La Marvel Comics è una delle più note e culturalmente influente case editrici della storia: la sua corsa inizia ufficialmente nel 1961 (anche se prima si chiamava Atlas Comics, e poi Timely, e già pubblicava fumetti di supereroi) quando in edicola esce il primo numero della serie Fantastic Four.
Scritto da Stan Lee e disegnato da Jack Kirby, FANTASTIC FOUR inaugura un nuovo modo di fare e vedere gli eroi in costumi: l’idea geniale, di Lee, è quella di ideare “supereroi con superproblemi”, ovvero mostrare che il superpotere non implica necessariamente la serenità del protagonista (anzi), ma acuisce tutti i suoi drammi.
IL MONDO FUORI DALLA FINESTRA
Oltretutto, la dimensione narrativa è quella familiare/intimistica: il quartetto è una famiglia, mentre il successivo Peter Parker aka Spider-Man è un adolescente nerd inviso ai compagni di classe e con seri problemi di socializzazione, un orfano che vive con la zia May che gli ha fatto da madre dopo che lo zio Ben è stato ucciso.
L’altra profonda innovazione di Lee è quella di inserire tutte le sue creazioni (è arcinoto che il 90% dei personaggi Marvel sono farina del suo sacco) in un universo condiviso: è la celebre continuity, che fa si che tutte le avventure di tutti i protagonisti delle varie testate siano inseriti in una macrostoria ambientata in un mondo in tutto e per tutto uguale al nostro.
Sono queste le basi che hanno fatto sì che la Marvel Comics abbia percorso una strada con un successo crescente, incuneandosi nella pop culture a diventando delle vere e proprie icone di costume: negli albi editi, nelle varie serie, si avvertono gli echi dell’attualità del mondo reale (dalla tragedia statunitense della guerra in Afghanistan passando dalla diffusione delle droghe, e giù fino all’11 settembre: come disse sempre il buon Stan, la Marvel è “il mondo fuori dalla finestra”).
Tutto questo magma creativo e culturale ha fatto sì che, grazie agli artisti e ai creativi in forza alla casa editrice, oggi la Marvel sia il vero, unico epos moderno, paragonabile alla mitologia classica, nel quale si specchiano i problemi e le angosce della società. Uno specchio scuro in cui riflettere noi stessi.
Innegabilmente, buona parte del successo e della forza con cui oggi Spider-Man e soci fanno parte del nostro quotidiano viene dai film: veri e propri blockbuster che nel tempo sono migliorati e diventati appuntamenti imprescindibili per la cultura di massa, senza dimenticare l’arte propriamente detta. Insomma, un successo con l’anima.
Ma se il Marvel Cinematic Universe (ovvero l’universo condiviso ideato da Stan Lee riportato su grande schermo, con una macrostoria che si sviluppa passo passo da un film all’altro, da un serial tv all’altro) è nato ufficialmente nel 2008 con l’uscita di IRON MAN di Jon Favreau, le trasposizioni dei fumetti della casa editrice di Park Avenue sono storia antica: perché il primo adattamento dalle pagine di carta è stato L’UOMO RAGNO (THE AMAZING SPIDER-MAN) del 1977, ad opera di E. W. Swackhamer.
LUNGOMETRAGGI NON UFFICIALI: SPIDERMAN E HULK, 1977/1979
Appena quindi anni dopo FANTASTIC FOUR 1, che sanciva l’inizio della Marvel, sul grande schermo E. W. Swackhamer portava l’amichevole Uomo Ragno di quartiere. Senza dubbio, l’eroe più popolare e conosciuto al mondo, con un costume talmente iconico che ha resistito alle innumerevoli variazioni sul tema nei suoi sessant’anni di vita, e con un concept di base così forte da passare indenne da una declinazione all’altra.
Il film ha poco o niente a che fare con le avventure a fumetti, mutuandone solo due protagonisti (Peter Parker e J. Jonah Jameson), e fu prodotto per promuovere la contemporanea serie televisiva: l’operazione fu riuscita però solo in parte, sotto il profilo dello spettacolo, perché naufragò invece nella banalizzazione del ritratto del protagonista.
Dell’eroe del fumetto, l’attore protagonista Nicholas Hammond si limitò a vestire la suggestiva calzamaglia, senza farsi carico di approfondire quegli aspetti più sfumati che determinarono la novità del personaggio e il successo del comic book. Il film perdeva quindi la geniale intuizione di Stan Lee di riversare nel nuovo supereroe l’alienazione fisica e psicologica come riflesso del malessere della generazione anni ’60 che non riusciva a riconoscersi all’altezza dei propri padri.
