma la famiglia regnante viene distrutta dal barone Arkonnen. Sopravvive solo il figlio, che cerca vendetta.
Nonostante i costumi e gli effetti speciali, il regista sembra parlare più del presente, piuttosto che del futuro. Il principale bersaglio è la società consumistica, forse l’America stessa. David Lynch in questo film si mostra abilissimo a condensare i numerosi eventi raccontati dal romanzo.

Velluto blu
Velluto blu (1986). Il titolo originale del film è tratto dal brano Blue velvet di Bobby Vinton, che nel film viene cantata da Isabella Rossellini.
Il giovane Jeffrey (Kyle MacLachlan) denuncia alla polizia di aver trovato un orecchio nel prato vicino casa. Insieme a Sandy (Laura Dern), la figlia del tenente per la quale ha preso una cotta.
In questo film, con l’interpretazione di Isabella Rossellini nei panni di una cantante di nightclub, il regista consolida alcuni punti fermi del suo stile. Oltre al gusto per l’orrido, troviamo altri tratti caratterizzanti per David Lynch. Come quello di raccontare le piccole comunità americane, di solito tranquille, come luoghi pericolosi dove avviene ogni tipo di mostruosità.

Cuore selvaggio
Cuore selvaggio (1990). Basato sul omonimo romanzo di Barry Gifford, il film vinse la Palma d’oro come miglior film al 43° Festival di Cannes.
Sailor (Nicolas Cage) evade dalla libertà vigilata per stare con la sua ragazza Lula (Laura Derm). Insieme tentano di raggiungere il Texas per sfuggire alla giustizia e amarsi senza limiti.
Sembrerà strano ma Cuore selvaggio è un film d’amore. Ovviamente non mancano gli elementi classici del cinema di David Lynch. Il gusto dell’orrido, come i denti consumati di Bobby Perù (Willem Defoe). E non manca la solita attenzione del regista nei confronti della psiche, con i innumerevoli flashback, sempre di natura tragica.

Fuoco cammina con me
Fuoco cammina con me (1992). Interpretato da Kyle MacLachlan, Sheryl Lee, Moira Kelly, Ray Wise, Chris Isaak e David Bowie, il film fu presentato in concorso al Fstival di Cannes.
Un agente dell’FBI scompare misteriosamente durante le indagini sulla morte di un’adolescente, Teresa Banks. L’omicidio sembra essere collegato a quello di Laura Palmer, un’altra ragazza del luogo. Il brillante investigatore Dale Cooper tenta di scovare l’assassino attraverso una serie d’indizi che gli appaiono in sogno.
È ancora una volta una piccola cittadina violenta al centro della vicenda. Il regista sembra mostrare quello che gli americani nascondono sotto al tappetto. Sesso e droga. Il film è, in ogni modo strettamente collegato alla serie tv I segreti di Twin Pakes (1990) scritta e diretta con Mark Frost.

Strade perdute e Una storia vera
Strade perdute (1997). Il film è crime story, ma il regista non fa mancare il suo classico ricorso al mondo onirico e all’inconscio.
Fred è un musicista Jazz convinto che sua moglie Renee lo stia tradendo. In seguito alla morte misteriosa della donna, il giovane viene accusato d’omicidio ma l’uomo non riesce a ricordare assolutamente nessun dettaglio del crimine e finisce in prigione. Pete è invece un meccanico invaghito della bella Alice, la quale teme la vendetta di Laurent, un famoso boss della mafia.
Una storia vera (1999). Il film si basa su una storia davvero accaduta e racconta l’originale vicenda di un contadino dell’Iowa.
Un uomo anziano acquista un trattore John Deere e guida dall’Iowa al Wisconsin per vedere il suo estraneo fratello malato
