“Il mio nome non appariva sulla guida del telefono e nessuno conosceva il mio indirizzo. Tutti sapevano che fare il giro dei locali era l’unico modo per trovarmi”. E ancora: “Detesto che qualcuno mi disturbi quando ascolto del buon blues”.
Così si presenta Marco Buratti, nel libro La verità dell’Alligatore, il primo dei nove che Massimo Carlotto ha ideato dal 1995 sul personaggio dell’Alligatore. Personaggio ancora vivo, al centro, nel 2017, del romanzo Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane. Titolo che è tutto un programma, in linea con le narrazioni che riguardano Marco Buratti e i suoi collaboratori.
Ora, la serie Tv. Otto episodi e quattro serate, prodotta da Rai Fiction e Fandango, in onda su Rai Due dal 25 novembre, e fin dall’inizio su RaiPlay.
Matteo Martari, Thomas Trabacchi, Valeria Solarino, Gianluca Gobbi interpretano al meglio soggetti un po’ bizzarri sopra le righe, o sottotono, come vuole questa strana narrazione che attraversa generi diversi: thriller, noir, drammatico, western e un che di poliziesco che rimanda agli anni Settanta.
L’Alligatore: il racconto
Il racconto inizia con l’alluvione del 2010, in Veneto, e finisce con la tempesta di vento del 2018. Le date però non sono quelle storiche dei due disastri ambientali, che qui si fanno metafora dello sconvolgimento psicologico: quello interiore del protagonista: Marco Buratti, l’Alligatore.
Matteo Martari (nel suo primo ruolo da protagonista), presta il corpo indolente, spesso stravaccato sul divano a smaltire le sbornie da Calvados, all’anima sofferta del suo personaggio. E la gestualità distratta nel rollare una sigaretta, nel portarsela alla bocca, un parlare veneto strascicato, spavalderia e fragilità di movenze e sguardo.
Nel primo flash-back lo vediamo uscire di galera. C’è stato ben sette anni, innocente, e ha perso il suo amore: Ognuno ha il suo blues. Il mio è il ricordo di una donna che mi ha dimenticato mentre ero in galera (M. Carlotto). Ha dovuto interrompere anche il lavoro di cantante, ma la passione del blues non lo abbandona. Il regista Daniele Vicari(che della serie è anche supervisore artistico) dice che il blues è anche qualcosa di più: tiene insieme tutte le spinte narrative dei romanzi di Carlotto, e le contraddizioni dell’Alligatore, “di un cantante che non canta, ma ha la musica dentro l’anima”.
Musica e location
La colonna sonora di Teho Teardo ricorre a un blues che è quello delle origini, in una Louisiana triste, la definisce Vicari, quella nostra, che dalle valli di Comacchio si spinge fino al nord del Veneto. Che “Altri hanno rappresentato prima di lui, Mazzacurati, per esempio, ma che non è mai diventata, come ora, il cuore pulsante della storia”.
Musica e location sanno creare un’atmosfera originale, diversa dalle solite fiction italiane. Le riprese dall’alto del lungo Po, una strada che divide la laguna a metà, i colori di un’acqua ferma che si scatena, come si diceva, all’improvviso, a chiedere il conto di troppe tensioni faticosamente sopite. Non è un’acqua che ripulisce, ma che travolge. Vale per il dolore del protagonista che prima o poi dovrà esplodere, e per i traffici illeciti sommersi che devono essere smascherati in tutte le loro brutture.
L’alligatore e lo zio Beniamino (la coppia Martari/Trabacchi)
Marco Buratti si muove in questi luoghi alla ricerca di verità nascoste, su richiesta di persone che non possono farsi aiutare dalla polizia. Da lui sì, perché ha imparato in carcere l’arte della trattativa, scoprendo le sue doti di mediatore, sempre sul confine scomodo tra illegalità e bisogno di giustizia. “La mia metà blues ritornava a farsi sentire e, tirandomi per la manica, mi chiedeva di continuare a cercare” (M. Carlotto).
Lo accompagna il suo amico di prigione, Beniamino Rossini (Thomas Trabacchi). Pistolero infallibile, formatosi nell’ambiente della mala milanese, che ha dovuto lasciare per mantenere fede ai suoi principi. Odia le droghe, le perversioni sessuali, lo sfruttamento; tanto che, approfittando del suo lavoro di contrabbandiere, accompagna in Dalmazia le fanciulle slave che, insieme alla sua donna, sottrae alla prostituzione.
È un personaggio pacchiano, lo zio Beniamino (così lo chiama l’Alligatore). Capelli all’indietro, baffi anneriti con il mascara, giubbino attillato, borsello fuori moda: sembra arrivato direttamente da un film degli anni Settanta. E la sua parlata milanese, così improbabile oramai! Tutto un minga, alura, ghe pensi mi!
Ci si mette un po’ a prenderlo sul serio. Il suo ruolo cresce durante le indagini, e rivela il lato drammatico di sé solo nell’ultimo episodio, quando viene raccontato il suo vissuto in carcere. Carlotto lo fa durante la prima avventura dell’Alligatore; Vicari e Scaringi scelgono di dare spessore al personaggio solo verso la fine.
Fiction e narrazione letteraria
D’altra parte, le trame, che vogliono mantenere lo spirito dei romanzi, vi attingono qua e là, ma sono poi strutturate diversamente. La storia, per esempio, è attualissima, mentre Carlotto, che ha partecipato alla sceneggiatura della fiction, inizia la serie letteraria negli anni Novanta, e torna indietro nel tempo fino al ’76. Accenna anche a Tangentopoli. Sono passati solo tre anni tra la prima indagine dell’Alligatore di carta e il 1992. La corruzione è rimasta la stessa. Tanto che i nostri “eroi”, quando si trovano ad intascare una tangente, non possono far altro che considerare come non sia cambiato nulla: è solo aumentato il prezzo.
Anche oggi purtroppo, come allora, il malaffare rimane identico, identici i traffici loschi del potere. La giustizia non va fino in fondo e i colpevoli non vengono puniti del tutto nel finale aperto, che può far sperare in una seconda stagione, ma con l’amaro in bocca.
L'Alligatore
Anno: 2020
Durata: otto episodi di 50 minuti
Genere: poliziesco
Nazionalita: Italia
Regia: Daniele Vicari e Emanuele Scaringi
Data di uscita: 25-November-2020
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