Il rapporto di Nick Cave e il cinema è sempre stato costante nel tempo, infatti oltre ad avere partecipato come attore/frontman con la sua band a diverse produzioni cinematografiche, molti dei suoi concerti celebri, sono diventati dei veri e propri “docufilm cult” diretti da registi di un certo calibro.
Cave è sicuramente, oltre che un musicista molto raffinato e dal grande carisma, anche un uomo che nella sua individualità specifica esprime mondi inesplorati, molti dei quali possono essere individuati nelle molteplici forme artistiche con cui esprime la sua energia e le sue ispirazioni ricordiamo le partecipazioni come band e attore a: Il cielo sopra Berlino, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, I bei giorni di Aranjuez.
La sua visione di come l’arte musicale sia interdipendente con l’immagine cinematografica è manifestata soprattutto grazie ai film che ritraggono Cave e “I Semi Cattivi” nelle loro performance musicali e potremmo dire anche spettacolari:
Distant Sky – Live in Copenhagen del 2018, diretto da David Barnard, One More Time With Feeling del 2016 diretto da Andrew Dominik e il pluripremiato 20,000 Days on Earth diretto da Iain Forsyth e Jane Pollard.
Il 16, 17 e 18 novembre, Idiot Prayer– Nick Cave Alone at Alexandra Palace è stato registrato a giugno 2020, mentre il Regno Unito usciva lentamente dal lockdown ed è stato ideato come una reazione alla reclusione e all’isolamento dei mesi precedenti; l’ultima fatica del gruppo musicale, sarà nelle sale italiane mentre il 20 uscirà l’album, che sarà disponibile in CD, vinile e streaming.
In un’intervista Nick Cave spiega come sia stata concepita l’ideazione dell’ultimo film/concerto: L’idea di questo film è nata dai miei eventi Conversations With… Amavo suonare versioni destrutturate delle mie canzoni in questi spettacoli, distillandole nelle loro forme essenziali. Sentivo che stavo riscoprendo di nuovo quelle canzoni e a un certo punto, ogni volta che avevo del tempo a disposizione, ho iniziato a pensare di entrare in uno studio e registrare queste versioni reinventate”, dice Nick Cave. “Poi è arrivata la pandemia: il mondo è entrato in lockdown ed è precipitato in un silenzio inquietante e riflessivo. È stato in questo silenzio che ho iniziato a pensare all’idea non solo di registrare le canzoni, ma anche di filmarle. Abbiamo lavorato con il team dell’Alexandra Palace – un luogo in cui avevo già suonato e che adoro – per scegliere un giorno per filmare non appena fosse stato permesso di riaprire l’edificio. Il 19 giugno 2020, circondati da funzionari anti-Covid con termometri, operatori con le mascherine, tecnici dall’aspetto nervoso e contenitori di gel per le mani, abbiamo creato qualcosa di molto particolare e molto bello che parlava in questo tempo incerto, pur non essendo in nessun modo soggiogato ad esso. Da quel film è nato anche un album. È una preghiera nel vuoto – da solo all’Alexandra Palace – il ricordo di un momento strano e precario della storia. Spero che vi piaccia.
Emerge chiaramente come la musica sia stata più che la motivazione, la conseguenza di una situazione molto particolare in cui l’artista australiano ha dimostrato ancora una volta di essere un personaggio di uno spessore molto elevato, in grado di conciliare l’urgenza artistica con il sociale e quello che da esso ne deriva trasponendolo musicalmente.
Nick Cave può con certezza essere considerato un esempio di artista-demiurgo in grado di spaziare senza difficoltà in più settori e con variazioni rispetto alla concezione dell’opera d’arte intesa come una sovrapposizione di più contributi creativi.