NERO A META’: un mix di fiction tutta italiana con ritmi da serie americana
Seconda stagione di Nero a metà, con storie più avvincenti e personaggi più credibili. I drammi personali coinvolgono tutta la squadra del commissariato Rione Monti di Roma e gli spettatori
Chissà perché la seconda stagione di Nero a metà, in onda su Rai 1tra settembre a ottobre non ha raggiunto gli stessi, altissimi, ascolti della prima, trasmessa nel 2018. Ben sei milioni e mezzo di spettatori! Ora ci si è assestati sui quattro milioni, quasi cinque il 1 ottobre, che non è poco. Però, meritava di replicare, anzi di superare, il successo di allora.
Perché i casi nel commissariato Rione Monti di Roma, intrecciati a quelli personali, coinvolgono ancora di più l’intera squadra, sempre più affiatata, a cui, tra l’altro, ci siamo affezionati già due anni fa.
La storia, le storie di Nero a metà
Ritroviamo tutti i personaggi là dove li avevamo lasciati, mentre i nuovi si inseriscono con naturalezza. Un caso da risolvere ad ogni puntata, insieme alle vicende private dei personaggi, e uno particolarmente complesso che ci accompagna per tutta la serie.
Claudio Amendola(Carlo Guerrieri) è un ispettore di mezza età, un po’ brusco e non particolarmente ambizioso, la cui figlia, Alba (Rosa Diletta Rossi) lavora insieme a lui come medico legale. Già nella prima stagione Carlo ha dovuto fare i conti con una new entry tra i suoi colleghi, per lui piuttosto scomoda.
Si tratta di Malik (Miguel Gobbo Diaz), giovane, in carriera, sveglio e…..nero. Le rivalità sono subito evidenti (e frequenti le battute sul colore della sua pelle). Ancora di più quando Malik inizia una relazione amorosa con Alba. Forse, questa volta, la competizione non si risolverà nell’ amicizia, ormai scontata delle tante narrazioni televisive. Ma nel rispetto reciproco, sicuramente sì.
Un titolo poco azzeccato
Per fortuna, la scelta infelice del titolo non ne ha scoraggiato la visione. Un personaggio di rilievo, e nero, che cerca in tutti i modi di contrastare gli interventi buonisti nei suoi confronti, ribadendo il suo essere italiano, non può non far pensare che Nero A Metà si riferisca a lui. Allude, invece, spiega Claudio Amendola, alle ombre nella vita del protagonista che si ispessiscono sempre più.
“Si chiama NERO A META’ perché esiste una parte di Carlo molto oscura e profonda. È un fardello che appartiene al passato, una ferita che viene da lontano, che si crede essere ormai guarita ma che tornerà a riaprirsi e sanguinare”. Se durante la prima stagione lo sguardo inquieto era rivolto al passato, ora, nella seconda, si posa su un presente che sembrava sereno, ma solo all’inizio.
Ogni personaggio con il proprio conflitto interiore
Ho perso la testa, dice Carlo al suo amico Mario Muzo (Fortunato Celino), ma la ritroverò. E poi: “Ti avevo detto che l’avrei ritrovata, ma non è più la stessa”.
Sulla ricerca del senno perduto per amore, o sull’impossibilità di saper apprezzare la vita tranquilla, si costruisce tutta la storia di Carlo. Che, promosso a capo dell’investigativa, fugge a tutti i doveri burocratici, schiavizzando il povero Marco Cantabella (Alessandro Sperduti), bravo ragazzo destinato a questo ruolo fin da subito.
Il caso della seconda serie che in realtà sono due, collegati tra loro, interessa, e tanto, elementi del gruppo a Carlo molto vicini; le intese si approfondiscono e le ombre non appartengono più solo al protagonista. Ognuno deve risolvere il proprio individuale conflitto.
Persino Giovanna Di Castro (Angela Finocchiaro) medico legale, e superiore di Alba, sempre sarcastica e stravagante, di colpo esprime tutta la sua fragilità. È spiazzante vederla così persa e perse tutte le sue sicurezze.
Alba è indecisa tra Malik e il giovane Enea (Eugenio Franceschini), ma il suo cuore è sempre occupato da una madre che forse sarebbe meglio dimenticare.
Tutta la seconda stagione più drammatica della prima
Le vicende individuali si fanno così drammatiche e più drammatica tutta la seconda stagione. Dissidi interiori, legami che nascono e s’interrompono, amicizie che durano al di sopra di ogni sospetto, rivalità e fedeltà, gelosie, e ora anche dolori indicibili, come quello di Marta (Nicole Grimaudo) per la morte del figlio.
Il crimine non è vissuto come qualcosa d’altro, o d’altri, ma tocca da vicino tutti i personaggi. Sconvolgendone l’esistenza o causando forti dispiaceri per la vicinanza ai colleghi e agli amici coinvolti.
Ogni personaggio credibile nella sua vita
In questa serie mancano, fortunatamente, le macchiette come quella di Catarella in Montalbano, o la squadra raccogliticcia toccata in sorte a Rocco Schiavone. In Nero a metà tutti sono credibili, con la loro vita normale e la voglia di raggiungere un risultato comune. È un lavoro di gruppo il loro, ma anche in gruppo, nel senso che ognuno cresce nel confronto con gli altri, guadagnandoci in consapevolezza.
Anche Cinzia (Margherita Vicario) nella prima stagione incinta e nella seconda madre di una bimba piccola, con le sue ricerche nell’ufficio in cui è relegata, ha un ruolo fondamentale e partecipa alla soluzione dei casi sempre più difficili. Con passione, meticolosamente. Spesso gratificata da Carlo, che, per quanto burbero, sa assumersi il ruolo paterno dell’età.
Al commissariato di Rione Monti, le intemperanze e i protagonismi non sono graditi. Spesso perdonati, però. Non ti sospendo perché siamo sotto organico. Dice Carlo a Malik, arrabbiato ma solo un po’.
Ritmo sostenuto degli eventi
Fin dai primi episodi, drammaticità e credibilità rendono, in questa seconda stagione, il racconto ancora più avvincente, grazie al ritmo che gli si è adeguato, facendosi più sostenuto. A tratti sfiora le cadenze di un telefilm statunitense, nonostante la parlata romanesca di Amendola: “Ti è avanzato un abbraccio per questo padre vecchio e con la capoccia dura?”.
Malik, con il suo andar sempre di corsa e la pelle scura, lui, sì, più di tutti, sembra atteggiarsi a poliziotto americano. Forse un po’ troppo, ma glielo concediamo. In fondo, il mix di sentita italianità da una parte, ritmi e montaggio “all’americana” dall’altra, aggiunto a qualche spavalderia di Malik Soprano, non disturbano. Anzi creano la giusta attesa degli eventi futuri.
Nonostante il passaggio della regia, di Marco Pontecorvo per i primi otto episodi e di Luca Facchini per gli ultimi quattro, la narrazione procede in maniera fluida, dall’inizio alla fine.
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