Presentato in anteprima e in concorso, unico film italiano, al Torino Film Festival e in sala dal 27 Maggio Reginaè un esordio all’insegna di un’essenzialità che riguarda tanto la regia che le interpretazioni. Prodotto da Bianca Film e distribuito da Adler Entertainment di Regina abbiamo parlato con il regista Alessandro Grande.
La nitidezza della luce mi sembra rappresenti allo stesso tempo l’atteggiamento dei personaggi e il tuo sguardo su di loro. Se i primi sono trasparentinelle intenzioni e nei rapporti, il secondo gli si rivolge in maniera obiettiva. Per questi motivi Regina non è un thriller dell’anima, ma un film sul rapporto tra due persone.
Esatto. La tua analisi mi rassicura nel senso che è la conferma del fatto che il film arriva nella maniera prefissata. La fotografia è di Francesco Di Pierro, storico collaboratore, al quale mi unisce lo stesso percorso di crescita. Con lui siamo partiti dai cortometraggi per arrivare a questo film. Il nostro affiatamento non riguarda solo il set, ma anche i gusti cinematografici, per cui eravamo d’accordo nel trasmettere l’idea esposta nella tua domanda. Per questo la fotografia dovevaessere in simbiosi con il percorso narrativo e con il temperamento dei personaggi.
Le ambientazioni fredde e se vogliamo anche un po’ anguste sono comunque lo specchio del viaggio esistenziale dei protagonisti e un contraltare al calore che avevano dentro. Mi piaceva che non fosse un thriller dell’anima come spesso era stato notato in fase di sceneggiatura, ma piuttosto un dramma legato a un racconto di formazione e alla crescita di Regina e Luigi.
Alessandro Grande
Anche la scelta di ambientare Regina in un paesaggio naturale va di pari passo con un’essenzialità, che appartiene tanto alla tua regia quanto alla qualità dei rapporti umani raccontati nel film.
Essenziale, hai trovato la parola giusta, quella che rispecchia in qualche modo tutta la regia: volevo evitare di strafare, come succede quando si vuole dimostrare di padroneggiare la mdp. Il mio intento era di finalizzare il mio lavoro all’ essenziale, per raccontare la storia secondo quelle che sono le emozioni dei personaggi. Così ho fatto per l’ambientazione, la fotografia e anche la scenografia.
In una delle prime scene vediamo padre e figlia distesi su due lettiniall’interno di una sauna. In quel contesto la scelta fotografica è efficacissima, perché, a differenza delle altre sequenze, la differenza di colore (verde e rosso) con cui diversifichi l’illuminazione dei personaggi, e soprattutto la posizione parallelae tangenziale dei protagonisti rispetto allo spazio in cui sono collocati,comunicano che l’armonia delle scena precedenteè destinata a rompersi.
Tu stai notando delle cose che so solo io. Il significato è anche quello, e cioè di mettere in guardia lo spettatore sul fatto che tutta questa affinità, questo legame tra padre e figlia a un bel momento si troverà a seguire direzioni differenti, perché diversi sono i bisogni dell’anima di Regina e Luigi.
Sempre nella stessa scena, tu ne sottolinei il concetto attraverso le linee dei corpi. Queste sono vicine ma appunto parallele, destinate a non incontrarsi. Proseguono nella stessa direzione senza però toccarsi. In effetti poi il film sviluppa questo bisogno, soprattutto da parte di Regina.
Esattamente e, se noti, Luigi è quello a noi più vicino in termini di posizione. Questo è indicativo della solitudine di Regina destinata a sperimentare questa condizione per via delle sue scelte.
Mi sembra che uno dei temi del film, forse quello principale, ruoti attorno all’eccesso di amore del padre verso la figlia. Il surplus di emotività da parte di Luigi a un certo punto soffoca Regina, le toglie spazio in un momento in cui lei sta cercando di trovare il proprio posto nel mondo.
Insieme a questo, c’è anche quello di non sapere educare una persona, nel senso che mi sono un po’ ispirato al complesso di Telemaco. Questi aspetta il padresulle rive del fiume, perché senza di lui non è in grado di portarel’autorità all’internodella sua famiglia. Quello che manca a Regina è una figura capace di prendersi le proprie responsabilità, perché accompagnare la figlia a musica e a divertirsi va bene, però essere padre implica un altro tipo di rapporto.
In effetti il nome Regina è indicativo. Rimanda all’inadeguatezza del padre che tende a mettere la figlia su un piedistallo. Seppur in maniera fortuita, è lui che la pone nella condizione di provocare l’incidente che fa da premessa alla storia.
