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Il divorzio in Italia. Quando il cinema si sostituisce alla politica
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4 anni agoon
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Luca BoveIl cinema, come ogni forma artistica, ha tra i suoi compiti il rappresentare i mutamenti della società. Ma non è raro che la settima arte anticipi questi mutamenti sostituendosi alla politica e non solo.
È ciò che accaduto a cavallo degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quando il parlamento approvò, finalmente, la legge Fortuna. Questa concedeva agli italiani la possibilità di divorziare.
La strada che ha portato l’approvazione del divorzio in Italia è stata lunga e tortuosa, basti pensare che la prima proposta in materia risale al 1870. E anche quando ormai tutto sembrava fatto, i promotori della legge dovettero superare l’ostracismo della Democrazia Cristiana.
Anche parte del mondo della sinistra non era entusiasta, ritenendo che la società italiana non fosse ancora pronta. La legge venne approvata grazie al coraggio di una sparuta rappresentanza parlamentare, sostenuta però, da un forte sostegno popolare.
I film sul divorzio e la commedia all’italiana
Intanto il tema del divorzio divenne una delle costante del cinema italiano dell’epoca. Il tema fu affrontato da Pier Paolo Pasolini nella sua inchiesta-documentario, I comizi d’amore (1965). Ma tanti sono film dedicati al divorzio: I fuorilegge del matrimonio (1963) di Valentino Orsini e i fratelli Taviani, Signore e Signori (1965) di Pietro Germi, Scusi, lei è favorevole o contrario? (1966) con Alberto Sordi e tanti altri.
Questi titoli ci riportano alla Commedia all’italiana, che solo un ‘analisi superficiale potrebbe considerare un genere d’evasione. In realtà, attraverso l’ironia e la brillante interpretazione di attori come, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi e Vittorio Gassman, la Commedia all’italiana ha rappresentato gli innumerevoli conflitti della società italiana durante gli anni del boom economico.
Ma non solo; la fortunatissima stagione cinematografica ha cambiato il modo di rappresentare i personaggi femminili e maschili. Finalmente il cinema italiano dedica spazio all’emancipazione, anche sessuale, della donna.
Il nuovo modo di rappresentare l’uomo e la donna
Attrici straniere, come Catherine Spaak, ma anche italiane, Monica Vitti; interpretano donne non più solo oggetto di desiderio. I loro personaggi (non è un caso che alcuni critici usano il termine “personagge”) sono attivi e appaiono scandalosamente spregiudicate.
I personaggi maschili, ovviamente, non potevano essere immuni da questa nuova rappresentazione. La cinematografia italiana aveva mostrato uomini prestanti, virili, si pensi ad Amedeo Nazzari, attore simbolo durante e dopo il fascismo.
Anche la prima stagione della commedia all’italiana rappresenta uomini energici, attivi come uomini e personaggi. I loro corpi esprimevano una forte vitalità ed erano portatori di principi aderenti alla pubblica moralità: Onestà, e soprattutto fedeltà alla famiglia.
Ma con boom economico tutto cambia e mentre i personaggi femminili acquistano progressivamente forza, quelli maschili sembrano diventare sempre più flaccidi. È interessante notare che questo cambio di rotta avviene attraverso un attore come Marcello Mastroianni, il latin lover del cinema italiano.
Nei primi anni ‘60 l’attore è protagonista di due film, che in maniera diversa, affrontano il tema del divorzio; Il bell’Antonio (1960) e Divorzio all’italiana (1961). Entrambe le pellicole sono ambientate in Sicilia e non è un caso.
L’isola per Mauro Bolognini e Pietro Germi, i registi dei due film, diventa il luogo ideale dove rappresentare le loro vicende. La Sicilia con la sua storia e cultura diventa simbolo della società italiana di allora. Il vecchio e il nuovo si scontrano con risvolti grotteschi, comici e tragici.
Il bell’Antonio di Mauro Bolognini
Il bell’Antonio è tratto dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati e vanta la partecipazione di Pier Paolo Pasolini come sceneggiatore. Il film, oltre che affrontare il tema del divorzio, fa luce sul nuovo modo di rappresentare i personaggi femminili, ma soprattutto quelli maschili.
Antonio (Marcello Mastroianni) è un giovane bello e affascinante. Dopo gli anni di studio trascorsi a Roma torna nella sua Catania. Alfio (Pierre Brasseur), suo padre, vuole farlo sposare con Barbara (Claudia Cardinale), bella e ricca. Antonio, però, non ne vuole sapere, ma appena vede una sua foto s’innamora e decide di sposarsi. Dopo le nozze, tutto sembra filare per il meglio, ma un giorno il padre di Barbara comunica ad Alfio che sua figlia è ancora vergine. La famiglia di Barbara aveva saputo molto prima che il matrimonio non era stato consumato. Ma decide solo dopo mesi, quando si prospetta la possibilità di un nuovo matrimonio più conveniente, di far annullare il sacramento che lega la ragazza con Antonio.
