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RIFF, decima edizione. Quattro cortometraggi italiani: “Jody delle giostre”, “Insiemi notturni”, “Mezz’ora non mi basta”, “La voce sola”

RIFF, decima edizione. Quattro cortometraggi italiani: “Jody delle giostre”, “Insiemi notturni”, “Mezz’ora non mi basta”, “La voce sola”. A cura di Angelo Mozzetta.

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Jody delle giostre di Adriano Sforzi

Jody gira l’Italia con la giostra del papà, cambiando scuola ogni due settimane e affrontando ogni giorno le diversità. Tutto è in salita per lui: niente amicizie durature, niente stabilità, niente normalità, nessuna spazio per un’eventuale tristezza: “Noi siamo la Festa!” gli ripete il papà. Jody  non si limiterà ad imparare la lezione, ma la farà sua e insegnerà qualcosa, stupendoli, ai suoi stessi genitori.

Opera personalissima di Adriano Sforzi, che ha realmente girato l’Italia fino all’età di 15 anni con il Luna Park della sua famiglia. Opera seconda a metà fra la personalizzazione da film-esordio alla Nouvelle Vague e una scelta poetica felliniana, Jody delle giostre coinvolge e commuove facendoci realmente guardare il mondo con gli occhi di un bambino. Regia, montaggio, fotografia, costumi: tutto azzeccato, ma l’accompagnamento musicale di Daniele Furlati merita una menzione d’onore. Forse il paragone è blasfemo, ma rievoca quella commistione di meraviglia e magia che avevano i film di Chaplin.

Attendiamo al varco Adriano Sforzi, che attualmente lavora al lungometraggio d’esordio Tarzan Soraia: questo corto fa ben sperare in una nuova ventata di qualità nel panorama del cinema italiano.

Insiemi notturni di Chiara Battistini

Tre personaggi in cerca di abitazione: una cinese, uno studente e un divorziato. Sembra una barzelletta, in realtà è un’opera serissima, scritta con la complessità metatestuale di una piece teatrale, e girata senza scorciatoie né ruffianerie.

June è una cinese appena arrivata in Italia che cerca una nuova casa o meglio un’altra società in cui integrarsi; Marco è uno studente del Sud, anch’esso alla ricerca di un’abitazione (a nord), che spera di non trovare; Paolo è un taxista introverso che più che un’abitazione cerca una nuova ragione di vita.

Nell’epoca del precariato la ricerca di un’abitazione costituisce l’immagine dell’impossibilità di ottenere un posto di lavoro sicuro, un futuro. I tre provengono da punti di vista opposti: chi, per cercare abbandona le sue radici, chi è costretto ad anelare qualcosa che in fondo non desidera, e chi ce l’aveva già ed adesso non sa neanche che cosa sperare. Così il simbolico finale notturno intrappola i protagonisti in un museo di arte contemporanea, involontarie opere di un’attualità che li intrappola e sembra volerli trattenere per l’eternità.

Mezz’ora non mi basta di Laura Rovetti

Martino (Paolo Briguglia), medico, bravo ragazzo, borghese e un po’ noioso, investe col motorino Eva (Carolina Crescentini), laureata in lettere, salace e vagamente isterica. Mezz’ora per conoscersi e provare attrazione reciproca, ma il destino prossimo (scuola di specializzazione per lui, viaggio in Cile per lei) sembra sottrarli da più approfondita conoscenza. Efficacissimo corto che percorre strade già battute: due opposti complementari che, incontrandosi per caso, imparano ad apprezzarsi l’un l’altra, strada facendo. Laura Rovetti, sceneggiatrice e regista, punta su ritmo frizzante, caratterizzazione archetipica dei ruoli e comicità innanzitutto ben scritta: il mix funziona e diverte, sia che ci si immedesimi in Martino, che contempla il nevrotico anticonformismo di lei, sia in Eva, che sbeffeggia la pacatezza ed il romanticismo di lui, ma se ne innamora. Unica stonatura nella coerenza dell’opera (ma è un giudizio a carattere del tutto personale) la bella canzone di Bennato in chiusura, forse non proprio fuori luogo, ma abbastanza inutile. Giudizio complessivo comunque più che positivo, per  quindici minuti che si fanno guardare col sorriso stampato sul viso.

La voce sola di Marco Ottavio

Lago d’Orta, giorni nostri. L’amore epistolare ai tempi del telefono: Lisa (Elena Sofia Ricci) è una donna sui quaranta che sta affrontando il dolore di una separazione, ma trova conforto in un annoiato professore di liceo che insegna storia dell’arte ad alunni indifferenti. Lui chiama il telefono amico dove lei lavora, ma parla soltanto quando riconosce la sua voce.

Cortometraggio forse prevedibile nello svolgimento e nella struttura, ma ben girato e curato nei particolari: due anime gemelle così vicine e così lontane divise da un lago, lui che cerca chi lo possa ascoltare e lei bisognosa di un uomo che sappia aprirsi, un pittore che ha sempre dipinto quadri grigi perchè non riesce a vedere i colori… Bellissima fotografia negli esterni, altrettanto curata l’illuminazione degli interni, buona la regia. Il vero difetto di quest’opera è un eccessivo didascalismo, dato non soltanto da metafore troppo scoperte, ma soprattutto dalla loro eccessiva reiterazione. Al regista è mancato il coraggio o la fiducia nello spirito d’osservazione degli spettatori? Più semplicemente, sembra un corto ideato col cuore, ma girato per la TV, in fondo è lo spot-omaggio ai 40 anni del telefono amico.

Angelo Mozzetta

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