Arriva su Netflix, in occasione del Veterans Day (11 Novembre), una serie tra le più innovative, originali, appassionanti degli ultimi tempi. Figlia indubbia della nostra cultura, storia e società, The Liberator affonda le sue radici nel passato.
Il tema bellico viene però osservato da una lente alquanto particolare, quella dell’animazione, simile per molti versi alla grafica da videogame. L’esperimento era già stato tentato dal toccante Valzer con Bashir, pellicola diretta da Ari Folman – forse troppo “di nicchia” per conoscerla in tanti. Ed era riuscito alla grande. In realtà qui si tratta del primo prodotto in Trioscope Enhanced Hybrid Animation, tecnologia a metà tra CGI e immagini dal vero.
In qualche modo la miniserie riprende quel tipo di suggestione e lo fa suo. Sviluppandosi in quattro episodi ha modo di affrontare un ampio numero di argomenti, dal senso del dovere alla riconoscenza, dal coraggio all’orgoglio, dalla questione razziale alla solidarietà.
The Liberator | La storia dei Thunderbirds
Nel luglio 1943, un’unità di fanteria, denominata Thunderbirds, composta da soldati provenienti dallo stato dell’Oklahoma, sbarcò sulla costa sud della Sicilia. Quello fu solo l’inizio della difficile e pericolosa campagna che li portò sino al campo di concentramento di Dachau.
La compagnia J assume ovviamente, e gradualmente, i tratti di una famiglia, al cui interno i legami si stringono fino a saldarsi. Non contano più la razza, le differenze, le origini; sono gli ideali in comune, il desiderio istintivo di sopravvivere e tornare a casa a spingere gli uomini sempre più avanti, sempre più oltre.
Vediamo il gruppo composto da messicani, indiani e cowboy non andare inizialmente d’accordo. Come nella migliore delle tradizioni c’è bisogno di un un percorso costellato di dure prove, durante il quale ci si allena, si collauda, si sperimenta.
Il risultato finale è una squadra che più unita non si potrebbe. Perché alla base ci sono i valori di una vita intera, valori indiscutibili, inalienabili, imprescindibili. Senza, non potrebbero neanche essere contemplati l’impegno, i sacrifici, le sofferenze affrontate e le ferite subite.
Bradley James alla guida della compagnia J
Bradley James (noto per aver interpretato Artù nella serie Merlin, oltre che per la sua partecipazione in iZombie) guida il team scelto: le sue doti da leader traspaiono sin dalla prima inquadratura. Audace, determinato, vigile, in grado di leggere (e gestire) qualsiasi tipo di situazione, Felix Sparks ha a cuore i suoi uomini. Non solo perché da loro dipende l’esito del conflitto bellico e la salvezza della nazione intera, quanto per il fatto che ormai sono suoi fratelli, e come tali desidera proteggerli.
Al tempo stesso si rivela un motivatore nato, con i suoi discorsi incisivi e stimolanti, capaci di infondere speranza anche lì dove non ce ne è più, di condurre sul ciglio del burrone senza timore di cadere giù, di comprendere che la vera forza si trova nell’unione.
The Liberator, tra discriminazione e amore
La discrimazione, di cui questi soldati erano vittime (e talvolta anche carnefici) in patria, sparisce completamente nel momento in cui indossano la stessa divisa per sgomitare fianco a fianco nel fango, sotto i colpi di mitra e carrarmati. La difesa del paese prima di ogni cosa, ma da essa dipende una fiducia indomabile nel futuro, che possa essere all’altezza delle loro aspettative.
L’amore è un altro dei temi presenti in The Liberator, ben simboleggiato da alcuni dettagli, come la foto della moglie di Sparks sulla pistola d’ordinanza. In fondo si deve anche e soprattutto a questo sentimento se molti di loro riusciranno a mantenere una sorta di sanità e solidità mentale, a fronteggiare le paure più profonde, a tornare sani e salvi dai loro cari.
Le fonti storiche e la resa grafica alla base dell’ambizioso progetto
L’altissima definizione grafica rende le espressioni dei protagonisti a tal punto realistiche da sembrare vere. É grazie a un simile livello di resa che le emozioni riescono a sprigionarsi in tutta la loro potenza, conducendo lo spettatore molto vicino all’azione e alle reazioni umane.
La parte difficile è restare vivi.
Le vicende narrate dalla miniserie, così come le figure che la popolano, prendono spunto dalla realtà storica, oltre che dal libro The Liberator: One World War II Soldier’s 500-Day Odysseydi Alex Kershaw. Chiaramente nel passaggio al mezzo seriale, si carica anche di riferimenti cinematografici, quali per esempio l’evidente richiamo a Full Metal Jacket, nella figura del sergente maggiore (Charlie Rawes) addetto alla lezione di tiro.