Una trama ricca di ribaltamenti caratterizza The call, thriller soprannaturale prodotto da Jeong Hui-sun per Yong Film e arrivato su Netflix dal Sud della Corea. Il regista esordiente Lee Chung-hyun si basa sul film The caller (2011) e rischia di infrangere la sospensione di incredulità in qualche sequenza, ma nel complesso realizza un film attraente per gli amanti del genere.
The Call: il telefono come simbolo di condizione esistenziale
Due ventottenni che vivono a vent’anni di distanza l’una dall’altra entrano in contatto attraverso un cordless. L’iniziale shock si stempera nel corso delle telefonate e le ragazze provano ad instaurare un rapporto di reciproca solidarietà. Ma il gap generazionale non tarda a farsi sentire: una cosa è trascorrere le giornate a scrivere su un diario, un’altra avere a disposizione internet. Proprio l’oggetto che usano per comunicare diventa simbolo delle differenti condizioni esistenziali: per la ragazza del passato il telefono è soltanto un telefono, per la ragazza del presente è uno strumento con infinite possibilità, dall’ascolto della musica al fotografare. Quando il complesso di inferiorità di una delle due giovani porta all’incomprensione e si tramuta in rabbia, in gioco non c’è solo il destino di entrambe, ma addirittura la vita delle persone che le circondano.
Quattro importanti ruoli femminili
Se focalizziamo personaggi e relazioni, vediamo che The call mette simmetricamente in scena due drammatici rapporti madre-figlia. Nel presente troviamo la giovane e malinconica Seo-yeon, che prova odio per sua madre perché attribuisce a lei la causa accidentale della morte del padre. Nel 1999 vive invece Young-sook, una ragazza in balìa della propria matrigna che pratica quotidianamente dei violenti esorcismi su di lei.
Quattro donne interpretate da popolari attrici sudcoreane: i ruoli delle figlie sono rispettivamente affidati a Park Shin-hye, volto noto della televisione nazionale anche come cantante e modella, e Jeon Jong-seo, conosciuta a livello internazionale per aver recitato nel thriller psicologico Burning (2018), basato su un racconto di Haruki Murakami. Le due adulte sono invece interpretate da Kim Sung-ryung, Miss Corea nel 1988 e anche giornalista televisiva, e dall’attrice Lee El.
Nel film rimangono in secondo piano i ruoli maschili, caratterizzati da una presenza ad intermittenza dovuta ai colpi di scena dell’intreccio narrativo.
Un’ambientazione d’effetto
Tra i punti di forza di The call c’è l’intrigante villa rurale abitata in epoche diverse dai due nuclei familiari. Il thriller entra nel vivo nel momento in cui la giovane Seo-yeon ritorna nella dimora che l’ha vista bambina: un’efficace inquadratura buia introduce all’interno la ragazza che non sa cosa l’aspetta. Nel corso del film, insieme all’evoluzione che compiono i personaggi principali, anche la villa si trasforma: da vuota e abbandonata sarà capace di diventare accogliente e funzionale o viceversa inquietante e letale. Quando tra quelle pareti squilla il misterioso cordless, viene da pensare alla casa di campagna e al telefono di bachelite del romanzo Alla scoperta dell’alba. Anche se il libro, scritto da Walter Veltroni nel 2006 e trasposto cinematograficamente da Susanna Nicchiarelli, descrive un viaggio nel tempo in un contesto e con un esito completamente diversi.