Too Late To Die Young di Dominga Sotomayor Castillo, un’estate di adolescenza caliente
Too Late To Die Young di Dominga Sotomayor Castillo, premiato a Locarno, trova oggi il suo posto ideale nell’edizione online di Sguardi Altrove, regalandoci una prospettiva femminile sull’adolescenza e la libertà
Prima regista donna ad essere stata premiata a Locarno per la sua direzione, e adesso in concorso a alla 27° edizione di Sguardi Altrove, con Too Late To Die Young, Dominga Sotomayor Castillo racconta di un mondo speciale e lo fa con un linguaggio che è una morbida lama tagliente. I suoi temi sono la libertà, l’adolescenza come momento di scoperta e messa in discussione, gli affetti quelli veri e quelli presunti. I suoi personaggi, egregiamente disegnati, sono tutti giovani, anche quelli che non avrebbero più l’età per esserlo. C’è un ossessionante volontà di inseguire una chimera, che si svela essere, a tratti, una sofferenza, scomoda e atipica.
Nessuno è condannabile, la regista si pone con enorme rispetto verso i suoi personaggi, e lo fa anche verso l’habitat che ha scelto come tesoriere per queste storie: la terra, la vegetazione, avvolge tutto il film di questi colori legnosi; il verde c’è ma combatte con la siccità e la polvere della strada sterrata. La polvere apre il film, il fumo la chiude. È la nube dell’incertezza, in un senso e nell’altro, in entrata e in uscita.
Too Late To Die Young, la trama
Sofìa, Lucas, Clara sono i figli delle famiglie che abitano in una comune, lontano dalla civiltà cittadina, senza acqua corrente né elettricità. Legati da un interesse per l’arte e la musica, questi sono un po’ i freak del luogo. Si vanno a fare le feste là, dove non c’è elettricità e si dipende da un generatore.
Alcuni tra loro sono travolgentemente appassionati di questa vita, altri se la sentono addosso come una prigione. Tra questi ultimi c’è Sofìa. E forse anche il cane Frida, che già ai primi cinque minuti di film, se la dà a gambe con la scusa di inseguire un auto.
Te l’avevo detto. Adesso che possono avere l’elettricità non la vogliono.
Questa comunità immacolata e genuina viene improvvisamente attaccata nel peggiore dei modi: le piccole proprietà rubate, gli animali traditi, le fonti d’acqua manomesse. La sfida più grande la vive Sofìa, in pieno impeto adolescenziale: di fatto ormai è una donna e fa quello che le pare, anche se il padre prova timidamente a redimerla. Di tutta risposta cerca la libertà con Ignacio, più maturo e padrone delle sue scelte.
C’è sullo sfondo una madre lontana: ma non è che un’ombra, una cornetta telefonica, e una promessa mancata. Quando tradisce la parola data alla figlia, lì, si rompe qualcosa.
Ma è proprio a quel punto, si scatena un incendio, annunciato sin dall’inizio del film, che unisce tutti. Chi può se la dà a gambe…quindi pure il secondo cane, il rimpiazzo, scappa, come ha fatto Frida. E così anche la piccola Clara si rende conto che non si possono trattenere all’infinito i dinieghi e che per tutti, c’è un posto assegnato.
Una straordinaria Demian Hernández
Sofia (Demian Hernández) è stata una scelta di casting strepitosa, perché il suo corpo così esile si offre perfettamente a questo personaggio di donna che sta sbocciando e vuol crescere in fretta; i suoi occhi azzurri si sposano essenziali con la brama di libertà e il tentativo di cercare una via di uscita, verso l’acqua o verso altrove.
L’altra donna del film, la regista, è a suo agio nel ruolo di deus ex machina: usa il fuori fuoco come elemento narrativo, non come impallo. Perciò l’occhio del pubblico deve andare a cercare e completare quello che i contorni non gli possono offrire. Come se invitasse ad ascoltare i messaggi nascosti, a cercare i significati oltre il primo piano di lettura e di visione. Le fasi della vita che Sotomayor racconta puntano tutte verso l’alto, spesso disprezzando quello che è il presente, perché l’impeto è la ricerca e la scoperta. La curiosità si fa trainante.
Questi adulti, hanno scelto la libertà estrema per i propri figli, e alla fine li trovano in prigione: avvolti nelle fiamme e nel fumo di un incendio che fa smarrire tutti, ma soprattutto che annienta tutto il costruito. Qui dove la libertà è assoluta, le famiglie si sfaldano in una comunità più estesa dai legami sempre più flebili. E si perdono i riferimenti. Sofia ritrova il padre alla fine, forse, o forse è lui che nella minaccia di perderla per sempre ritrova la dignità e la decenza per esserlo, un padre.
Too Late To Die Young di Dominga Sotomayor Castillo lo si vive nella pupilla vitrea di Sofìa. Che vede attraverso il vapore dell’acqua rovente, attraverso il fumo della sigaretta, attraverso le esalazioni dell’incendio: nulla è nitido, nella vita e per sempre.
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