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‘Il caso Pantani – L’omicidio di un campione’: Recensione

In sala dal 12 al 14 ottobre 2020, Il caso Pantani – L’omicidio di un campione è il docufilm di Domenico Ciolfi, nel quale si interroga sulla verità dietro la tragica scomparsa del ciclista nato a Cesena.

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Il caso Pantani – L’omicidio di un campione è un docufilm firmato da Domenico Ciolfi, con Marco Palvetti, Brenno Placido, Fabrizio Rongione e Francesco Pannofino. Il film è disponibile su Prime Video con abbonamento superfresh.

L’intento di Ciolfi

Ciolfi si fa carico di testimoniare la necessità di riconsiderare le cause della tragica morte di Marco Pantani e gli eventi che ne determinarono il progressivo declino fisico e psicologico. Al tempo stesso tenta di restituire importanza, dignità e valore alla sua storia.

Il caso Pantani | La confusione stilistica non aiuta nella tesi di omicidio

Sebbene, l’idea e la volontà alla base siano più che encomiabili, tecnicamente il lavoro lascia un po’spiazzati. A causa soprattutto di una confusione stilistica che bascula tra la docufiction e la ricostruzione d’inchiesta alla “Blu Notte”. A cui si aggiungono l’abbattimento della quarta parete, tanto caro a Diderot, e l’introduzione dello sguardo in macchina.

Il caso Pantani – l’omicidio di un campione copre un arco temporale che va dall’episodio della squalifica per doping, prima della tappa di Madonna di Campiglio del Giro del 1999, fino alla sera del 14 febbraio del 2004, quando ritrovano il corpo del Pirata senza vita in una stanza del residence “Le Rose” di Rimini.

Madonna di Campiglio viene indicato come punto di non ritorno. Pantani comincia a far uso di cocaina, abbandona le sane abitudini e cede alla depressione. In questo difficile e talvolta nebbioso percorso che lo condurrà alla morte, non mancano momenti di ripresa, tentativi di tornare in sella e dimostrare a tutti il proprio valore.

In più di un’occasione si sente dire che Marco era nato per la bici. Togliergliela ha rappresentato ucciderlo: da qui il sottotitolo L’omicidio di un campione.

La ricostruzione dei fatti solleva dubbi verso una tragica verità

La ricostruzione degli eventi solleva sempre più domande, gettando in un vortice vischioso di sotterfugi, corruzione, inganni, da cui non si salva nessuno. Non c’è redenzione, solo peccato.

La sceneggiatura, scritta dallo stesso Ciolfi insieme a Davide Sala, sostanzialmente raccoglie le tesi contenute nell’omonimo libro di Luca Steffenoni, in linea con le convinzioni della famiglia Pantani e portate strenuamente alla ribalta dalla madre Tonina: il campione di Cesenatico fu incastrato e ammazzato.

Quel giorno del 5 giugno 1999 le sue analisi del sangue furono artefatte. Il 14 febbraio 2004 non morì per aver ingoiato un’overdose di cocaina, ma assassinato da qualcuno che inscenò il suicidio con la droga e gli psicofarmaci.

Una denuncia che la giustizia italiana ha sempre archiviato e che è finita all’esame persino della Commissione Parlamentare Antimafia. Tuttavia, nonostante le denunce e i dubbi acuitisi nel tempo, la sensazione è che la verità non si sia mai messa veramente in marcia. Restano i clamori, come la lettera di Vallanzasca del 2007, e le richieste pressanti di riconsiderare il tutto. Da cui la spinta per Ciolfi a realizzare il docufilm.

Le pecche del progetto a livello strutturale

Fermo restando questo suo compito virtuoso resta, inevitabilmente, lo straniamento per un’impostazione di racconto che alla fine scinde, quasi fosse un assunto ineluttabile, il Pantani uomo dal Pantani ciclista.

Uno dei più grandi scalatori della storia del ciclismo, un campione assoluto, l’ultimo capace di riuscire nell’incredibile accoppiata, nello stesso anno, Giro – Tour, diventa quasi un’icona da fotoromanzo. L’attenzione si focalizza esclusivamente sul suo difficile rapporto con la fidanzata Christine, i disperati tentativi della sua manager, Manuela Ronchi, per sottrarlo alla depressione e alla droga, il rapporto contrastato con Michel Mengozzi, nella realtà mai del tutto chiarito, e la controversa ultima relazione con l’enigmatica Elena Korovina, la dama nera.

In questo senso appare opinabile anche la scelta di tre attori differenti, nessuno realmente credibile, che definiscono tre Pantani per tre luoghi: Brenno Placido/Madonna di Campiglio, Marco Palvetti/Cesenatico, Fabrizio Rongione/Rimini.

Poche immagini d’archivio per un racconto un po’ troppo artefatto

Del mondo che Marco Pantani ha amato, e che in parte lo ha tradito, la pellicola di Ciolfi ci consegna poche immagini d’archivio, il difficile rapporto con Candido Cannavò, l’allora direttore della Gazzetta dello Sport, e il famoso diverbio con Armstrong al Tour del 2000.

Restano fuori molte cose che avrebbe potuto mettere in luce più chiaramente il tormentato animo del Pirata. A cominciare dalla sua ultima intervista rilasciata nel Giro del 2003 – chiuso al tredicesimo posto: momento in cui un po’ di serenità sembrava essere tornata nel cuore di Marco, spogliando la speranza di un ritorno alla normalità delle sue vesti di chimera.

Se da un lato Il caso Pantani ha quindi lo scopo di invocare la verità, dall’altro era necessaria una strada più agevole ed efficace, così da non disperdere quel fondamentale potere insito nella vicenda.

Sabrina Colangeli e Frederic Pascali

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