Comprendere le ragioni dell’altro: conversazione con Beatrice Aiello
Interprete della serie Petra, diretta da Maria Sole Tognazzi, nel ruolo di Amanda, la sorella di Petra, Beatrice Aiello ci racconta il suo personaggio e quello impersonato da Paola Cortellesi.
Interprete della serie Petra, diretta da Maria Sole Tognazzi, nel ruolo di Amanda, la sorella di Petra, Beatrice Aiello ci racconta il suo personaggio e quello impersonato da Paola Cortellesi.
La conversazione con lei è l’occasione per fare il punto su una carriera in pieno divenire.
Volevo partire dalla suggestione dei nomi, visto che nella miniserie diretta da Maria Sole Tognazzi sono significativi di personalità, quelle di Petra e Amanda, agli antipodi.
Sì, è vero. In generale nelle storie, nelle sceneggiature, i nomi hanno un significato preciso. Andando a leggere il significato di Amanda, ho trovato: colei che deve essere amata. Anche il suono del nome sprigiona una fragranza dolce, color pastello e femminile. Petra invece è stridente e duro, però anche regale. In quanto sorelle, Petra e Amanda sono complementari, esprimono due poli della stessa famiglia. Sono due visioni allo stesso modo necessarie.
Tenendo presente queste differenze, ti chiedo se nella costruzione del tuo personaggio hai lavorato per antitesi, rispetto a quello di Paola Cortellesi, considerando anche la valenza archetipica dei nomi che vi riguardano?
In realtà siamo partiti da queste differenze oggettive, cercando di capire che cosa invece le potesse unire. Abbiamo lavorato sulla chimica e sull’appartenenza tra i due personaggi.
Parlavamo di opposti femminili. Petra è spigolosa, disincantata, tu dolce e accogliente. Le premesse che fanno da sfondo all’episodio in cui siete insieme puntano a enfatizzare tale divergenza. Entrambe infatti siete scottate dal rapporto con la controparte maschile, ma le vostre reazioni sono di segno opposto.
Amanda mostra di voler comprendere le ragioni dell’altro, anche in presenza di un tradimento. La condivisione del problema con Petra può essere un momento di solidarietà preziosa per lei. Vuole parlare, insomma… mentre Petra, che ha già vissuto varie separazioni, è drastica e senza appello. La conforta appena e poi la spinge a riprendere a lavorare, l’aiuta concretamente a fare la valigia del marito. Le differenze caratteriali rimangono però la spinta all’azione di Petra, è quello che veramente serve ad Amanda.
Amanda svolge una funzione molto importante in termini narrativi, perché è attraverso di lei che lo spettatore ha delle informazioni su quel passato su cui Petra è reticente.
Si, ha questa funzione. Nei fatti non abbiamo informazioni sulla famiglia di origine di Petra, non si parla dei nostri genitori. Però l’atmosfera della vita trascorsa insieme dovrebbe arrivare.
Te lo chiedo perché di fatto il tuo personaggio ha questo tipo di responsabilità. Non di svelare chissà quali retroscena, ma di portare all’interno della storia il paesaggio sentimentale di quel passato da cui Petra si è allontanata.
Nel corso della storia vediamo Petra determinata a tagliare il cordone ombelicale con la vita precedente. Dice di amare Genova proprio perché si fa i fatti suoi, ma questa è la proiezione della protagonista, è lei che sfugge. La sfida era quella, avendo poco tempo a disposizione, di rendere percepibile il retroterra affettivo e familiare, attraverso la chimica e lo sguardo.
La scommessa era anche quella di fare emergere tali increspature all’interno di un percorso lineare come quello di Amanda. E’ quasi un paradosso che sia lei a farsi portatrice della complessità di Petra, eppure…
La complessità di Petra è data da tanti elementi. Il mio ruolo in effetti rivela una sua affettività protettiva nuova. Anche se il percorso appare lineare, una strada interessante, per un lavoro di questo tipo, è quella di rendere viva la (apparente) semplicità dell’ascolto dell’altro. Se centrate, la semplicità e la trasparenza possono essere disarmanti. La scommessa, come dici, era quella dicreare principalmente una qualità della presenza; nel modo di stare di fronte a lei e di ascoltarla. Cercare intimità e immaginare un passato comune per sintonizzarmi.
Il tuo personaggio non era facile anche per la dose di retorica e buonismo che di solito contraddistingue la rappresentazione di figure angelicate, come in qualche modo risulta essere Amanda.
