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La trama
Cosa Sarà vede Bruno Salvati, regista fallito che cerca di coltivare una relazione coi figli ventenni, nonostante la separazione con la moglie. Tutto cambia quando gli viene diagnosticata una mielodisplasia. Solo un donatore di midollo potrà salvargli la vita. Che sia questa l’occasione che cercava?
La recensione
C’è un sottotesto fondamentale nel film di Francesco Bruni. Scardina i luoghi comuni sul “cinema della malattia”, e rende necessario nella sua delicata urgenza Cosa Sarà. il venir meno della figura retorica del malato belligerante visto come un guerriero in prima linea.
Non c’è colpa nella malattia, e non c’è voglia di combattere, ma solo una fragilità evidente e quasi sovversiva.
E’ tutto chiaro dalle prime immagini del film. I titoli di testa con il sottofondo diA Perfect Day e la vulnerabile debolezza del protagonista il cui taglio di capelli viene esposto in primissimo piano. Senza filtri, mettendo in evidenza quello che di solito viene nascosto. La paura, il baratro, la vertigine del mutamento.
Guarigione e famiglia
Il percorso di guarigione è il centro focale della trama, ma è quasi preso di traverso. A Bruni (soggettista oltre che regista, e sceneggiatore insieme allo stesso Stuart) interessa parlare ed evidenziare le reazioni dell’individuo e della famiglia alla malattia. Questa spinge ad interrogarsi sul proprio senso, sulle proprie origini. In un sentiero à rebours verso gli affetti, le paure, il rimorso e tutto il rimosso che fa di noi quello che siamo e quello che avremmo dovuto, potuto e voluto essere.
La famiglia è sempre stata il centro d’interesse dello studio d’approfondimento di Bruni. Come regista ma anche come sceneggiatore per altri, in primis Paolo Virzì. Un passaggio cruciale, con il suo disfacimento postmoderno sotto la spinta propulsiva delle nuove forze.
Il suo cinema funziona infatti sempre con cortocircuiti narrativi e teoretici. Gioia e dolore, tra decomposizione delle istituzioni interpersonali e ricomposizione/sovrapposizione negli affetti, tra slittamenti e confronti di piani temporali (passato e presente).
Raccontare la sofferenza
Il film (re)inventa una maniera meno spettacolare ma più vera di raccontare il dolore, la morte e la perdita nella malattia. Lo sguardo della macchina da presa accarezza i suoi personaggi e le loro reazioni, diventa dolce e soffuso, circonda gli attori senza costringerli. Riesce a fare emergere la componente recitativa più personale. Eccellente il lavoro fatto si Lorenza Indovina, Raffaella Lebboroni, Fotinì Peluso, con personaggi che si fermano sempre un attimo prima dell’esplosione.
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