Contemporaneamente ad AMAZING, uscì anche la serie tv a cartoni animati e una trasposizione ancora più straniante live-action in Giappone, interpretata da Kousuke Kayama. Il successo fece sì che un secondo capitolo arrivasse nel 1978, anno nel quale al cinema esordiva un’altra pellicola, THE INCREDIBLE HULK di Kenneth Johnson.
Film che in realtà era però il pilota della serie televisiva ideata da Jhonson e prodotta dalla CBS, e che si distanziava, come Spider-Man, dal personaggio di carta (Hulk è una sorta di maledizione di Banner, scienziato vagabondo per le strade d’America), cambiando il nome del protagonista da Bruce a David Banner e concentrandosi più che altro sui problemi sociali o i drammi familiari dell’epoca.
L’operazione ebbe un successo enorme (la serie proseguì per cinque stagioni tv con 81 episodi), il serial divenne ben presto un vero e proprio cult e Lou Ferrigno nei panni del gigante di giada una leggenda: tanto che ci furono altri tre film, THE INCREDIBLE HULK RETURNS, del 1988, THE TRIAL OF INCREDIBLE HULKdel 1989, di Bill Bixby, e THE DEATH OF INCREDIBLE HULK, del 1990, che conclude le avventure della serie.
Se nel film del 1988 compare un improbabile Thor, in quello del 1989 sono presenti Matt Murdock (alias Daredevil) e la sua nemesi Wilson Fisk, mentre nel 1990 sarebbe dovuta apparire anche She-Hulk ma prima dell’inizio delle riprese si decise di non includerla.
Nonostante la fine, ci furono però dei tentavi di revival: prima si accarezzò l’idea di unire il cast di Hulk con quello di THE AMAZING SPIDER-MAN così da introdurre prima il personaggio di Spider-Man e poi altri eroi dell’universo Marvel; poi si pianificò un nuovo film con il cameo di Iron Man, ma entrambi i progetti furono cancellati quando Bixby morì di cancro nel 1993.
LUNGOMETRAGGI UFFICIALI FUORI DAL MCU: DA ORESTOLO IL PAPERO A CAPITAN AMERICA, 1986/1990
Solo gli ultimi due film su Hulk sono veri e propri lungometraggi (THE AMAZING e THE INCREDIBLE sono una sorta di pilot per serializzazioni), che si scontrarono con una sconfortante scarsità di mezzi e possibilità tecniche. La situazione cambia per la prima volta nel 1986, quando viene messo in produzione HOWARD THE DUCK, con la regia di William Huyck.
Il film è basato sul personaggio di Howard il papero (in Italia, all’inizio, Orestolo Il Papero), creato da Steve Gerber e Val Mayerik nel 1973, ed è quindi in assoluto il primo lungometraggio cinematografico basato su un personaggio dell’universo fumettistico della Marvel. La produzione fu affidata addirittura a George Lucas, innamorato del progetto: eppure le riprese furono travagliate così come la pre e la post produzione. HOWARD era un prodotto ibrido: troppo adulto per un pubblico di bambini, troppo infantile per un pubblico adulto.
La comunicazione pubblicitaria che ne seguì fu quindi incerta e contraddittoria, e il risultato fu un flop di critica e al botteghino, arrivando all’epoca ad essere considerato uno dei peggiori film mai realizzati (nominato ai Razzie Awards, vincendo per il peggior film, peggior esordiente, peggiori effetti visivi e peggior sceneggiatura).
La trama del film è un mix di elementi buffi e canoni noir: in origine deve essere un film di animazione, ma la casa di distribuzione voleva a tutti i costi un lungometraggio non animato per l’estate che arriviasse a più persone possibili. È l’inizio della fine: si decide così di utilizzare la tecnica dell’animatronic a cura della Lucasfilm, con gli effetti speciali della ILM: tecnicamente tutto molto costoso e con resa discutibile. Rendere in un papero di 90 cm in carne e ossa si profilava un’impresa persa in partenza. I ritmi della riprese sono assurdi, vengono addirittura impegnate tre troupe contemporaneamente. I costi lievitano e raggiungono quelli di un colossal.
Se RITORNO AL FUTURO richiede 19 milioni di dollari, qui si arriva a 37. Alcuni costumi da papero non hanno le proporzioni adatte e limitano la mobilità, ma è solo uno degli infiniti problemi: per esempio, la visibilità è ridotta ai minimi storici con la luce filtra solo dalla bocca ed è come recitare a occhi chiusi; la voce di Ed Gale non si sente e quindi è necessario piazzare un altoparlante e qualcuno che reciti la parte per rendere il tutto più facile agli attori nei botta e risposta. A fine riprese il protagonista è doppiato da Chip Zien, ma vengono presi in considerazione dei nomi noti: John Cusack, Robin Williams e Martin Short.
