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Borat – Seguito di film cinema: la recensione del ritorno di Sacha Baron Cohen nei panni del giornalista kazako
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4 anni agoon
Sacha Baron Cohen torna dopo quattordici anni nei panni di Borat, immaginario giornalista kazako ideato dallo stesso Cohen e divenuto celebre con il film del 2006. Tra coronavirus e le elezioni presidenziali statunitensi, Borat – Seguito di film cinema, diretto da Jason Woliner, trova nuovo terreno fertile per le sue peripezie satiriche. Il film, distribuito in esclusiva su Amazon Prime Video, è uscito il 23 ottobre.
Trama
Il giornalista kazako Borat Sagdijev, dopo 14 anni passati in un gulag, parte di nuovo per gli USA, inviato dal presidente. L’obiettivo è ingraziarsi Donald Trump, consegnando in dono al suo vice, Mike Pence, la grande star del Kazakistan: Johnny la scimmia. I piani cambiano quando Borat, all’arrivo negli Stati Uniti, scopre che al posto della scimmia, nella cassa arrivata in nave, c’è sua figlia Tutar. Così il giornalista è deciso a donare la figlia. Dovrà però fare i conti con alcuni imprevisti e con la diffusione del coronavirus.
Recensione
Dietro la sua comicità eccedente, anarchica e sfrontata, Sacha Baron Cohen (apparso anche nel recente Il processo ai Chicago 7) riprende e riplasma il personaggio di Borat da lui creato più di dieci anni fa. Una vera maschera in senso lato, che pur raffigurando un giornalista kazako, altro non era che il manifesto, chiaramente amplificato e deformato, del lato più oscuro ma tremendamente vivo di una delle anime degli Stati Uniti. Borat era caratterizzato da un continuo rimando tra realtà e finzione, che emerge proprio per la sua natura e per la mescolanza tra documentario, mockumentary, commedia e road movie. Un film che fece scalpore per la sua satira graffiante e ai limiti dello scorretto. Borat – Seguito di film cinema riparte da qui, riproponendone il modello mutato al pari della società e risagomato da Cohen.
Se nel 2006 il film era uscito dal recinto cinematografico scatenando controversie e dando luce ad un personaggio che si è impresso nell’immaginario comune, con il sequel il processo è inverso. Così all’inizio vediamo Borat in un gulag, a causa delle polemiche e della cattiva immagine, secondo le accuse, che ha dato del Kazakistan con il primo film. E non appena giunge negli Stati Uniti viene subito riconosciuto per le strade ed è costretto a metter mano al suo travestimento. Un ulteriore passaggio nel gioco di specchi tra realtà e finzione e un rimodellamento della maschera, con Borat che in più occasioni abbandona i propri panni per “vestirsi da americano”.
Tra primo e secondo film
Borat – Seguito di film cinema dà anche, e soprattutto, modo di cogliere parte dei mutamenti sociali che hanno caratterizzato i quasi quindici anni che ci separano dall’uscita del primo film. Molti dei lati beceri e pregni d’ignoranza che in Borat venivano rappresentati in modo irriverente e quasi sconvolgente, da uno strato più profondo e sotterraneo sono emersi maggiormente in superficie. Anche in questo senso è da leggersi la dismissione dei propri panni che il giornalista opera in talune circostanze, per assumere spoglie americane. Lo straniero che arriva da lontano avente funzione di portare alla luce determinate contraddizioni e ideologie, adesso si conforma agli americani stessi, riflettendole.