Esatto, è un modo sbagliato di approcciarsi, un modo giovanile, un modo superficiale, un modo che non sembra quello di un uomo, ma piuttosto di un ragazzo.Luigi rappresenta la mia generazione, o meglio, quella fetta di essa incapace di prendersi le proprie responsabilità. Come dici tu, questo rapporto si mostra da subito come un relazione amicale sancita dal fatto di trovarsi bene insieme.Però, con il procedere del dramma, iniziamo a conoscere meglio Luigi ea capire dove stanno i suoi errori. Sarà solo alla fine e attraverso la figlia che troverà il modo didiventare uomo.
Padre e figlia sono soggetti a un transfert narrativo e comportamentale. Se il padre per supplire alla mancanza della figura materna si sostituisce ad essa, finendo per soffocare Regina, così fa la ragazzina con il bambino a cui fa da baby-sitter, neltentativo di sostituire il padre da poco scomparso. Ambedue sono spinti a comportarsi così per il senso di colpa che attanaglia le loro vite.
Sì, è assolutamente giusto quello che dici, E’ una cosa fatta di proposito quella di raccontare loro due e non anche gli altri personaggi.E’ stata una scelta finalizzata apotenziare l’aspetto che hai colto.
Regina è anche una storia intima e privata, ma secondo me ha anche una forte risonanza con la contemporaneità, perché racconta di una adolescenza tormentata e soprattutto isolata. L’esistenza di Regina è rubata alle abitudini tipiche della sua età. In termini di socialità sono i giovani ad avere sofferto più degli altri per le restrizioni causate dalla pandemia
A favorire la tua tesi c’è anche il fatto che il film sia ambientata in un luogo che non consente di avere grande vita sociale. Per questo era fondamentale concentrarsi sui rapporti umani. A questi toccava il compito di far evolvere la storia su altre corde dell’anima. Obiettivamente, all’iniziosembra una costrizione, ma non lo è, perché Regina è felice di stare con suo padre: seppur circoscritta, quella sembra la sua dimensione. Soltanto dopo, si libera di quello che è un fardello, e cioè della persona che continua a sbagliare nel tentativo di educarla. Luigi è incapace di ascoltarla quanto dovrebbe, preferendo chiuderla in casa senza ascoltarne le esigenze. Sarà l’assenza di Regina a insegnargli come si deve fare.
La tua è una regia essenziale nei movimenti di macchina, nella messa in scena, come pure nel realismo dei sentimenti. Riesci nei tuoi intenti senza importi uno stile documentaristico, arrivando persino a creare suggestioni che diventano metafore. Questo pur mantenendo uno sguardo oggettivo sui personaggi. E’ così o dobbiamo aggiungere altro?
È assolutamente così. Regina è un film fatto in piani sequenza, uno per ogni scena. Il realismo é dato dalla continuità del tempo che scorre all’interno delle singole parti. E’ stata una decisione un po’ rischiosa per un’opera prima. Detto questo, la storia aveva bisognodi un ritmo e di una sua verità anche da un punto di vista recitativo e attoriale. Soprattutto avendo a che fare con una ragazza di quindici anni chiamata a tenere la scena
Ho corso questo rischio, perché secondo me sarebbe stato il modo giusto di raccontare la vicenda, quello migliore per far empatizzareil pubblico con i personaggi e le loro vicissitudini. Con Ginevra Francesconi abbiamo iniziato a provare un anno e mezzo prima. Per questo mi serviva un’attrice molto giovane e capace di esercitarsi molto senza per questo perdere la sua naturalezza. Per riuscirci ho preso la storia molto alla larga, cercando di farla entrare nel personaggio un poco alla volta. L’obiettivo era quello di trasformare Ginevra nella persona che avrebbe dovuto interpretare, in maniera tale che le sarebbero bastati pochi ciak per portare a casa le singole scene.
Se vogliamo è questo l’aspetto documentaristico del film, il fatto che gli attori sono a tutti gli effetti dei personaggi. In particolare Ginevra, che si è talmente immedesimata da continuare a essere Regina anche dopo il termine delle riprese.Quandoè finito il film, l’ha presa molto male perché per lei la vita di Regina non si era conclusa con il termine delle riprese. Tutto questo a conferma di quel realismo dei sentimenti di cui parlavi e che mi piacerebbe sottolineare quando lanceremo il trailer. In fondo è stato da sempre quello il mio obiettivo.
Da quando l’ho vista in The Nest e poi in Famosa, sono diventato un estimatore di Ginevra Francesconi. In Regina le hai affidato un ruolo ancora diverso, in cui oltre alle qualità di attrice doveva mettere in mostra quelle di performer, dimostrando di saper suonare e cantare.
