Alla 38esima edizione del Torino Film Festival sbarca Hochwald – Why noy you di Evi Romen, al suo debutto nella regia.
Mario (Thomas Prenn, Biohacker) la danza ce l’ha nel sangue. Il suo sogno sarebbe quello di esibirsi su un palcoscenico come John Travolta. Il primo step è ottenere una borsa di studio per uno stage a Roma, dove andrà anche l’amico Lenz (Noah Saavedra, 007 Spectre). Ma una notte i loro piani cambiano tragicamente. Mario si troverà quindi costretto a fare i conti con qualcosa di ignoto e devastante.
Hochwald | Il tema del terrorismo e delle conseguenze
La pellicola presentata alla kermesse piemontese tratta tematiche pressanti e complesse quali il terrorismo e le conseguenze ad esso collegate.
Mario comincia a interrogarsi sul perché proprio lui sia stato risparmiato. Lui che ha un trascorso da tossicodipendente e un bisogno di droghe ancora molto vivo. Lui che aveva preso in prestito i sogni dell’amico, di cui era tanto geloso.
In tali momenti, quando la violenza irrompe nella vita di tutti i giorni, in maniera improvvisa e insondabile, difficile sapere come andare avanti.
Il percorso del protagonista è costellato di dubbi, di indifferenza, di pregiudizi.
“Senza fede siete soli”
Il suo avvicinarsi al mondo islamico lo fa probabilmente sentire più vicino a una risposta. O almeno a qualcosa che le somiglia.
Hochwald getta così luce sulla possibilità del confronto, dello scambio. Non esistono buoni e cattivi in senso manicheo. Dall’incontro con Nadim (Josef Mohamed), Mario uscirà rinato.
Il discorso della fede assume un ruolo centrale, sia per quanto riguarda la conoscenza sia a livello spirituale. Eppure il cambiamento porterà altre questioni, in primis l’accettazione da parte della famiglia e degli amici. Il problema di avere dei preconcetti causa un allontanamento a priori, che è in fondo la base per ogni discriminazione.
La mancanza di un giusto appeal
Se da un lato quindi il film ostenta un valore indiscutibile, dall’altro appare forse un pochino privo di appeal. Sarà che gli argomenti affrontati sono numerosi, sarà che sono di una grande complessità, per cui la gestione comporta un’esperienza non da poco.
Una sensazione di superficialità serpeggia sulla narrazione, e il finale con i suoi elementi rituali/simbolici non fa che accentuarla. Pensare che la sceneggiatura – della stessa Romen – è stata premiata con il Carl Mayer Award.
Non bastano la bravura del cast e la buona colonna sonora
Anche a livello visivo, c’è un’esibizione di dettagli e di colori (il rosso in particolar modo) degna di nota, peccato che però non trovi esatto riscontro nell’economia del racconto.
O meglio hanno senso lì per lì, ma dopo non se ne capisce il collegamento tra gli uni e gli altri. E non basta la bravura dell’interprete principale a risollevare il tutto.
Funziona grandemente invece la colonna sonora, un vero e proprio compendio di energia, grazie a cui lo stesso Mario si ricarica in più di un’occasione.
Torniamo così alla danza, punto di partenza originario ma via via purtroppo accantonato. Ad essa si devono alcuni dei momenti più riusciti della pellicola, dove emergono quelle emozioni quasi bandite per il resto della fruizione.
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