Le stanze di Rol, al Torino Film Festival, aprono le porte al survival horror: Breeder del regista danese Jens Dahl.
Breeder: i lati oscuri del biohacking.
In Danimarca la dottoressa (Signe Egholm Olsen) ha trovato la formula per non invecchiare. Il costo dello sviluppo della sua ricerca è altissimo, non risparmiando niente e nessuno. Lo scoprirà a sue spese la protagonista (Sara Hjort Ditlevsen) che, seguendo la scomparsa di una ragazza alla pari (Eeva Putro), fino ad una fabbrica, o per meglio dire una prigione, dove giovani donne sono tenute in gabbia, marchiate e sottoposte alle più atroci brutalità da uomini subnormali, in nome della scienza medica e del ringiovanimento.
In una recente intervista il regista ha dichiarato:
Breeder ha un approccio moderno al survival horror. È una storia d’amore alternativa ambientata in una struttura in cui gli esseri umani vengono trattati come animali per il bene della longevità di qualcun’altro. Esploreremo i lati più oscuri del biohacking per affrontare la privazione dei diritti civili che molti, soprattutto i giovani, provano oggi. Alcuni anni fa ho sviluppato un interesse per il biohacking e l’estensione della vita.
Nel fare ciò, ho incontrato un dilemma: se vivessimo più a lungo, manterremmo anche i nostri poteri e i nostri privilegi … questo dilemma è ciò che ha scatenato l’idea di Breeder.
Breeder: un film femminista?
Nonostante il 25 novembre sia la giornata contro la violenza sulle donne e Breeder ne diventi un chiaro testimone, il film non vuole essere di stampo femminista. Certamente non è neanche il suo opposto, ma in primis non ha come obiettivo quell’idea. Breeder è un film classico incentrato sullo sfruttamento, da parte delle élite della materia umana: a voler ringiovanire sono uomini ricchi e, solo in un secondo momento, le donne.
La molteplice varietà e la moltitudine delle brutalità inflitte a queste donne, ne fanno un film di non facile visione. In più le violenze sono compiute da uomini che solo di facciata potremo definire tali, dato che vengono chiamati animali. Uomini che si dimostrano dei meri esecutori privi di qualsiasi personalità e intenzionalità: al vertice vi è una donna pronta a tutto pur di arrivare ai suoi scopi.
La voglia di sconvolgere ad ogni costo.
Allo sceneggiatore Sissel Dalsgaard Thomsen e al regista Jens Dahl (già sceneggiatore nel 1996 dell’esordio di Nicolas Winding Refn, Pusher) non interessano i temi politici, piuttosto lo scopo è quello di creare l’ambiente. Il film per la maggior parte girato in interni, ad eccezion fatta di alcune sequenze, ricrea l’ambiente della fabbrica abbandonata che diventa la vera protagonista dell’orrore.
Cunicoli, montacarichi, vasti ambienti si alternano a spazi quasi claustrofobici e ancora gabbie, ruggine e pavimenti che cedono, risultano il vero interesse della macchina da presa. In un visività in cui dominano tonalità scure e desaturate, si procede e si spinge l’acceleratore sulla violenza.
Breeder vuole essere scioccante ed ogni tanto ci riesce, in altri momenti si rivela piuttosto pura ambizione. Ne emerge un’apoteosi della tortura trita e ritrita (eccezion fatta per una quasi ossessione per l’urina) che non stupirà molti; per poi solo in un secondo momento concedere alle protagoniste e al pubblico, la tanto desiderata vendetta.
Altri articoli di Alessia Ronge in https://www.taxidrivers.it/author/alessia-ronge