Il film riprende e replica il modello del precedente. Un prodotto in cui confluiscono road movie e mockumentary, portandolo quasi ad essere un documentario vero e proprio su uno dei volti dell’America, non più tanto nascosto. La natura delle gag è, quindi, simile, con Baron Cohen che esprime, brillantemente come al solito, il suo campionario verbale sfrenato e sfacciato. Lo fa di fronte a persone che spesso sanno di essere riprese, anche se non conoscono la realtà del progetto. La natura satirica sorge proprio nell’osservare i comportamenti che mantengono di fronte alle telecamere mostrando ugualmente la loro, di maschera. L’impatto dirompente e originale per forza di cose è dunque mitigato rispetto al precedente. Ma non mancano tematiche e trovate ironiche che non deludono chi apprezza questo tipo di comicità, dal misunderstanding sull’aborto alle scene negli esercizi commerciali.
La realtà che invade la finzione
I momenti più riusciti sono quelli in cui Borat si interseca con la realtà strettamente sociale, che trova qui maggior spazio. Le sue incursioni al Conservative Political Action Conference di inizio 2020, in cui vediamo parte di un discorso di Mike Pence interrotto dallo stesso Borat vestito da Trump, e ad una manifestazione anti-lockdown dello scorso giugno in cui Cohen si presentò camuffato sul palco cantando strofe irriverenti contro Obama e Fauci prima di essere riconosciuto e scortato fuori, sono assolutamente geniali. Entrambi i momenti comparvero su molti organi di stampa negli Stati Uniti e non solo, ignorando però che si trattasse del progetto di un film. È rimasto, infatti, pressochè segreto fino a poche settimane prima dell’uscita. L’ambito fittizio cinematografico si unisce definitivamente a quello reale in modo diverso anche dal campo documentaristico. E Sacha Baron Cohen va ad agire sulla realtà come se fosse essa stessa il film.
L’intenzione di realizzare un sequel del primo film è chiaramente legata all’ambito politico americano e non è un caso che sia stato prodotto proprio nel 2020 e che sia uscito poco prima delle elezioni. E di certo non lo nasconde, con tanto di riferimento al voto nel finale. È colmo sin dall’inizio di riferimenti a Donald Trump e ai suoi collaboratori e la satira prende di mira in particolare il suo elettorato. Riferimenti ideologici, come detto, presenti e anticipati già nel 2006 e riproposti adesso con una satira feroce e al tempo stesso monocorde.
Il 2020 del coronavirus
La tempestività di questo film non si palesa solo tramite questo aspetto ma ancor più includendo il tema più rilevante di questo anno: il coronavirus. Borat – Seguito di film cinema si trova di fronte alla pandemia a inizio anno e conseguente lockdown, riuscendo ad inserire l’argomento nello script e diventando uno dei primissimi film a mostrarlo. Se quindi nei momenti citati in precedenza era Sacha Baron Cohen nei panni di Borat ad incidere sulla realtà, in questo caso è la realtà stessa ad imporsi come sceneggiatrice. In uno scambio continuo ed imperterrito. Ma, fatalmente, non va ad intaccare più di tanto la finzione, confermando e dando ancor più risalto agli stereotipi mostrati ed alimentando il virus dell’ignoranza, già in circolo. Geniale il finale in cui si spiega ironicamente la propagazione del virus, con tanto di fugace apparizione di Tom Hanks.
Una delle differenze rispetto al primo film consiste nell’accentuazione del lato romanzato, data dalla presenza della figlia di Borat, interpretata da Marija Bakalova. Il viaggio negli USA diventa soprattutto occasione per un avvicinamento tra padre e figlia, legandosi così maggiormente alla tradizione narrativa del road movie. Ma ancor più, dà modo a Borat di affrancarsi dalla sua totale misoginia, per arrivare alla fine a riconoscere la donna come sua pari. Un’intenzione evidente sin dall’inizio e a cui si giunge in modo eccessivamente guidato e didascalico. Se uno dei maggiori punti di forza del primo film era la totale assenza di retorica e moralismo, in questo caso in alcune circostanze vi si scivola. Così come nella scena dell’ingresso di Borat in sinagoga. Anche in tal senso si nota il passare del tempo rispetto al primo film, con la commedia che si trova sempre di più a camminare sulle uova.
Trailer di Borat – Seguito di film cinema