“Ho raccontato la mia storia con il desiderio che potesse diventare di altri, ma non avrei mai immaginato facesse il giro del mondo. Questa è una piccola magia del film che mi rende orgoglioso e grato. In questo momento vorrei condividere il successo con tutti coloro che mi hanno supportato, in particolare con la comunità dei giostrai e dei circensi cui sono legato da affetto e riconoscenza e che sta attraversando un momento di grande difficoltà.”
Con questi termini, il regista pugliese Giulio Mastromauro commenta felicemente l’ottimo esito del suo cortometraggio Inverno durante questo difficile 2020. L’opera del pugliese Mastromauro, già premiata con il David di Donatello, rappresenta difatti l’Accademia del Cinema Italiano nella corsa verso l’ambitissimo premio Oscar.
Il film, delicato ma al tempo stesso d’impatto, si è inoltre aggiudicato ben 70 Selezioni Ufficiali e oltre 30 riconoscimenti nel mondo; risulta, così, il cortometraggio italiano più premiato del 2020. È stato presentato in 80 Paesi, grazie all’evento “Fare Cinema“, e segnalato dall’Accademia dei César ne “Les Nuits en Or” tra i 26 migliori corti al mondo nel 2020.
Il protagonista del cortometraggio è Timo: un bambino appartenente ad una comunità greca di giostrai. Il piccolo si muove negli spazi circostanti durante un lungo inverno, metafora del dolore e delle difficoltà che involontariamente si ritrova ad affrontare. Il film si apre con l’inquadratura di Timo che, a penzoloni su una giostra, guarda in basso preoccupato. Lo spettatore percepisce, dunque, immediatamente che qualcosa lo turba nel profondo dell’animo. Si ritrova ad empatizzare fin dal primissimo istante con lui. Con quello sguardo. Con quel dolore celato. Con le parole non dette, ma pensate, temute.
“L’inverno è una brutta bestia“, arriverà a sostenere il nonno. Lo spettatore segue dunque il susseguirsi degli eventi attraverso gli occhi malinconici di Timo; ma anche mediante il suo stato d’animo, le sue espressioni e, ancor di più, tramite i suoi lunghi silenzi. E’ attraverso questa emotività altalenante e gli innumerevoli incroci di sguardi degli attori che percepiamo il punto di vista dell’autore: spesso i bambini, a differenza degli adulti, non sono per niente immunizzati verso la sofferenza.
L’infanzia è infatti un periodo fragile, pieno di illusioni e inconsapevolezza. Nonostante ciò, i piccini assorbono tutto, proprio come delle spugne: recepiscono tensioni e tutte le altre emozioni che galleggiano nell’ambiente circostante attraverso sguardi, tono di voce e parole degli adulti. Questi ultimi, tuttavia, spesso se lo scordano. Dimenticano di esser stati a loro volta dei bambini o come si son sentiti in determinati momenti difficoltosi.
L’autore, tuttavia, non risulta giudicante verso il mondo adulto. Al contrario, il suo punto di vista è sempre estremamente delicato. D’altronde, è proprio il dolore il fil rouge che accomuna i singoli personaggi. A tavola, ad esempio, durante il momento della cena, gli adulti sembrano voler tacere la verità, discutono di lavoro, quasi per sviare Timo dal triste evento, oramai imminente. Si percepisce, pertanto, un tentativo di alleggerire lo stato d’animo del piccolo. L’aria in casa, tuttavia, resta estremamente pesante. Asfissiante.
Nella scena in cui il piccolo è ripreso seduto sulla roulotte, stringendosi forte all’interno di una coperta pesante, sembra quasi che Timo sia alla ricerca di calore umano, nel pieno di quel freddo invernale che invece non lo abbandona.
Nella parte conclusiva, dopo la morte della madre, il protagonista ritorna alla sua quotidianità. Riaffiorano tuttavia improvvisamente i ricordi: in una scena, osserva triste le foto che lo ritraggono felice e spensierato con la mamma. Nulla sarà più come prima. Se il padre sfoga la sua rabbia nel lavoro e prova a rimuovere i ricordi gettando la carrozzella della moglie, Timo sfogherà tutto il suo dolore in solitudine, durante un nuovo giro di giostra. Le lacrime gli solcano involontariamente il viso. Il tempo sembra quasi cristallizzarsi in quell’istante liberatorio. La giostra diviene pertanto la metafora della vita, che non cessa, anche quando tutto sembra terminato, quando ogni speranza appare vana.
Il racconto dell’autore arriva dritto al cuore, in maniera poetica ma soprattutto limpida, onesta. Dopo la visione di Inverno, il volto di Timo resta ben impresso negli occhi dello spettatore. Allo stesso modo, probabilmente il regista conserverà per sempre il ricordo della madre giovane. “A mia madre, che sarà giovane per sempre“, è questa la dedica conclusiva dell’autore. Il film può essere letto come il nobile tentativo di rielaborare un’esperienza infantile, alla luce di quella adulta e servendosi del cinema, come mezzo espressivo e introspettivo. Al tempo stesso racconta una verità che sfiora inesorabilmente le corde più profonde di ognuno di noi, l’Io bambino.
La riuscita del film risiede proprio nella delicatezza con cui Giulio Mastromauro si è approcciato alla materia autobiografica: con estrema lucidità, i suoi ricordi e la sua emotività si mescolano con l’obiettivo di ricreare sul grande schermo un mondo onirico, affascinante e poetico. Proprio come lo è, dopotutto, quello dei giostrai.
Inverno (Timo's Winter)
Anno: 2020
Durata: 16' 28''
Distribuzione: Zen Movie
Genere: Cortometraggio | Fiction | Drammatico
Nazionalita: Italia
Regia: Giulio Mastromauro
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