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Editoriale

2020. Gli incassi al botteghino non sono l’unica cosa che conta. Il caso TENET

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Tenet

All’epoca della sua uscita Tenet ha destato non poche perplessità negli spettatori per lo più dubbiosi sul fatto di assegnare a se stesso o al regista le colpe di un film per lunghi tratti incomprensibile. In effetti con Tenet Christopher Nolan altera il compromesso che lo aveva portato a sacrificare in parte le proprie ossessioni a garanzia della  commerciabilità’ del prodotto.  Se in Dunkirk la violazione della norma –  ovverosia quello  di rendere protagonista il tema  e non i personaggi – era stata in parte mascherata dalla possibilità di riempire i vuoti del film rifacendosi  a una conoscenza pregressa è molto ben documentata, con Tenet lo spettatore viene per così dire mandato allo sbaraglio ( a differenza del regista che in fase di preparazione si è fatto coadiuvare da un equipe di esperti della materia in questione) dovendo  fare i conti con una confezione blockbuster largamente elusa dall’Idea di subordinare convenzioni e significati propri del cinema di genere alla rappresentazione di paradossi spazio temporali e in particolare alla possibilità di  sincronizzare il tempo narrativo,  destinato in Tenet a scorrere contemporaneamente in avanti e all’indietro,  a quello classico è normale della visione spettatoriale.

Il tentativo di Nolan e’ risultato tanto più  ardito se si considera la scarsa  predisposizione del suo pubblico di riferimento a concentrarsi su narrazioni più complesse e articolate della media e qui invece costretto a stare dietro a un impianto narrativo modulato da una serie pressoché infinita di sequenze subordinate alla premessa principale basata sulla strategia messa a punto da una squadra di super agenti impegnati a scongiurare le trame del cattivo di turno.

Se Nolan usa il cinema come potrebbero fare William S Burroughs e David Foster Wallace esprimendosi con linguaggio post moderno e montaggio cut-up che dire allora di un regista come Steven Soderbergh, passato dai fasti di Ocean Eleven ad opere sempre più sperimentali in cui come nell’ultimo Let Them Talk – da noi ancora inedito – il motivo principale non è la storia delle tre protagoniste capitanate da una pimpante Meryl Streep ma ancora una volta la possibilità di testare le possibilità dello strumento cinematografico messo in discussione da una sceneggiatura senza troppe indicazioni e pronta a lasciare agli attori il compito di inventarne i dialoghi davanti alla mdp?

Se ci mettiamo che anche un mogul del cinema hollywoodiano come James Cameron di fatto ha disertato le sale per dedicarsi con la serie di Avatar allo sviluppo  di tecniche di ripresa rivoluzionarie,  si vede come il sistema produttivo americano crei all’interno del suo funzionamento gli anticorpi necessari a far si che gli incassi al botteghino non siano l’unica cosa che conta. Le opere sperimentali di Nolan, Soderbergh e Cameron vanno in altra direzione obbligandoci  a rivedere in parte i vecchi parametri: tenendo conto che se Soderbergh e un regista dentro il proprio tempo per il fatto di adeguarsi a un cinema iper economico come impongono le ristrettezze causate dalla pandemia  allo stile di vita contemporaneo Nolan ha una visione opposta per la necessità di alimentare con cifre astronomiche il corso delle proprie idee.

 

Tenet

  • Regia: Christopher Nolan

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