Madri distrutte ma vive! Le Donne in Pieces of a woman, The forgotten, Changeling e altri 15 film
Partendo dalla pellicola con Vanessa Kirby, ecco una selezione cinematografica (ma non solo) di donne e madri alle prese con la più terribile delle esperienze, la perdita di un figlio.
Proponiamo di seguito una selezione di titoli che vedono per protagonista una donna/madre alle prese con una perdita importante, quale quella rappresentata da un figlio. Che si tratti di una morte, di una scomparsa o di un allontanamento, i casi sono tanti, così come le reazioni delle genitrici a un evento tragicamente “contro natura”.
Il cinema ha sempre fornito un’occasione imperdibile per raccontare, suggerire, metabolizzare, prendere le distanze, sollevare riflessioni e offrire una forma di catarsi tanto antica quanto fondamentale.
La possibilità di spaziare tra i generi permette quindi di scegliere cosa affrontare e in che modo, andando più a fondo in alcune questioni piuttosto che in altre. Prendiamo per esempio il fantascientifico The forgotten, nel quale Julianne Moore deve vedersela niente meno che con una presenza aliena, colpevole di aver aver cancellato l’esistenza del figlio dalla memoria di tutti.
Ma il legame tra una madre e la propria creatura è qualcosa di indissolubile. E lo dimostra bene la protagonista di Changeling(interpretata da Angelina Jolie), determinata a scoprire la sorte toccata al suo bambino, misteriosamente scomparso anni prima. O ancora la Sophie di Meryl Streep, che dà il titolo a uno dei più struggenti film sul tema, La scelta di Sophie.
Il percorso da compiere è disseminato di prove, che metterebbero in crisi anche le più forti, strutturate, risolute, e da cui uscirne indenni è praticamente impossibile.
Eccoci dunque dinanzi a una serie di donne, a momenti straordinarie sebbene spezzate, impegnate a fronteggiare il peggiore incubo nell’esistenza di una madre.
Pieces of a woman (2020)
La pellicola da cui prende avvio la nostra carrellata esibisce una figura alquanto emblematica e composita. Martha (la monumentale Vanessa Kirby) dà al mondo una bambina, la stringe tra le sue braccia per pochissimi minuti e assiste inerme alla sua prematura morte. Da quel momento in poi, la donna attraverserà varie fasi, tramite le quali tentare di elaborare un lutto troppo grande per un essere umano.
Lo smalto consumato sulle unghie dà il senso del tempo e del dolore che passano. Inevitabilmente, inarrestabilmente. Nel frattempo i rapporti si consumano, oberata da chi la pensa in un modo e chi in un altro, in attesa di trovare l’occasione per concentrarsi su se stessa e su ciò di cui ha bisogno.
La scomparsa di Eleanor Rigby – Lei (2013)
Il titolo fa parte di un originale progettualità: esistono infatti tre versioni della medesima storia, una dal punto di vista di Eleanor (Jessica Chastain), una da quello di Conor (James McAvoy) e infine quello della coppia.
Presentato ai festival di Toronto e di Cannes, il filmè chiaramente incentrato sul personaggio della donna colpita dalla tragedia. Annientata dalla morte del figlio, completamente allo sbaraglio e profondamente sola, nonostante i tentativi del compagno, Eleanor tenta il suicidio. Il senso di fallimento la opprime ovunque si volti. Tornare nella casa in cui è cresciuta, nella stanza dove è stata bambina, riprendere gli studi al college, rappresentano alcuni dei passi per ritrovare una sua dimensione.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017)
Nella pellicola firmata da Martin McDonagh, una madre – il Premio Oscar Frances McDormand – vuole trovare il colpevole che ha violentato e ucciso la figlia teenager. Decisa a non farsi mettere i bastoni tra le ruote da niente e nessuno, affitta tre cartelloni pubblicitari inutilizzati per denunciare l’incompetenza delle forze dell’ordine locali. Eppure saranno proprio lo sceriffo (Woody Harrelson) e un suo sottoposto (Sam Rockwell) ad aiutare e sostenere, gradualmente e a modo loro, la ricerca della donna.
Fronteggiando un’intera comunità, che non vede di buon’occhio la “missione”, prende forma e spessore la figura della protagonista. Senza peli sulla lingua, dotata di un coraggio fuori dal comune e di una volontà che trascina.
Un giorno devi andare (2013)
Un discorso simile vale per Augusta (Jasmine Trinca), in partenza per il Brasile, in cerca di una pace forse irraggiungibile. Il viaggio di scoperta tra la natura incontaminata riporta la donna a contatto con la terra, una terra da cui nasceranno frutti. La povertà e le condizioni di vita che osserva rimettono tutto o quasi in prospettiva, riavvicinandola anche a quell’amore che credeva di aver perduto per sempre.
Intimo e intimista, il film di Giorgio Diritti conduce lo spettatore dentro l’animo di una madre distrutta ma viva.