Aggiungiamoci i quattro o cinque tecnici che comandano becco, occhi e palpebre a complicare la situazione. Si narra anche di giorni interi per la scena in cui Howard, eccitato, tira su una cresta di penne. Durata finale della scena: cinque secondi netti. Nonostante tutto questo, oggi HOWARD E IL DESTINO DEL MONDO è un vero e proprio cult: inspiegabile, tecnicamente imbarazzante, ma irresistibilmente affascinante.
ARRIVANO LE CALZAMAGLIE: DAL PUNITORE AL DOTTOR DESTINO, 1990/1994
Solo quattro anni dopo, viene invece messo in cantiere CAPTAIN AMERICA: la sceneggiatura, i diritti e la regia del film passarono di mano in mano finché non arrivò la 21st Century Film Corporation e il regista Albert Pyun. Rivedendolo oggi, CAPTAIN AMERICA regge il tempo meglio di tante altre cose, pagando però pegno per un protagonista maschile non in ruolo.
Se infatti ad indossare la maschera fu Matt Salinger, in un primo momento si era pensato a Dolph Lundgren, che invece era impegnato sul set de IL VENDICATORE, inspiegabile traduzione dell’originale PUNISHER, anti-eroe complesso e sfaccettato creato nei turbolenti anni ’70 da Gerry Conway.
A voler essere precisi, IL VENDICATORE è a tutti gli effetti il primo supereroe ad essere protagonista di un film su grande schermo: eliminando i precursori non ufficiali di serie tv e serial cinematografici (HULK e SPIDERMAN), considerando che CAPTAIN AMERICA come abbiamo visto fu progettato prima ma venne rilasciato dopo, e che HOWARD non è un vero e proprio eroe in calzamaglia, il primato va allora al personaggio con le fattezze di Lundgren.
Che però non ha ancora il famoso vestito a calzamaglia: per effetti di scena, l’attore infatti non vestì la classica casacca nera con il teschio bianco sopra, e per questo probabilmente a fronte di un thriller action niente male, a far fallire il progetto fu proprio l’assoluta non aderenza visiva al character di base, il cui nome oltretutto fu oltraggiosamente cambiato nella versione italiana. A conti fatti, perciò, poco o nulla resta del marchio Marvel, anche se è difficile non amare Lundgren nel film, probabilmente la migliore versione del personaggio secondo solo al serial Netflix di parecchi anni dopo.
Siamo comunque già negli anni ’90: e occorre quindi aprire una parentesi per parlare di uno dei film Marvel più importanti e celebri della storia che però non uscì mai né al cinema, né in home video, né in tv. Ovviamente, si tratta del mitologico, leggendario FANTASTIC FOUR prodotto da Roger Corman.
I Fantastici Quattro sono, insieme a Spider-Man, probabilmente la creazione più universalmente nota di Stan Lee: una fama pari quasi solo alla loro sfortuna sul grande schermo.
Leggenda vuole che i diritti dei personaggi furono acquistati da Bernd Eichinger, che voleva realizzare un blockbuster supereroico che potesse fare concorrenza ai grandi successi DC di allora (SUPERMAN di Richard Donner e BATMAN di Tim Burton).
Nel momento dell’acquisto aveva però sottostimato i costi di produzione di un’operazione del genere -parliamo di un uomo che si allunga, una donna che diventa invisibile, un ragazzo che si infiamma e un altro uomo tutto di roccia-; il tempo quindi passava senza che lui trovasse finanziatori, e i termini della licenza si avvicinavano.
In una mossa disperata affidò allora il progetto a Roger Corman, uno dei più grandi produttori del cinema di genere: che affidò la regia a tale Oley Sassone, girando con la sua solita inventiva e alla fine riuscendo a produrre un film dignitoso, considerando che la computer grafica era ancora futuribile e anche all’inventiva c’era un limite. Il comparto economico era talmente esiguo che gli autori delle musiche finanziarono di tasca loro la registrazione della colonna sonora; in un mese le riprese furono completate (tra magazzini in disuso, costumi creati con poco e set riciclati), e i quattro successivi furono dedicati agli effetti visivi.