Da come lo dici sembra ci sia riuscita, meno male (ride,ndr). Mi sono posta questo problema e anche come poterlo affrontare in poche scene. Quando si ha a che fare con persone a cui si è molto legati, ma che sono scostanti o hanno un carattere irascibile, è inutile entrare in simmetria, specialmente se si vuole ottenere ascolto e affetto. La gentilezza ferrea può sconcertare. Ho abbracciato questo modo di essere, maAmanda è tutt’altro che passiva.
In più c’è da considerare che ti sei trovata nella situazione di molti attori giovani impegnati a recitare insieme a un collega bravo e famoso. Penso per esempio a Johnny Depp, il quale, pur già conosciuto, si ritrovò a condividere il set con Al Pacino in Donnie Brasco. Di fronte a certi mostri sacri il rischio di sentirsi schiacciati esiste e forse anche l’ansia da prestazione aumenta.
Hai scelto Johnny Depp che è uno dei motivi per cui ho iniziato a fare l’attrice, il primo attore di cui mi sono follemente innamorata. Lo ricordo straordinario nella parte di Don Juan De Marco a fianco di un panciuto Marlon Brando. Lui era il ragazzaccio folle che recitava un po’ a modo suo. Non utilizzava il metodo, ma non era neanche del tutto espressionista. Faceva le sue facce buffe e riusciva a conquistarti. Per un periodo della sua carriera aveva creato anche un modo tutto suo di farsi entrare addosso i personaggi; un modo giocoso. A differenza di me, lui era considerato già uno dei mostri sacri e aveva già affrontato grandi prove da protagonista.
Quando ti trovi a lavorare con grandi attori, la soluzione è di connettersi e di ascoltare profondamente l’essere umano e il personaggio che hai davanti. Se non ti fai distrarre, la situazione diventa in realtà molto semplice: siamo nella stessa stanza, respiriamo la stessa aria e nel caso specifico siamo due sorelle chiamate a intendersi con uno sguardo. Deve vincere la complicità che deriva dal mostrarsi nudi nelle proprie insicurezze e guardare l’altro all’osso, nel nocciolo, nell’intimo: basta uno sguardo per creare una connessione. È un lavoro di concentrazione rimanere ancorati a quello che accade. Quando si raggiunge quel tipo di intimità degli occhi allora non si avverte più differenza.
Al culmine di questo processo è possibile scordarsi della propria identità?
Sì. Si spera di lasciarsi andare completamente, ma con la lucidità di un professionista. La recitazione non è una scienza esatta, ma un insieme di emozioni in ebollizione sotto una pentola pronta a trasformare ciò che si è stabilito razionalmente, in espressione naturale del sé. La bravura sta nello sfruttare le intermittenze del cuore facendone un vantaggio per il tuo personaggio. Una fragilità si può trasformare nell’insicurezza di una sorella più piccola nei confronti di quella più grande, che è così forte e indipendente.
A indirizzare la tua preparazione c’è stata da una parte la lettura dei libri dell’autrice spagnola, dall’altra la lettura e lo studio del testo. Che spazio hai lasciato al lavoro mentale, quello necessario a prepararti ad affrontare lo stress da performance?
Certamente il rilassamento e la concentrazione sono le cose più importanti da allenare. Il mio personaggio in fondo era semplice e aveva una funzione ben definita. Il lavoro sul set è stato quello di trasmettere un’energia particolare, integra e pulita.
Amanda è un po’ una luce nel notturno narrativo che contraddistingue il racconto esistenziale della protagonista.
Magari! Sì, dai, una luce, ma ce ne sono tante. Io faccio parte dell’aspetto luminoso di Petra che è presente anche negli scambi di battute e nei duetti tra lei e il vice ispettore Monte.
Petra è l’ultimo di una serie di progetti dedicati a personaggi femminili impegnati in ruoli di solito ad appannaggio degli uomini. La protagonista infatti è un ispettore di polizia incaricata di fare luce su alcuni casi di cronaca nera. Il successo riscosso dalla vostra serie e da personaggi come Imma Tataranni, indicano che al giorno d’oggi certe distinzioni sono venute meno. A fare la differenza è la bontà del prodotto.
