#TorinoFilmFestival Calibro 9 di Toni D’Angelo: la recensione del sequel del cult di Fernando Di Leo
Calibro 9, diretto da Toni D'Angelo, è il sequel di Milano calibro 9 di Fernando Di Leo. Un poliziesco con venature noir che si pone non solo come seguito, ma soprattutto come omaggio del cult anni '70
Presentato fuori concorso al 38esimo Torino Film Festival, Calibro 9 è il sequel di Milano calibro 9, cult anni ’70 di Fernando Di Leo. Diretto da Toni D’angelo, oltre a continuarne la narrazione tende al rifacimento, confrontandosi ed omaggiando il celebre poliziesco e adattandolo al presente. Sullo sfondo, una criminalità protagonista di una scena meno tensiva di allora ma ancor ben radicata e violenta.
Trama di Calibro 9
Cento milioni di euro spariscono a seguito di una frode telematica. La principale sospettata è una cliente di Fernando Piazza, avvocato milanese figlio di Ugo, noto criminale ucciso anni prima. La madre di Fernando, Nelly, ha lottato tutta la vita perché il destino del figlio fosse diverso da quello del padre. Ma ora Fernando si trova in pericolo, la società alla quale sono stati sottratti i soldi è infatti una copertura della ‘ndrangheta, intenzionata a vendicarsi e pronta a far scoppiare una guerra tra bande rivali.
Recensione
Era il 1972 quando uscì Milano calibro 9, scritto e diretto da Fernando Di Leo. Un poliziottesco, termine usato per identificare i polizieschi italiani di quel periodo, crudo e al tempo stesso elegante, che lascia percepire il clima di tensione degli anni di piombo, in una fosca Milano post boom economico. Di Leo, ispiratosi all’omonima raccolta di romanzi di Giorgio Scerbanenco, amalgama il ritmo e la spettacolarità dell’azione e della violenza alla rilettura di alcuni fatti di cronaca e dello scenario sociale di quel periodo. L’idea di Calibro 9 non nasce solo con l’intento di farne un seguito, ma soprattutto come omaggio ad un film che ha segnato il cinema di genere italiano e non solo. Lo fa sia proseguendo la narrazione che replicandola, soprattutto inizialmente, rimanendo e muovendosi in bilico tra sequel e rifacimento.
Il fil rouge che unisce i due film si manifesta fisicamente nel ritorno dei personaggi di Rocco Musco e Nelly, ancora interpretata da Barbara Bouchet. Toni D’Angelo, già avvicinatosi al genere poliziesco con Falchi, gioca a carte scoperte e rivela fin da subito la natura fortemente derivativa dell’opera. Il legame con il film di Di Leo è evidente sin dal pretesto narrativo iniziale che dà avvio al film e diventa ancor più esplicito con i titoli di testa, sul cui sfondo scorrono immagini di Milano calibro 9. Alcune tra le più iconiche inquadrature del film del ’72 vengono rievocate e il sentimento nostalgico si avverte anche tramite il remix di alcune canzoni anni ’60 e ’70. Proprio in quella sequenza, in discoteca, compare l’immagine della Barbara Bouchet del 1972, alle prese con il celebre ballo del primo film. Un’ombra del passato che appare agli occhi e alla mente di Rocco.
Tra presente e passato
Calibro 9, dunque, oltre a richiamarlo ed omaggiarlo, è impegnato in un continuo dialogo con il film originario; lo specchia e ne rievoca l’immagine. Sia in modo pedissequo, sia tentando di variarla e rimodernarla, con lo sguardo volto tanto al passato quanto al presente. Ne consegue un rimodernamento visivo e narrativo che, ad esempio, porta il furto di soldi da un ambito fisico e materiale a uno informatico. L’aspetto tecnologico che assorbe sempre più la società viene così sottolineato, mostrando una criminalità organizzata che ha saputo adattarvisi. Una criminalità che, pur passando i decenni, rimane protagonista di una scena meno tensiva e vistosa ma sempre molto violenta e radicata, assimilata totalmente nelle istituzioni. Lo sfondo iniziale è rappresentato dalla ‘ndrangheta lombarda che passa sempre più in proscenio. Uscendo dai confini regionali e italiani e sfociando in una guerra tra bande rivali dalla portata internazionale.
Un allargamento della sfera su larga scala, tra sud Italia, Francoforte, Toronto, Mosca ed Anversa, da cui è conseguita l’esclusione della parola Milano dal titolo. Di pari passo con la natura comparativa del film, si inserisce la figura del protagonista, Fernando, figlio di quell’Ugo Piazza interpretato da Gastone Moschin. Inizialmente e apparentemente si presenta in modo quasi antitetico, arrivando ad usare parole di certo non lusinghiere nei confronti del padre. Uno scontro e una rivalità a distanza di tempo e di spazio, anche filmico, con Ugo che rappresenta però il personaggio in più, nella sua assenza. Fernando in alcuni momenti arriva quasi a scomparire, sovrastato dagli eventi e dalla guerra tra clan in cui sembra inerme. L’estetica visiva e l’impianto narrativo seguono le orme degli action contemporanei e dei vari film e serie tv gangster italiani degli ultimi anni.
Si àncora così al presente, svicolandosi, almeno formalmente, del tutto dal predecessore. Il ritmo forsennato e uno sviluppo dinamico ne fanno un prodotto godibile. Ma quello che manca è la capacità di Fernando Di Leo di tratteggiare i personaggi (e anche gli attori che li interpretavano) e di gestire l’azione, che qui spesso ha una resa quasi approssimativa. Rimane qualche dubbio sull’operazione complessiva, che se da un lato mostra in maniera evidente la propria natura di omaggio, dall’altra eccede nei riferimenti, non sempre posti in modo organico, a Milano calibro 9 e si espone pericolosamente ad un confronto. Non (solo) un delitto di lesa maestà ma un film d’azione di poca originalità e maestria, non sempre calibrato in modo armonico. Appare più interessante come operazione teorica, meno all’atto pratico.