Nel gennaio 1994 era tutto pronto: locandine, copertine di riviste, tour promozionali, uno spazio al Comic-Con di San Diego, i fan in fibrillazione: dopotutto, era la prima volta che un eroe Marvel in calzamaglia debuttava sugli schermi. Peccato che un mese prima del lancio, Eichinger aggiornò la troupe del film, spiegando che FANTASTIC FOUR non sarebbe mai uscito.
Il piano del produttore era semplice e mefistofelico: lui contava fin dall’inizio di produrre un film, pubblicizzarlo, fare qualche proiezione e non distribuire mai la pellicola, così da rinnovare i diritti e poter fare successivamente qualcosa di più grande. Alla fine FANTASTIC FOURfu rivenduto alla Marvel, che lo acquistò per distruggerlo, evitando di danneggiare i personaggi (il Dottor Destino sembra oggi pericolosamente simile al Signor S dei ME CONTRO TE….). Oggi, FANTASTIC FOUR è reperibile solo su youtube.
UNA NUOVA ERA: SUPEREROI D’AUTORE DA BLADE AI FANTASTICI QUATTRO, 1998/2005
Dovettero quindi passare altri quattro anni per arrivare al primo successo con un film (parzialmente) riuscito: dal personaggio di Marv Wolfman, il regista Stephen Norrington e lo sceneggiatore David Goyer adattano BLADE, con Wesley Snipes ad incarnare il cacciatore di vampiri della Marvel.
Azione smargiassa davanti a tutto, influenze dalle arti marziali, e un primo, timido tentativo di approccio adulto alla materia: andò meglio altri quattro anni dopo, quando Guillermo Del Toro usò il sequel per unire la sua poetica alla natura del personaggio. L’epoca era però matura, il momento era arrivato: dopo tutti i tentativi andati a male, probabilmente si era riusciti a capire quale fosse la chiave giusta per inquadrare i supereroi Marvel al cinema.
Contrariamente alla DC Comics (che aveva trovato in Burton il perfetto cantore delle gesta oscure da outsider del pipistrello), in Marvel gli eroi erano sì protagonisti di tragedie umane, ma probabilmente lo stigma di Lee aveva fatto sì che, come nella vita reale, gli eroi fossero un impasto unico di dramma e commedia, di grottesco e tragedia.
Sempre nel 2002 Sam Raimi decide di tornare sulle strade dell’arrampicamuri: e anche se rivisto oggi potrebbe risultare leggermente lento nella parte iniziale , va considerato l’anno di uscita della pellicola e soprattutto il fatto che i cinecomics non erano un genere preponderante come oggi, e Raimi probabilmente girò con il freno a mano perché si inoltrava in territori sconosciuti all’autorialità.
In ogni caso, SPIDER-MAN ha definitivamente creato il genere e i suoi connotati: toni da commedia surreale, drammi shakespeariani, insert autoriali e intermezzi comici: Raimi di suo ci mette intelligenza dietro la macchina da presa, buona arte visiva, la responsabilità di non deludere i fan adattando ma non stravolgendo, e una buona dose di action sono il motore primo che muovono l’uomo ragno di Raimi e lo consacrano definitivamente ad icona cult.
ICONE A FUMETTI E CINEMA D’AUTORE: ARRIVANO I MUTANTI, 2000
Storia a parte la fanno i film tratti dai fumetti Marvel dedicati al mondo mutante.
La testata Uncanny X-Men, per quasi tre decenni, è stata la punta di diamante della produzione Marvel Comics: una testata (scritta a lungo da Chris Claremont) che non solo per sedici anni ininterrotti è stata ai primi posti di vendita, ma ha anche creato un sotto-universo narrativo interno alla stessa casa editrice, dettando e scrivendo le regole per quanto riguarda l’impianto grafico e visuale dei fumetti, facendo da trait d’union tra pubblicazioni mainstream e underground.
Uncanny è stata insomma un modello narrativo inarrivato, per come ha saputo produrre pagine tra le più importanti del fumetto moderno e creare storie talmente seminali da essere poi prese a modello dal cinema (ALIEN e TERMINATOR in primis).
Sul grande schermo, i mutanti sono apparsi proprio nel 2000: il regista è stato Brian Singer, che di tematiche su diversità e integrazione aveva fatto tesoro nella sua filmografia (parlando del Male e delle sue sfumature in capolavori come USUAL SUSPECTS e APT PUPIL): il film X-MEN fu allora un successo clamoroso, perché proseguendo nel solco di Raimi ha mostrato come i supereroi potessero affrontare tematiche alte con risultati eccezionali.