E’ tutto farina del suo sacco, perché la voce e la musica sono proprio sue. Ho conosciuto Ginevra a Torino senza averla mai vista recitare, perché Famosanon era ancora uscito e The Nestè andato in sala dopo che l’avevo scelta. Per me si è trattato di amore a prima vista: il suo è stato il primo provino che ho ricevuto. Dopo di lei ho visionato circa 600 ragazze. Ho raso al suolo la Calabria, la Sicilia e tutto il sud; ho fatto provini anche a Roma, ma per Regina avevo sempre in testa lei.L’ho conosciuta, abbiamo fatto quattro/cinque call back e poi l’ho scelta.
Regina era un ruolo difficile, perché oltre ad avere sulle spalle il film bisognava dare vita a innumerevoli sfaccettature, comprese quella di dover suonare e cantare. In più il ruolo prevedeva di dover passare dalla più gioiose manifestazioni di felicità a una totale introspezione. Per renderlo funzionale aveva bisogno di una grande preparazione, cosa che Ginevra ha fatto andando a studiare canto e a prendere lezioni di chitarra, discipline a lei prima d’allora sconosciute. Nel contempo ha partecipato alle prove settimanali per cui il suo percorso è stato davvero intenso. La sua è stata una prova da grande attrice.
Lo confermo. E’ così brava che ho pensato provenisse da uno dei tanti talent musicali. Sapere che non è così è davvero sorprendente. A proposito di sorprese, tra queste c’è anche quella di Francesco Montanari, il quale film dopo film dimostra una versatilità capace di imporlo come attore a tutto campo, in grado di passare da ruoli duri e tenebrosi ad altri più fragili ed emotivi, come quello di Luigi.
Fare il duro per Francesco è naturale, perché lui si è fatto conoscere interpretando questo tipo di personalità. Al contrario, pochi ne conoscono la dolcezza, per cui, sapendolo, ho pensato fosse perfetto per i ruolo. Luigi è un padre dal passato travagliato: è una personaappesantita da quello che la vita gli ha riservato, a cominciare dalla scomparsa della moglie e dal fatto di aver abbandonato la carriera di cantante per crescere la figlia. Inizialmente, questi aspetti vengono messi da parte,perché a prevalere è il suo atteggiamento dolce e amichevole. Poi però le difficoltà fanno tornare fuori le difficoltà patite in precedenza e destinate a essere superate grazie a Regina. E’ la figlia che lo aiuterà a smettere di essere un ragazzo per diventare un uomo.
Su quale cinema ti sei formato e quali film ti hanno ispirato per questo esordio?
Ho sempre cercato di mettere in scena storie secondo il mio punto di vista. L’ho fatto con i corti e lo stesso è successo per Regina. Questo per dire che non mi sono ispirato a qualcuno in particolare. Secondo me sono stato influenzato da quello che è il mio gusto personale e dunque dal mondo cinematografico che preferisco. Penso per esempio alCristian Mungiu diUn padre, una figlia; mi vengono in mente i fratelli Dardenne de La ragazza senza nome e di Due giorni una notte. Di loro mi piace lo stare sempre con il personaggio, la coerenza e il rigore con cui lo accompagnano attraverso le diverse situazioni del film. Solo pochi riescono a farlo. Per me è questo aspetto a caratterizzare lo sguardo di un regista.
Ho cercato di essere il più naturale possibile. Poi, è chiaroche si finisce per assorbire lo stile degli autori che ami. Tra questi aggiungo Asghar Farhadi, regista che unisce la denuncia alla capacità di costruiregrandi atmosfere e film come Il caso Kerenes.
Per finire, volevo che tu spendessi qualche parola per il supporto ricevuto dalla Calabria Film Commission. Tu sei solo l’ultimo di una serie di registi saliti agli onori delle cronache per essere stato selezionato nel concorso di un grande festival. Dopo Padre nostro ora tocca a Regina rappresentare il lavoro svolto da Giuseppe Citrigno, grazie al quale il cinema calabrese e quello girato in Calabria è riuscito a spiccare il volo.
La Calabria è stata una regione che ha dormito per tantissimi anni. Sotto questo aspetto la gestione di Giuseppe Citrigno ha rappresentato un forte cambiamento. A me ha consentito di realizzare Bismillah, con il quale ho vinto il David.Più in generale, la Fondazione, non solo si è dimostrata attenta a portare nel mondo un cinema d’autore, ma ha valorizzato quelle che erano le risorse a disposizione e quindi i talenti del luogo. Ha lavorato benissimo e ha prodotto molte opere, alcune di queste ancora in attesa di uscire. Io sono calabrese, anche se vivo a Roma da tanti anni; però mi sembrava opportuno raccontare la mia prima storia in un territorio, e in atmosfere e culture che conosco bene. Con loro non ho avuto porte sbattute in faccia, ma anzi mi sono sentito ascoltato.
Regina di Alessandro Grande
Anno: 2020
Durata: 82
Distribuzione: Adler Entertainment
Genere: drammatico
Nazionalita: Italia
Regia: Alessandro Grande
Data di uscita: 27-May-2021
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