Italian Film Festival Berlin
Presentato ieri a Italian FiIm festival I predatori di Pietro Castellitto. Un film coraggioso dedicato al cinismo
Una narrazione grottesca come ai bei tempi della commedia all’italiana.
Published
3 anni agoon
I predatori, il film di Pietro Castellitto che ha ottenuto sei minuti di applausi alla Mostra del cinema di Venezia 77 e il premio Orizzonti per la migliore sceneggiatura arriva anche a Berlino grazie a Italian Film Festival. Il film, prodotto da Fandango e Rai Cinema, con il contributo del MIBACT e il sostegno della Regione Lazio, è distribuito in Italia da 01 Distribution e nel mondo da Fandango.
È una narrazione corale, in cui ciascun personaggio si trova, solo, a covare la propria infelicità, resa con uno sguardo cinico e quasi mai compassionevole.
la Conversazione con Pietro Castellitto regista de I Predatori
I Predatori Coralità della storia
Quattro coppie, quattro famiglie, due generazioni. Da una parte Pierpaolo (Massimo Popolizio) e la moglie Ludovica (Manuela Mandracchia) , Bruno (Dario Cassini) e la moglie Gaia (Anita Caprioli). Gli uomini sono medici e colleghi tra loro: svogliato e cocainomane il primo, farfallone e decisamente sopra le righe il secondo. Ludovica è una regista nevrotica e dispotica. Gaia non sappiamo; tra loro è il personaggio meno sviluppato, che però si rivelerà, come gli altri, predatrice.
Dall’altra parte un gruppo familiare di difficile definizione. Vorremmo essere, almeno noi, politicamente corretti. Però non possiamo fare a meno di dirlo, che sono profondamente ignoranti e profondamente fascisti. Ci sono i fratelli Carlo (Claudio Camilli) e Claudio (Giorgio Montanini) che gestiscono un’armeria a Roma, ma vivono di entrate illegali come l’usura, e le rispettive mogli.
Caciaroni, parlano, ma soprattutto urlano, sempre rigorosamente in dialetto. Carlo addirittura addestra all’uso delle armi il figlio di soli dodici anni e si arrabbia se il ragazzino sbaglia la mira, perché il primo insegnamento è che bisogna colpire diritti alla testa. Insomma, due coppie e un preadolescente culturalmente agli opposti rispetto della famiglia borghese di Pierpaolo, Bruno, Ludovica e Gaia.
E poi c’è Federico (interpretato benissimo da Pietro Castellitto). Figlio sofferente, e insofferente, di Pierpaolo e Ludovica, assistente universitario, succube di un professore vanesio che lo licenzia senza scrupoli.
Il regista ci coinvolge nel gioco divertente del suo racconto
Le coincidenze fanno sì che la famiglia Pavoni (un cognome che non sarà scelto a caso!) e la famiglia Vismara, in alcuni momenti del film, e per poco, s’incontrino. Non insieme, come in Ferie d’agosto, a sfidarsi tra di loro, per poi fare pace. Ma quanto basta perché i racconti che si sono sommati, s’intersechino in un gioco spassoso e a tratti delirante.
Pietro Castellitto, che è anche sceneggiatore de I Predatori, per la prima parte del film sembra lasciarci da soli nello sforzo di capire chi sono i personaggi, quali le loro relazioni, e come collocarli nel momento esistenziale in cui sono descritti. Poi, un attimo prima che sopraggiunga lo spaesamento, sembra prenderci per mano per condurci nel flusso di situazioni comiche e grottesche, facendoci sposare il suo punti di vista.
Il personaggio del giovane Federico cerca la complicità dello spettatore
Come un narratore interno, se pure tecnicamente e narrativamente non lo sia. Facendoci sentire il suo personaggio più vicino, o meno lontano degli altri. Rompendo fragorosamente quell’ordine sociale (e familiare), fasullo, dal quale prende le distanze fin da subito.
