In concorso ad Alice nella città, rassegna in contemporanea con la Festa del Cinema di Roma, c’è Slalom di Charlène Favier, al suo primo lungometraggio di finzione che porta il marchio del 73 Festival di Cannes, che non ha avuto luogo a causa della pandemia.
Slalom: la fatica di crescere
Pur dello stesso tenore la prima e l’ultima scena di Slalom dimostrano come il cinema sia in grado di raccontarsi attraverso la bravura dei suoi autori.
Se infatti lo schermo sfocato e il forte ansimare della sequenza introduttiva sono una suggestione che non racconta nulla di particolare lasciando aperte diverse ipotesi rispetto a quanto mostrato, l’ultima pur dello stesso tenore ma con la giovane protagonista a farle da ambasciatrice si assumere il compito di riassumere i significati del film superando quelli delle spiegazioni contingenti legati alla risoluzione del tormentato rapporto tra allieva e maestro (il Jérémie Reigner dei fratelli Dardenne) per raccontare la fatica di crescere facendo i conti con la complessità generale dei rapporti umani e con la disciplina e i sacrifici indispensabili per realizzare i propri sogni.
D’altronde anche in Slalom come in altri lungometraggi dedicati allo stesso tema l’agone sportiva è destinata a essere propedeutica alle difficoltà della vita reale, quella che aspetta Liz sarà costretta ad affrontare in concomitanza con gare e allenamenti.
Oltre il romanzo di formazione
Nel caso specifico lo Slalom del titolo si addice più di altre discipline a diventare metafora dell’esistenza umana a partire dai suoi presupposti e in particolare all’inclinazione del tracciato su cui le sciatrici sono solite lanciarsi buttando il cuore oltre l’ostacolo cercando di arrivare al traguardo senza inciampare sui paletti posti lungo il percorso.
Slalom però va oltre il semplice coming of age relativo alla dolorosa presa di coscienza della giovane atleta perché il film è anche l’incontro di due solitudini: di Liz, trascurata da genitori divorziati e impegnati a rifarsi una vita e di Fred, ex campione e ora allenatore alla ricerca di rivincite per interposta persona impegnandosi a far vincere la sua allieva.
Pur all’interno di un cinema di impianto classico Slalom propone un’adolescenza tutt’altro che semplificata e senza paura di raccontarla attraverso la pulsione dei corpi..
Charlene Favier riesce a farlo mostrandoli con verosimiglianza ma senza voyeurismo assegnando al viso della bravissima Noee Abita il compito di segnalare lo scarto tra il prima e il dopo, ovvero lo spazio narrativo e soprattutto psicologico emotivo in cui la ragazza è destinata a compiere il tiro di passaggio che la fa entrare nel mondo delle preoccupazioni e delle responsabilità.
In concorso ad Alice nella Città Slalom è un piccolo grande gioiello: da vedere e possibilmente premiare.