Tre capitoli e tre temi, davvero scottanti, che My America di Barbara Cupisti mette in riga: la violenza e l’uso incontrollato delle armi; la profusione dei senzatetto, in particolare nelle strade di Los Angeles; le numerose vittime tra i disperati in fuga dal Centroamerica verso il sogno americano.
In questi ambiti così delicati, gli Stati Uniti non hanno niente di idilliaco: il sogno americano è una chimera frantumata, risorta piuttosto nelle forme di terrore nero. Qui, si è visto il peggio dell’essere umano.
Ma.
Come My America di Barbara Cupisti ci mostra, dal peggio nasce il meglio, si rivivono i valori perduti e la caparbia volontà nel perseguire il meglio per la comunità, finalmente ritorna.
I tre capitoli
Il film, presentato Fuori Concorso al 38° Torino Film Festival e prodotto da Clipper Media con Rai Cinema, parte in tromba: cita uno dei testi socio-politici più all’avanguardia di sempre, ovvero la Costituzione degli Stati Uniti d’America. Questa America, la sua America, è la stessa società che sta vivendo la più grande e più ignorata guerra di tutti i tempi: le stragi armate dovuto all’uso privato e incontrollato delle armi.
Capitolo primo, le armi
Nei posti in cui io sono cresciuta, quando si sentono dei colpi di pistola, i bambini continuano a giocare.
E così, dalla strage di Parkland in California si apre la porta fiduciosi a realtà ed eventi quali Goodkids Madcity o March For Our Lives, che si battono per rieducare le nuove generazioni e far abolire le leggi che sostengono il possesso privato delle armi. Aprendo gli occhi sul fatto che, adesso che le pallottole sono arrivate anche in certi strati della società, allora ci si è resi conto delle dimensioni del problema; fino a quando ad ammazzarsi erano i giovani dei ghetti di Chicago, la questione là rimaneva.
Capitolo secondo, i senzatetto
A seguire, il problema dei senzatetto a Los Angeles, che è di dimensioni enormi:
ogni notte nel paese più ricco del mondo oltre mezzo milione di persone dorme per strada
La verità è che negli Stati Uniti basta pochissimo per finire in mezzo alla strada, e restituire la dignità a queste persone lasciate indietro dal sistema, è tra gli obiettivi di associazioni come Share the Meal. Essere senzatetto non è un modo di essere, ma una condizione transitoria.
Capitolo terzo, i dimenticati
In coda, la delicatissima e molto attuale questione delle migrazioni dal “triangolo” Honduras-El Salvador-Guatemala: migliaia di disperati in fuga dalla violenza e dalla povertà, che spesso tentano attraversare il confine illegalmente, e perdono la vita nel deserto che li inghiotte. Rintracciare le loro identità è una missione che condividono molti volontari, colmando il vuoto di pietà lasciato dal sistema.
Il documentario della Cupisti è registicamente molto scolastico: un uso lineare della sceneggiatura e delle interviste, permette di far leva sulla commozione e l’emotività, complice una colonna sonora quasi opprimente. Il minimo comun denominatore è la persistenza ai margini: naufraghi che cercano di aggrapparsi alla scialuppa grattando disperatamente il ciglio. Quando chiaramente, sulla quella scialuppa, ci sta l’élite sociale.
My America di Barbara Cupisti: le sorti del sogno americano
Un tempismo eccellente quello di My America, che arriva ad illuminare la via in un momento in cui Trump sta per liberare il campo, e ci sarà da raccogliere i cocci della società che ha sbriciolato al suo passaggio.
Si può scegliere di continuare a calpestare, costruire edifici che millantano progresso, ma si reggono sui cumuli di corpi degli abbandonati. Oppure, si può scegliere di riappellarsi a quel American dream originale e riscoprirne i valori, inseguirne il respiro di vita illuminante.