Credo ci si stia muovendo in questa direzione. Le serialità con al centro donne protagonista ora iniziano ad esserci, ce ne sono varie anche sulle piattaforme internazionali. Piacciono anche al pubblico maschile, che ha l’opportunità di godersi un diverso punto di vista. Se la poliziotta non è solo la donna dura volta a replicare le caratteristiche della controparte maschile, ma, al contrario, è capace di regalare ai personaggi una visione femminile piena di sfumature, allora siamo di fronte ad un’operazione interessante. Se ciò non succede, hai solo sostituito una donna a un uomo. Sia Petra che Imma Tataranni invece ci riescono in pieno!
A tal proposito, il fatto di mettere al centro di un noir un personaggio femminile facilita e rende più naturale la speculazione e le sfumature tipiche del genere, poiché le donne sono spinte dall’istinto ad avere un approccio con la realtà più complesso ed emozionale. Tu che ne pensi?
L’operazione editoriale e televisiva relativa al personaggio di Petra – anche per come è stato scritto dall’autrice Alicia Gimenez Bartlett – più che su dinamiche al cardiopalma e sulla crudeltà dei delitti, credo indaghi su cosa spinge l’uomo a diventare criminale, ad andare contro l’altro essere umano. La serie cerca di capire quali siano gli istinti primordiali che spingono a compiere un crimine. Petra è a tutti gli effetti un’investigatrice dell’anima, anche della sua.
Petra indaga tanto sui motivi della propria infelicità che su quelli che la farebbero stare meglio. C’è sempre un’osmosi tra i suoi casi e i rigurgiti di emotività provenienti dal suo misterioso passato.
Questo regala alla serie una dimensione di irrisolutezza e una precarietà in grado di aumentare il fascino di una ricerca personale destinata a rimanere insoluta. Per contro, una delle scelte più efficaci è stata quella di aver dato spazio al contraltare dolce, bonario e estremamente intelligente di un uomo che ha caratteristiche più accudenti e accomodanti sul tipo di quelle interpretate da Andrea Pennacchi, attore straordinario.
La serie è espressione di uno sguardo verticale, dettato dalla volontà di privilegiare l’introspezione all’azione pura e semplice.
In definitiva c’è il desiderio di approfondire, entrando nei dettagli e negli abissi dell’anima. La forza di Petra e del punto di vista della regista Maria Sole Tognazzi è la capacità di andare oltre l’apparenza, mentre il maschile risolve gli stessi casi più con l’azione che con la riflessione.
Il fatto di essere un noir al femminile aggiunge qualcosa in più alle prerogative del genere.
Credo di sì , sicuramente qualcosa di diverso. Perché è un’indagine volta a capire da dove nasce il male e dunque si basa su un interrogativo morale. Il fatto che a farlo sia un personaggio femminile rende la ricerca originale, perché sottoposta a un diverso tipo di domande e di sguardo.
Apprezzabile è anche la scelta dell’ambientazione. La Genova che appare negli episodi della serie non è quella delle canzoni di Fabrizio De Andrè o del Pietro Marcello de La bocca del lupo, apparendo quasi una metropoli futuristica. Della città abbiamo una percezione asettica e controllata come lo è l’esistenza di Petra. Non a caso la puntata in cui sei presente è l’unica ambientata in una Roma calda ed emotiva, quanto basta per fare da sfondò a un’inedita esplosione di affettività.
Credo che Genova sia un altro personaggio della serie, altrettanto importante dei casi che Petra e Monte sono chiamati a risolvere. Sicuramente vediamo una città cinematografica dall’identità forte L’acquario, la trasparenza e poi la presenza di toni blu scuri bluastri, con punte di giallo improvvise: come abbiamo parlato di una scia di significato e di simbolo presente nel nomi delle protagoniste, così la fotografia restituisce atmosfere, significati aggiunti. Secondo me, la freddezza e la geometria della città nascondono la tensione, il desiderio di romperne gli equilibri.
La sensazione che si prova quando Petra mette a posto le scatole all’interno della libreria è rassicurante, ma una parte del cervello – almeno del mio – trasmette l’impulso irrefrenabile di scombinare e di spaccare tutto. Senti che l’ordine è come una chiesa costruita sopra un luogo in cui ci sono state crociate, dunque sangue e delitti. È un ordine faticoso, anche molto bello nel suo essere pulito, scientifico e asettico, però necessario a mettere a tacere altro. Che poi una città così ordinata sia popolata da criminali è paradossale come accade negli horror , ad esempio quelli ambientati nella provincia americana, in cui dietro il prato curato e le uniformi rosa delle ragazze esiste sempre un mondo oscuro nascosto, pronto a uscire fuori per sovvertire lo status quo.