Chi tiene i santi va in paradiso, chi non ne ha va all’inferno
Il bell’Antonio, disponibile su YouTube, non affronta direttamente l’argomento divorzio, anche perché è ambientato almeno dieci anni prima dell’approvazione della legge. Ma il film dimostra come il matrimonio non è mai stato indissolubile, per chi possedeva denari e potere come la famiglia di Barbara.
I Puglisi, infatti, ottengono l’annullamento delle nozze ricorrendo alla Sacra Rota, ma lo fanno solo perché per Barbara si prospetta un nuovo marito molto più ricco di Antonio. È una storia che si ripete da secoli, chi ha i santi va in paradiso, chi non ne ha va all’inferno.
Le porte dell’inferno, infatti, si aprono per Antonio e soprattutto per Alfio che non riesce ad accettare l’impotenza di suo figlio. Antonio, da tutti ritenuti un grande Don Giovanni, non riesce a possedere la donna che ama. La sua però non è impotenza fisica, o almeno non solo. Lui è impotente soprattutto mentalmente.
Il personaggio possiede tutte le caratteristiche della contraddizione dell’epoca. Rappresenta l’uomo nuovo, afflitto e oppresso dal passato che non gli permette di esprimere il suo essere. Antonio si fa travolgere dagli eventi, in lui c’è vitalità, ma è soffocata da tutto ciò che gli è attorno.
È incapace di agire si abbandona e sprofonda in un malessere esistenziale senza via d’uscita, o meglio c’è, ma è solo di facciata. Antonio salva la sua reputazione di uomo virile ingravidando la giovane servetta di casa, ma è davvero lui il padre? Una telefonata di Eduardo (Tomas Milian), suo cugino, fa sorgere grossi dubbi.
Divorzio all’italiana di Pietro Germi
La stessa dinamica, ma con modi differenti, viene messa in gioco in Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi. Il film, disponibile su YouTube, fu premiato al festival di Cannes e ottenne un Oscar per la sceneggiatura.
Ambientato in un paese immaginario della Sicilia, dove vive il barone Ferdinando Cefalù (Marcello Mastroianni), detto Fefè. Ferdinando è sposato con Rosalia (Daniela Rocca), una donna assillante, per la quale ha perso ogni attrazione. L’uomo è in realtà innamorato di Angela (Stefania Sandrelli), sua giovane cugina. In Italia ancora non c’è il divorzio, ma è previsto il delitto d’onore e Fefè cerca di liberarsi della petulante Rosalia mettendo in piedi un piano diabolico.
Cornuto per scelta o cornuto inconsapevole?
Divorzio all’italiana è un tipico esempio di commedia, ma per certi versi possiede la stessa valenza de Il bell’Antonio. Il barone Fefè, interpretato da Marcello Mastroianni non è certo un uomo forte e virile, tutt’altro. Il regista e l’attore sono bravissimi nel costruire un personaggio del tutto svigorito.
Questa volta il protagonista del film non si abbandona al malessere esistenziale, piuttosto sembra dominato da un desiderio che affloscia i sensi. Ma come l’Antonio di Mauro Bolognini, il Fefè di Pietro Germi si sente oppresso dal mondo che lo circonda.
Egli non ha nessuna vergogna di passare per cornuto, anzi fa di tutto per diventarlo. Fefè è consumato dal desiderio di amare, in tutti i sensi, la bellissima e giovane cugina. E per questo respinge sua moglie.
Divorzio all’italiana è realizzato in pieno boom economico, ma la sua vicenda e i suoi personaggi sembrano vivere in un società ancestrale, dove tutto è regolato da regole antichissime. Un codice d’onore da rispettare, pena la morte fisica e sociale.
Ma Fefè ribalta questo codice a suo vantaggio. Ma proprio quando tutto sembra andare secondo i suoi piani non ha la forza di agire. La moglie è scappata con un suo vecchio fidanzato e lui la potrebbe ammazzare, ottenendo una pena molto lieve, grazie al delitto d’onore.
Il barone Ferdinando, però, sembra non avere la forza di vendicarsi, forse, ha paura di realizzare il suo sogno. È Immacolata, infatti, la moglie dell’amante di Rosalia, che ammazza il marito. Ora anche Fefè può ammazzare la moglie e salvare il suo onore.
Fefè finalmente può sposare sua cugina e vivere una vita felice con lei. Ma come in Il bell’Antonio, il finale è anche qui consolatorio solo di facciata. I due sono in viaggio di nozze e si baciano, ma la donna fa il piedino ad un giovane e prestante marinaio. Fefè da cornuto voluto, diventa cornuto inconsapevole.