Al primo è seguito X2, sempre di Singer, X-MEN III (di Brett Ratner), per poi creare un vero e proprio sottouniverso: i risultati più alti sono stati X-MEN: DAYS OF FUTURE PAST, sempre opera di Singer,
ma anche il surreale ilDEADPOOL di Tim Miller, enorme successo di critica e pubblico, introducendo un elemento fondamentale come la rottura della quarta parete con monologhi del paradossale protagonista che dialogava direttamente con il pubblico; e LOGAN, di James Mangold, crepuscolare reinvenzione in chiave quasi western che attinge a piene mani dall’immaginario hollywoodiano classico; arrivando fino al travagliatissimo NEW MUTANTS, in cantiere dal 2016 ma uscito in sala solo nell’estate del 2020, dopo numerosi rimandi dovuti ai ripensamenti del regista Josh Boone e all’emergenza covid.
Ma il varco è ormai aperto: i film tratti dai supereroi in calzamaglia invadono lo schermo e l’immaginario con una loro ben precisa identità ma soprattutto dignità artistica quando non autoriale.
Nel 2003 addirittura Ang Lee, autore asiatico che proviene dal cinema d’essai più sofisticato (per citare il titolo più famoso, THE ICE STORM, premiato anche a Cannes, o WO HU CANG IONG -in Italia, LA TIGRE E IL DRAGONE-, splendido wuxia), firmerà la regia di HULK, il famosissimo pelleverde, in una trasposizione sofisticata e stracolma di intuizioni visive con un finale toccante e delicato.
Tanto che nel nuovo millennio la Marvel decide di scendere in campo direttamente con degli studios propri, tracciando una linea di demarcazione ben definita tra lungometraggi con eroi di cui disponeva dei diritti e altri i cui diritti erano invece già ceduti ad altre case di produzione. Nasce quindi così la divisione tra film del MCU (Marvel Cinematic Universe), con una propria continuity interna che collega tutti i film come fossero episodi di una stessa storia, e film esterni all’MCU.
TRA FLOP E RAGNI: DA ELEKTRA ALLO SPIDERVERSE, 2005/2019
Da questo lato continuano quindi gli adattamenti, per la verità infelici: da ELEKTRA di Rob Bowman del 2005 (protagonista la superstar televisiva Jennifer Garner), flop disastroso, al misconosciuto MAN-THING di Brett Leonard, dai GHOST RIDER e DAREDEVIL di Marc Steven Jhonson del 2007 al nuovo PUNISHER di Lexi Alexander.
Film spesso sciatti che tradiscono l’eroe principale e che badano solo a vestire i protagonisti con le classiche tute colorate, ma senza una vera identità. Discorso a parte per i Fantastici Quattro, che come detto sopra hanno un destino infelice in sala: dopo la debacle del film prodotto da Corman, nel 2005 ci prova Tim Story con FANTASTIC FOUR, e due anni dopo con il seguito FANTASTIC FOUR & THE SILVER SURFER, mentre nel 2018 arriva la trasposizione ad opera di Josh Trank, già regista del bel CHRONICLE.
Tre film riusciti malissimo, con effetti speciali sofisticati ma fuori centro e interpreti assolutamente fuori ruolo: il peggio è però la totale assenza di un’impronta decisa in regia e soprattutto nella sceneggiatura, che non adatta il materiale originario bensì si limita semplicemente a trasportare i protagonisti sullo schermo senza badare a nessun tipo di adattamento. Che quando viene fatto, viene fatto male: come succede con il Dottor Destino, villain classicissimo, presente nei film del 2005 e del 2015 ma senza alcuna incisività.
Riesce sempre bene invece Spider-Man: dopo Raimi, fuori una volta finita la sua trilogia, arriva Marc Webb con AMAZING SPIDERMAN e AMAZING SPIDERMAN 2: THE POWER OF ELECTRO, rispettivamente del 2012 e del 2014, che raccontano di nuovo le origini dell’amichevole ragno di quartiere aggiungendo altri personaggi e ritrattando quelli già visti.
Per ultimo, nel 2019 esce SPIDERMAN: INTO THE SPIERVERSE, eccezionale film d’animazione che porta in sala il “nuovo” eroe aggiornato alla Marvel degli anni Venti, ovvero Miles Morales (protagonista ispanoamericano con un nuovo costume che si affianca al classico Peter Parker) e che vince un Oscar e un Golden Globe come miglior film d’animazione.
Eppure, nonostante l’ottimo riscontro al botteghino e con la critica, sarà proprio SPIDERMAN l’oggetto di una sorta di duello tra film Marvel ufficiali e non ufficiali.
Ma questa è un’altra storia.
la MARVEL al cinema
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