El practicante di Carles Torras nuovo thriller psicologico di Netflix
Cosa è disposto a fare un uomo, rimasto vittima di un incidente, per non essere abbandonato dalla fidanzata? Il thriller spagnolo distribuito da Netflix gioca sulla macchinazione di un piano diabolico
Il quinto lungometraggio del regista spagnolo Carles Torras è un thriller psicologico, prodotto e distribuito da Netflix. Disponibile sulla suddetta piattaforma, El practicante mette in scena una morbosa relazione tra due giovani e la sua involuzione.
El practicante. La trama.
La storia è quella di Ángel e Vanesa. I due sono una giovane coppia convivente. Lei lavora in un call center e lui è un paramedico. Stanno cercando addirittura di avere un bambino, ma il comportamento di Ángel è sempre più brusco e cupo, soprattutto nei confronti della compagna. Una sera lui ha un grave incidente e perde l’uso delle gambe. Lei continua a cercare di stargli vicino, ma a lui non va giù questa situazione, complice anche il sospetto di un tradimento da parte della ragazza. Per questo decide di sorvegliarla attraverso il cellulare ma, quando lei lo scopre, scappa via e non si fa più vedere. Quando, alcuni mesi dopo, si ritrovano Ángel ha elaborato un piano nei minimi particolari e, suscitando pietà e tenerezza nella ex, la convince a farsi accompagnare e la rapisce, segregandola in casa. Da questo momento sarà un susseguirsi di eventi, più o meno verosimili che suscitano nello spettatore la seguente domanda: cosa è disposto a fare Ángel?
Una morbosità esagerata.
Il comportamento decisamente sopra le righe di Ángel è il fulcro centrale di El practicante. Fin dall’inizio è inevitabile considerarlo un personaggio negativo. Lo spettatore capisce subito di non potersi fidare di lui. Ma, con il proseguire della storia, il suo atteggiamento muta, in parallelo a tutto quello che gli succede e che gli ruota intorno. La sua evoluzione (che in realtà è più un’involuzione) sembra cominciare a maturare ancora prima dell’incidente, ma trova completo compimento nell’attuazione del diabolico piano con il quale rapisce Vane. Non accetta che il suo legame con la ragazza possa spezzarsi. O peggio non accetta che possa essere stato spezzato da qualcuno che non sia lui.
Ribaltamento di piani e dinamiche.
Considerando la situazione (fisica e mentale) di Ángel si può considerare un carnefice che riesce a ribaltare la classica situazione di rapito e rapitore. È lui quello provato dal mondo perché è lui quello che ha avuto l’incidente ed è lui che ha perso l’uso delle gambe proprio nello stesso incidente. Questo dovrebbe portare il pubblico a empatizzare con lui. O almeno a provare pietà ed essere comprensivo. In realtà questa situazione aggrava il suo “ruolo”. Proprio perché provato da tutto questa è assurdo pensare di fare ciò che medita e realizza. Il carnefice non è più solo carnefice al 100%, ma, in qualche modo, è anche vittima. Ma di sé stesso.
Aspetti in superficie, ma cast positivo.
Uno degli elementi negativi di El pacticante è il mancato approfondimento di determinate dinamiche e determinati personaggi. Viene spesso da chiedersi il motivo di alcune presenze e di alcune assenze, ma purtroppo non si hanno risposte. A compensare a questo sviluppo talvolta precario ci pensano i personaggi stessi, o meglio gli interpreti. Mario Casas, nel ruolo di Ángel, riesce a trasmettere la sofferenza (perché di questo si tratta) che il giovane subisce. Il tutto grazie ad un attento studio anche dei movimenti per i quali sembra abbia lavorato in un apposito centro per calarsi meglio nel personaggio. Ad affiancarlo una riuscita Déborah François, nel ruolo di Vanesa.
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