Recitando ad alta voce come un mantra, inascoltato, quanto il re sia nudo dall’inizio alla fine del film. Struggendosi nel sentirsi minoranza. Cacciandosi in storie assurde, perdendosi in discussioni strampalate con l’amico al bar. E predicando un individualismo ispirato a Nietzsche, unico modello con cui gli va di confrontarsi.
Quando, al compleanno della nonna, urla “Siete la prima generazione di genitori stronzi!”, esprime la disperazione di un giovane che non sa più come intervenire sul mondo, tanto meno come reinventarlo. Verrebbe da pensare che il messaggio sia chiaro: sono i giovani le vittime, lasciati a loro stessi, senza più nessuna opportunità di riuscita. Perché dietro la facciata di perbenismo, i padri, le madri, i professori, mentono sfruttano imbrogliano.
Quali sono le prede e chi sono i predatori?
A un certo punto, però, Castellitto ci lascia ancora soli. Come a farci decidere in autonomia se è il caso di continuare a farci coinvolgere nella corrente o di chiederci chi siano davvero, in questi cambi di scena così veloci, le prede e i predatori.
E poi, poco prima di un possibile straniamento, ci riafferra per una corsa finale divertita, in cui alcune situazioni inaspettatamente si sciolgono.
Sarà un personaggio dei Vismara a rivelarci che il cambiamento è possibile. Così come le mogli di Carlo e Claudio, in un momento di confidenza tra loro, sanno darci una lezione di autenticità.
Bella provocazione, dopo averci raccontato la famiglia fascista in maniera più viva fin dall’inizio, rispetto a quella fiaccamente democratica. “Se i film antifascisti sono tantissimi e te li tirano dietro, vuol dire che forse non contano molto, e che alla fine il potere si riafferma lo stesso dietro questo scudo di apparenza.”
Tutti i personaggi vittime di se stessi
Si ride davanti a questo film un po’ sbilenco. In maniera amara, perché tutti i personaggi, alla fine, sono sì predatori, ma soprattutto preda di se stessi. L’umiliazione è il sentimento che il regista ha voluto fare esprimere agli attori, e non c’è umiliazione più cocente di quella che si è capaci di auto infliggersi.
Carlo e Claudio, ridicoli nel loro macho esibizionismo, sono a loro volta vittime dello zio Flavio, imprevedibilmente violento (Antonio Gerardi) e della paralisi psicologica di fronte a lui.
Ludovica è oppressa dalla sua stessa esaltazione. Ai suoi occhi, sono tutti inetti: attori produttori collaboratori, operai del set. E quando beve più del solito, dà sfogo al suo malessere esibendosi in performance di aggressività e onnipotenza.
Pierpaolo ha perso i contatti con i suoi veri desideri: sniffa e tradisce la moglie con la moglie del suo migliore amico. Quest’ultimo, a sua volta, prigioniero di una maschera sciocca che gli si è incollata addosso.
Quando l’oggetto da depredare non è solo fuori di noi, ma ha ottenuto il permesso di radicarsi nel profondità della psiche, sembra non ci siano più soluzioni.
Ce lo dice l’ultimo frammento del film, in cui ricompare un personaggio senza nome (Vinicio Marchioni) che all’inizio abbiamo visto nel ruolo di truffatore. Ora, con il suo sorriso beffardo, ci spiega la metafora dell’inganno, con cui cominciano e finiscono le storie. Facendo da cornice alle complesse piste narrative che ci sono scorse davanti per quasi due ore.
Il coraggio di Pietro Castellitto
Tanti contenuti che il giovane regista non sempre riesce a controllare, e forse non ha nessuna intenzione di farlo. Lo dice lui stesso, di aver voluto disubbidire ai dettami dei corsi di scrittura cinematografica per gli esordienti: usare pochi personaggi e non mescolare i generi.
È stato coraggioso, Pietro Castellitto, e ha fatto bene.