Ottimi gli ascolti de Gli orologi del diavolo, prodotto da Rai Fiction in collaborazione con Mediaset España e Psicomedia, con la regia di Alessandro Angiolini. La miniserie si ispira alle esperienze vissute realmente da Gianfranco Franciosi e raccontate nel libro, scritto insieme a Federico Ruffo, che porta lo stesso titolo
Il protagonista della fiction, Marco Merani, è interpretato da Beppe Fiorello; la moglie Flavia, da Nicole Grimaudo. Claudia Pandolfi compare dalla terza serata, in un ruolo che avevamo già intuito fondamentale, quando, nel primo episodio, per un attimo appena, aveva osservato, inosservata ed emozionata, la vita ancora felice di Marco prima della catastrofe.
Altro ruolo di rilievo è quello dello spagnolo Alvaro Cervantes (Aurelio). Bravo nella sua rappresentazione del male, mentre Fiorello impersona il bene, l’ingenuità forse, comunque il vivere onestamente del proprio lavoro. Marco, detto da tutti Marcolino, è un meccanico particolarmente abile e conosciuto, che costruisce piccole imbarcazioni a Bocca di Magra. Durante l’esordio della fiction, ci viene presentato così, nella sua quotidiana realizzazione. Il lavoro va bene, la famiglia anche. Lui e Flavia si amano ancora e la figlia adolescente, Joy (Gea Dall’Orto) non ha e non dà nessun problema.
Ma proprio per il suo talento, viene notato dai trafficanti di droga spagnoli, spietatissimi, che da lui pretendono la costruzione di gommoni adatti al trasporto: potenti per l’alto mare, veloci per le fughe e che possano ben nascondere i pacchetti di cocaina.
Gli orologi del diavolo, ci viene spiegato alla fine del primo episodio, sono i loro regali a Marco, capitato in un gorgo dal quale è difficile immaginare come possa risalire. Vogliono comprargli l’anima, con una ricompensa simbolica, che segna il poco tempo da vivere se non ci si comporta come vogliono; ma con un oggetto costosissimo che potrebbe valere il rischio. Tanto che, all’interno della polizia che lo coinvolge come infiltrato, qualcuno insinua il sospetto che possa essersi lasciato sedurre dal denaro, o addirittura che sia coinvolto nei traffici loschi già da prima.
In realtà, Marco è disperato. Non può confidarsi con Flavia, né con il padre (Roberto Nobile). Anzi, deve proteggerli insieme alla figlia, mantenere segreti indicibili mentre assiste al loro allontanamento: la moglie che si sente tradita, il padre che non lo riconosce più. Solo la ragazza gli rimane fedele, forse perché non può buttar giù dal piedistallo il suo idolo, la sua sicurezza più grande.
L’odissea di Marco attraversa momenti di forte suspense in un mix di melodramma e azione. Dal mare, luogo di totale dimestichezza diventato ora pericoloso, affiorano anche i ricordi rimossi, con i quali sembrerebbe costretto, solo adesso, a fare i conti. Un trauma, che forse non ha voluto affrontare finora, e gli si presenta con tutto il suo intollerabile dolore.
E intanto il thriller, iniziato abbastanza presto con il coinvolgimento da parte dello Stato, che lo usa cinicamente e lo abbandona nei momenti di maggior pericolo, si fa sempre più ansiogeno. Finirà addirittura in Sudamerica, Marcolino, dove assiste alle peggiori nefandezze da parte di uomini indegni, e dove gli tocca subire attestati di amicizia da parte di Aurelio. In certi momenti, però, sembra che il nostro mecanico (così lo chiamano gli spagnoli, a negargli anche il nome!) si lasci irretire facilmente, che le confidenze con Aurelio siano poco recitate, se gli affida i segreti più intimi della sua vita.
Anche perché Marco non è capace di mentire e forse il personaggio è volutamente costruito così: un novello Candido, quasi al limite della sprovvedutezza, a rendere il contrasto con il male ancora più forte. Il conflitto non esisterebbe neanche nella vita di Marco, anzi, è tutto scritto sul suo corpo e la sua mise, esplicitato: i tatuaggi a voler dimostrare di essere un duro e gli stessi bermuda da ragazzino in ogni contesto.
Il racconto si fa ancora più drammatico quando Marco realizza di essere solo contro tutti, quando non si sente protetto dalla polizia, e il suo amico Mario (Fabrizio Ferracane) non può rassicurarlo, perché le garanzie vengono meno e non trova più le giuste parole di conforto. Messo alle strette, Marco deve recitare una padronanza di sé che non gli appartiene, né per carattere, né per la paura di perdere le cose a lui più care, gli affetti in primo luogo.
Afferma il regista Alessandro Angelini: “Gli orologi del diavolo ha nel suo Dna almeno tre diversi generi: impegno civile, crime, sentimentale nel senso più vasto del termine, quello in cui gli affetti rappresentano il solo approdo sicuro in un’esistenza messa a soqquadro dagli eventi“.
Per impegno civile non si poteva trovare interprete più credibile di Beppe Fiorello, e autori del soggetto più incisivi di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, registi di Salvo e dello struggente Sicilian Ghost Story.
Alessandro Angelini, che dirige Gli orologi del diavolo, ha curato la regia di Tutto può succedere insieme a Lucio Pellegrini: tutt’altro genere di racconto televisivo. Con questa ultima serie Tutto può succedere condivide la vivacità. Il tono però era leggero, frizzante, quello di una commedia all’italiana che ha saputo ben raccontare gioie, dolori e amori di una famiglia allargata contemporanea. Prova di come Angelini sappia spaziare tra i diversi generi, sempre con buoni risultati.
La sceneggiatura è di Salvatore Basile e Valerio D’Annunzio