Petra e Amanda raccontano relazioni femminili complicate. La complicità esiste in termini di legami famigliari, ma il paradosso è che alla fine la protagonista va più d’accordo con un uomo, seppur marcato da una forte sensibilità femminile.
Quella dell’amicizia con Monte è data dalla casualità di ritrovarsi insieme in un’indagine. Sicuramente non è un rapporto da bar, non viene coltivato volontariamente fuori dal lavoro. Sono costretti a stare insieme e si crea una confidenza particolare.
Questo per dire come in Petra si evita un certo tipo di stereotipi.
Come il girl power derivato dal femminismo a tutti i costi. Petra non si fa portavoce di alcuna istanza di questo tipo.
Frequenta uomini e donne ma si tratta di conoscenze che si fermano sempre prima di diventare qualcosa di più.
Sì, è vero, c’è questa sensazione di continua ricerca. Non a caso nell’ultima sequenza Monte dice a Petra: “Secondo me lei è pronta per trovare una persona in questo momento “ e Petra risponde: “Io per ora mi accontento di lei.” Queste parole mi hanno fatto molto pensare alla qualità dei rapporti che si sviluppano anche senza troppe chiacchiere. A volte un’amicizia non ha bisogno di essere cementata o ufficializzata da un modo di fare amichevole. Si può essere amici senza avere certi stereotipi comportamentali: parlo dell’affettuosità esibita, di abbracci, di battute, del sentirsi tutti i momenti. Semplicemente, con alcune persone c’è un riconoscersi, del tipo io ti vedo così come sei, ti riconosco e non ti vorrei mai cambiare. Abbiamo quanto basta per farci compagnia. Parliamo sempre di vite che hanno una sofferenza e una solitudine per le quali esserci per l’altro è già una cosa molto grande.
A parte la presenza di Paola Cortellesi, la serie è frequentata da una serie di attori strepitosi: oltre ad Andrea Pennacchi, c’è anche Diego Ribon visto in Piccola patria ed Effetto domino. La bontà di una serie o di un film si vede anche nei ruoli, come il tuo e come quelli degli altri tuoi colleghi.
Credo che tutto il cast sia molto forte. In particolare la presenza di Andrea Pennacchi in un ruolo da protagonista incuriosisce per la mancanza di proiezioni indotte dall’averlo già visto in ruoli altrettanto importanti. A volte succede che un attore si porti dietro un immaginario modulato sull’insieme dei suoi lavori. Fare scelte di casting inedite, all’inizio può anche spaesare. Poi però rende la visione fresca e pulita. La scelta di Pennacchi da parte di Maria Sole Tognazzi credo sia stata veramente azzeccata
Tornando a parlare di te, poco prima di iniziare l’intervista mi sono visto il cortometraggio di Francesca Mazzoleni in cui sei protagonista.
È passato molto tempo, ero una bimba!
L’hai girato nel 2011 e da allora non sei cambiata per nulla. E’ come se avessi stretto un patto con il diavolo.
Quando ero più piccola sembravo più grande della mia età. Sono una sorta di Benjamin Button, diventerò sempre più giovane (ride, ndr). Per questioni personali, sono cresciuta in fretta. Mi sono identificata col mestiere di attrice molto presto. Già a diciassette anni iniziavo a studiare e il lavoro con Francesca è stato il primo fatto al di fuori del teatro. Erano le prime esperienze per entrambe. Mi fa piacere averlo fatto insieme. La sua visione autoriale è già visibile. È un’artista eccezionale per talento e sensibilità.
Di Francesca ho appena visto Punta sacra, passato in anteprima ad Alice nella città.
Ho grande felicità per questo successo e per il suo percorso. Con empatia e rispetto è entrata all’Idroscalo, restituendo il significato di comunità, la poesia della sua resistenza. È un film che parla a tutti, perché Francesca sa intercettare la bellezza e la lotta di ognuno e ha un grande gusto dell’immagine e della musica. Sceglie coraggiosamente registri diversi, ma i suoi film sono riconoscibili. E’ una vera autrice che farà cose bellissime.
La sua carriera è stata molto articolata, scandita da film di genere opposto. Il cortometraggio si ricollega a Punta sacra, almeno in termini di cinefilia. Penso per esempio al debito nei confronti del cinema di Pasolini e Rossellini.