Oltre la notte (2017) / Peppermint (2018) / 21 grammi (2003)
Anche nelle tre successive pellicole la ricerca rappresenta uno snodo cruciale, assumendo i tratti di una vera e propria caccia. Private tragicamente dei loro figli, e contemporaneamente del proprio ruolo e dello scopo nella vita, le protagoniste (rispettivamente Diane Kruger, Jennifer Garner e Naomi Watts) scelgono la vendetta come àncora per una sopravvivenza che, comunque, non credono di meritare.
Se il confine con la giustizia appare spesso molto labile, in simili casi subentra un discorso emotivo dal quale è probabilmente impossibile (benché necessario) prescindere. La violenza che perpetrano è il risultato di quella subita in maniera gratuita, inattesa, devastante. Ma anch’essa avrà conseguenze con cui fare i conti.
A song for Jenny (2015) / Senza apparente motivo (2008)
Se le madri precedentemente descritte reagiscono con l’azione, tenendo impegnata la mente in piani vendicativi che comunque non riporteranno indietro nessuno, quelle dei due titoli sopra citati – il primo è un prodotto per la televisione targato BBC, mentre il secondo è diretto da Sharon Maguire (Il diario di Bridget Jones) – percorrono una strada forse più “canonica”. Il dolore, la rassegnazione, il senso di colpa, la rabbia, la ricerca della verità, sono alcune delle tappe che vanno a comporla.
L’elaborazione del lutto può assumere forme complicate, lasciando dietro di sé una scia importante e indelebile. L’accenno al terrorismo, radicato in entrambe le pellicole, pone la questione della sofferenza collettiva. Può essa diventare un appiglio, accomunando i destini e le tragedie di così tante persone? È inoltre fondamentale il tema del perdono, declinato in forme diverse, nei confronti dei colpevoli oppure di se stessi.
Servant (2020)
Anche le serie tv affrontano il tema della scomparsa di un figlio, e il punto di vista della madre è in questo caso predominante. Dorothy (la bravissima Lauren Ambrose di Six Feet Under) e il marito Sean (Toby Kebbell) assumono una babysitter per il loro piccolo. In realtà si tratta di una bambola reborn. L’oggetto era servito a svegliare Dorothy dallo stato catatonico in cui era finita in seguito alla tragedia, di cui è lei stessa l’unica responsabile.Se non che allo stato attuale la donna non distingue più tra la realtà e le creazioni della sua mente, convinta di avere ancora un neonato tra le braccia.
La vena horror che attraversa e caratterizza lo show spinge lo spettatore in un clima di confusione e incubi molto significativo.
Madre (2017) / Mammal (2016)
Nei seguenti due titoli le protagoniste affrontano una situazione simile, seppur diversificata per alcuni dettagli. Dopo aver perduto i propri figli, sia Elena (Marta Nieto) che Margaret (Rachel Griffiths) incontrano un ragazzo con cui instaurano un rapporto particolare. Quasi rintracciassero in questa giovane vita lo spirito di colui a cui hanno dato i natali.
Il legame atavico tra una madre e il suo bambino sembra così trovare altri modi di esprimersi, non spezzandosi mai e superando i limiti imposti dalla natura. Al di là del realismo esibito dalle vicende raccontate, di vero e indistruttibile c’è quell’istinto materno che, una volta risvegliatosi, non si sopisce più.
Per mio figlio (2016) / Doppio sospetto (2018)
Simili questioni vengono affrontate nei due titoli sopra citati, con una deriva in parte differente. In gioco qui troviamo infatti una coppia di donne e madri, schierate su fronti opposti ma indisssolubilmente legati. Il confronto pone interrogativi e riflessioni in grado di cambiare il punto di vista.
Scattano inoltre meccanismi propri di un essere umano in crisi, schiacciato da sentimenti e desideri intrinsechi. Virati entrambi verso il thriller sul finale, sono film interessanti per quanto riguarda l’indagine sulla maternità “condivisa”.
…e ora parliamo di Kevin (2011)
A conclusione non possiamo non citare la terribile storia di Eva (Tilda Swinton), madre del giovane e disturbato Kevin (Ezra Miller in stato di grazia). Quest’ultimo progetta una sparatoria nella scuola che frequenta: sarà una carneficina.
La particolarità e la potenza del film risiedono nell’affrontare un simile evento dal punto di vista della madre. Andando a ritroso in quella che è l’esistenza della donna, dal momento in cui mette al mondo un bambino che sconvolgerà per sempre i suoi piani, sino al giorno in cui la tragedia sarà ormai passata, senza però cancellare le sue tracce. Il rapporto tra Kevin e la genitrice appare conflittuale sin dai primissimi vagiti, l’esternazione finale, in un vortice di violenza e cinismo disumani, ne rappresenta in qualche modo l’apice.
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