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FESTIVAL DI CINEMA

#RIFF Angie: Lost Girls di Julia Verdin

Angie: Lost Girl, in concorso al Rome Independent Film Festival 2020 e diretto da Julia Verdin, parla del terrificante mondo del traffico sessuale che ammorba gli Stati Uniti. Scava oltre la patina luccicante del mondo occidentale rivelando un lato torbido e orribile, insopportabile da credere.

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Angie: Lost Girls di Julia Verdin

Al Rome Independent Film Festival è stato presentato Angie: Lost Girls, scritto e diretto da Julia Verdin. Con una lunga carriera da produttrice alle spalle, che annovera Il mercante di Venezia con protagonista Al Pacino, Julia è passata alla regia con il suo primo lungometraggio. Un film, tratto dall’omonimo cortometraggio del 2016 realizzato sempre dalla Verdin, che parla del terrificante mondo del traffico sessuale che ammorba gli Stati Uniti.

Trama di Angie: Lost Girls

Angie Morgan è una ragazza di 16 anni trasferitasi da poco con la famiglia a Los Angeles. Con i genitori costantemente distratti ed occupati con il lavoro, il rapporto con la sorella minore è tutto ciò che ha. Un giorno conosce Mario, un ragazzo a cui si lega sempre di più fino alla nascita di una relazione che preferisce tenere segreta ai genitori. Mario a sua insaputa collabora con una rete di traffico sessuale e trascina Angie in un mondo terrificante di stupri e abusi. Mentre la polizia e la sua famiglia disperata lottano per ritrovarla, Angie e le altre ragazze lottano per rimanere in vita.

Recensione

Angie: Lost Girls è un film esteticamente ed estaticamente imperfetto, sporco, disorganico nella sua messa in scena. Un’imperfezione che va ad assimilarsi al tema narrato, che tutto è fuorché armonico ed impaginato in modo ineccepibile. Julia Verdin solleva un sipario nascosto su un palcoscenico orripilante a cui fa male credere. Lo fa con un racconto di finzione che si basa su esperienze reali legate al traffico sessuale negli Stati Uniti, tra abusi, stupri e rapimenti. Ne denuncia la presenza ancora oggi, nel 2020. Non in epoche passate o in qualche paese dove miseria, povertà, criminalità sono presenti in modo più radicale, ma nel simbolo dell’Occidente. In quegli Stati Uniti che dietro il sogno americano nascondono incubi di un’oscurità insopportabile. A pochi giorni di distanza dalla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, questo film ne evidenzia la massima urgenza in modo stridente.

Angie incarna lo stereotipo adolescenziale americano. Una ragazza di 16 anni trasferitasi da poco in una nuova realtà, alle prese con nuove amicizie e primi amori e in lotta con genitori troppo assenti. Un profilo che si addice a migliaia di nuclei familiari, per rappresentare proprio uno tra gli scenari più comuni. Lo sviluppo iniziale appare conforme al film di formazione, nonostante le sinistre avvisaglie del prologo, e il rapporto con la sorella minore sembra esserne il focus centrale. Si instaura subito un forte legame tra l’occhio della macchina da presa e la protagonista, seguita e quasi accarezzata con l’utilizzo della camera a mano. La rivelazione della vera anima del film appare bruscamente e in modo repentino, senza escamotage narrativi. Un forte strattone che conduce personaggi e spettatori nel vortice della più atroce malvagità di cui è capace l’Uomo.

Angie: Lost Girls di Julia Verdin

Il marchio della disumanità

D’altronde come ci si può abituare o prepararsi a tali accadimenti e ad una tale barbarie? Le vittime vi si trovano immischiate senza nemmeno accorgersene, spesso per mano di persone insospettabili come Mario. Ed è così che Angie: Lost Girls vira sempre più verso un orrore che non si avvale degli elementi fantastici del genere. Le ragazze vengono sottoposte ad abusi che distruggono l’anima, ancor più che il corpo. Sono inoltre marchiate con un tatuaggio che identifica il “club” in cui si trovano. Un marchio che ricorda terribilmente i numeri incisi sulla pelle degli ebrei oltre 70 anni fa e che interiormente rischia di rimanere a vita, impresso nella mente di chi riesce a fuggire.

Fuggire fisicamente e metaforicamente, perché le vittime di una violenza così grande non riescono facilmente a lasciarsi tutto alle spalle. Dimenticare e tornare alla normalità comporta difficoltà quasi altrettanto grandi. C’è però un lieve ma tenace germogliare di umanità che fa da controcampo a tutto questo, tenui luci che provano a squarciare l’oscurità. Come ad esempio il rapporto che sorge tra le ragazze che si trovano nelle medesime condizioni e che si aggrappano a quel legame per non soccombere totalmente.

Angie: Lost Girls, nelle sue numerose imperfezioni che, in un prodotto del genere e trattando un tema simile, vanno contestualizzate e che risultano persino funzionali al torbido che racconta, lascia precise sensazioni e forti emozioni. Il fatto di sapere, fermo restando l’ovvio lato di finzione che avvolge sempre un’opera cinematografica, che quello che abbiamo visto è basato su storie realmente accadute e su pratiche realmente seguite nei casi di traffici sessuali, lascia una sensazione di puro terrore che supera le varie maschere e i vari codici che il genere dell’horror utilizza. Anzi, semanticamente c’è proprio un ribaltamento della costruzione e del punto di partenza.

Angie: Lost Girls di Julia Verdin

  • Anno: 2020
  • Durata: 108'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Julia Verdin

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