A rimanere costante è la ricerca di purezza e di spirito eroico anche nelle piccole cose. Quando mi hai detto che avresti visto il nostro corto mi sono commossa, perché io non lo facevo da otto anni. Lo spirito con cui è stato realizzato è vicino alla frase pronunciata da Marcello Mastroianni in Otto e mezzo, quella che recita “Tu saresti capace di mollare tutto e ricominciare la tua vita da capo e di essere fedele a una cosa, una cosa sola? ”.
Si tratta di un grido di battaglia interiore per tutti coloro che si identificano con un mestiere creativo – qualunque esso sia – scegliendo di rimanergli fedele. Fare il medico, l’imbianchino o l’attore è lo stesso, è la “fedeltà” nel tempo a renderlo speciale. È un’ispirazione che ancora vibra dentro di me, mi fa bene ricordarla. Con Francesca siamo amiche da tanto tempo: io volevo fare l’attrice, lei la regista e ci siamo riuscite.
Amanda è un personaggio positivo, mentre di solito il massimo per un attore è quello di interpretare un ruolo di segno opposto.
Se a emozionarmi, anche dal punto di vista letterario, sono le storie d’amore e d’amicizia, in realtà nella mia cameretta a campeggiare erano i film di registi predisposti a raccontare l’oscurità e il perturbante. Tra i miei preferiti: Cronenberg, Lynch, Polanski, Brian De Palma. Da un punto di vista artistico, l’oscurità è qualcosa che mi attrae molto.
Tu avresti anche il physique du rôle per interpretare una dark lady o una bad girl. Peraltro la tua è una fisicità che il cinema deve ancora scoprire.
Infatti, ora ho un progetto che va in quella direzione. Non posso ancora parlarne perché è in fase di elaborazione, però è davvero una cosa molto tosta e una ispirazione cruda. Credo di poter avere un viso molto dolce, ma con la luce giusta anche spigoloso, un po’ inquietante. E’ una versatilità che sta a me gestire. In Petra, questo aspetto è stato represso dietro una veste composta ed elegante. In presenza di una diversa atmosfera potrei esprimere il mio lato più folle. Penso ai film di Nicolas Roeg.
Il lenzuolo viola, A Venezia…un dicembre rosso shocking
Film in cui la follia nasce da un candore infranto. Del cinema italiano mi viene in mente la Daria Nicolodi dei film di Dario Argento e di Elio Petri, che è molto strana, inquietante.
Nei tuoi discorsi, emerge una passione cinefila che ti fa essere molto preparata sul cinema, anche dal punto di vista teorico.
Andare al cinema è una cosa che mi manca perché è parte della mia formazione. Dopo alcuni anni ho ripreso a studiare storia del cinema, pensando che un interprete, più cose conosce del meccanismo all’interno del quale si trova, più riesce a godere di quello che fa. Anche nell’interpretazione, sapere dei diversi livelli di scrittura che intervengono nella realizzazione di un film, e penso non solo alla regia ma anche al montaggio, ti rende più consapevole di quello che fai.
In questo momento sto cercando di utilizzare al massimo i momenti lontani dal set per riuscire a dirigere un mio progetto, al momento in fase di scrittura. Avevo iniziato a scrivere e a dirigere per il teatro molto tempo fa e mi ero ripromessa di tornare a farlo perché mi piace tantissimo stare accanto agli attori nel momento della creazione artistica. All’epoca, ho pensato di essere troppo acerba per dedicarmici. In realtà, anche adesso non credo di aver così tanta esperienza, però con umiltà e portando avanti piccoli progetti spero di potermi divertire senza sentire troppa pressione. Voglio sperimentare e mettermi alla prova.
Parlavi del piacere di condividere il lavoro degli altri attori. Per cui, volevo concludere questa conversazione con un tuo ricordo di Gigi Proietti. Con lui hai condivido il set di Una pallottola nel cuore.
Gigi Proietti è stato estremamente generoso e disponibile. L’ho conosciuto direttamente sul set e mi ha riempito di complimenti sulla mia bellezza, pronunciati con una luminosità e una dolcezza estremamente signorili. Si è preso del tempo per provare una scena con me, voleva ripeterla fino a quando non ne fossi rimasta soddisfatta. Da lui mi è arrivata la voglia di mettermi a mio agio e di far fare a me il massimo del mio lavoro. Era una persona di incredibile simpatia e un punto di riferimento per noi attori. Mancherà a tutti.