Conversation

‘Padrenostro’ intervista al regista Claudio Noce. Il racconto della generazione degli invisibili

Intervista a Claudio Noce, regista del film che, dopo Venezia, adesso è su Netflix

Published

on

Presentato in concorso al Festival di Venezia Padrenostro di Claudio Noce è una sofferta autobiografia in cui il realismo dei sentimenti fa il paio con il racconto di un universo onirico e favolistico. Adesso arriva su Netflix.

Padrenostro di Claudio Noce: il trailer

Padrenostro di Claudio Noce

Come altri film sugli anni di piombo anche Padrenostro non può prescindere da quello che è il rapporto conflittuale tra padre e figli. Il tuo film lo racconta in senso letterale come succede in Colpire al cuore di Gianni Amelio, ma anche figurativo, in relazione allo scarto generazionale tra le parti in causa e qui i miei riferimenti a La Seconda Volta di Mimmo Calopresti. 

Un paragone molto interessante e lusinghiero per me che ho amato i film in questione. La tua è una considerazione più che giusta perché il conflitto generazionale c’è ma esiste attraverso un percorso che prescinde da un discorso politico. A me piaceva raccontare un aspetto di quella generazione che io chiamo gli Invisibili cioè la mia e in maniera più profonda quella di mio fratello, perché all’epoca dei fatti io avevo solo due anni, mio fratello undici. Non a caso il personaggio di Valerio è fortemente ispirato a lui, soprattutto nella prima parte in cui la componente autobiografica è più forte. Parliamo di una generazione che ha vissuto quella guerra in maniera involontaria. Mi ricordo che ascoltavamo i discorsi degli adulti, le loro preoccupazione e la paura rispetto a quanto stava accendendo ma per loro era come se fossimo lontani da li, appunto invisibili. L’idea del conflitto è proprio là dunque ho cercato di creare un percorso in cui attraverso una serie di bit narrativi i personaggi iniziano a mettersi in gioco. Far ammettere a mio padre il fatto di avere paura e con questo cancellare il tessuto di rimozione che ci ha accompagnato forse per quarantacinque anni facendo si che quella cosa non fosse mai accaduta mette in moto un percorso verso il genitore che mi e ci permette di conoscere meglio il padre.

In effetti a entrare in gioco in Padrenostro non sono solo gli elementi storici e sociologici riferiti al contesto culturale e di costume degli anni 70 ma anche e soprattutto fattori psicologici e ancestrali legati  proprio al rapporto filiale e alle conseguenze del trauma che ne spezza la sicurezza della sua unità. 

Sì, è proprio così, hai centrato la questione. Ciò che hai detto era una delle intenzioni del mio film. Di certo Padrenostro ha degli aspetti relativi a quanto e altri che si rifanno a elementi di tipo favolistico. A proposito di questo coloro che hanno accettato di farsi raccontare la storia senza pregiudizi e senza aspettarsi un film sugli anni settanta e gli anni di piombo se ne sono innamorati: chi invece da Padrenostro si aspettava di sentire qualcosa di nuovo rispetto a questa ferita ancora aperta ne è rimasto deluso. Sono dunque felice di quello che stai dicendo perché il film non vuole dare nessuna lettura politica che non sia quella legata alle relazioni tra le persone. Il tutto raccontato – e questo è la parte che si allontanata dalla mia esperienza – attraverso un romanzo di formazione anche magico e come dicevo, favolistica. Ne parlo anche in riferimento a Christian su cui molti si sono soffermati  chiedendo se fosse un personaggio reale. Ovviamente lo è però è raccontato in quel modo magico.

Due scene del film

In questo caso ci sono due scene indicative della natura di Padrenostro: di quella dell’attentato al padre di Valerio non ne vediamo gli esiti. Così facendo lo spettatore non sa se quello che vede successivamente è un flash back in cui il genitore era ancora vivo o si tratta di una proiezione mentale del figlio. 

In realtà quando Valerio scende di corsa le scale la mia idea in tutte le stesure era quale di non raccontare i fatti in maniera spettacolare o far vedere allo spettatore quello che stava effettivamente accadendo anche per rispecchiare la credenza dei genitori, convinti che il figlio non abbia visto nulla fino a quando non disegna sull’asfalto i corpi delle vittime. È un punto importante perché è lì che i genitori capiscono che il meccanismo della rimozione non è più in grado di proteggere i figli. È da lì che inizia il cammino  di consapevolezza dei genitori: non a caso nella scena girata in cucina uno dei personaggi dice alla madre di Valerio che il figlio ha bisogno di una famiglia e non di uno psicologo. Li incomincia il processo  che forse come figlio ho sempre sperato potesse accadere a me e alla mia famiglia.

L’altra scena appartiene invece a un repertorio più classico mostrandoci il bambino mentre gioca a Subbuteo con un amico immaginario. Dunque non è sbagliato parlare di Padrenostro come di un racconto di fantasmi. Una caratteristica confermata da una delle sequenze più significative. quella che per me racchiude il titolo del film. In campo lungo infatti vediamo i due bambini osservare il riposo del papà di Valerio. Il fatto che la posizione del corpo e la prospettiva con cui lo inquadri ne facciano la citazione della celebre deposizione del Mantegna ci dice che Alfonso in quanto Corpus Christi è allo stesso tempo il padre (morto) di Christian e quello vivo, in carne ossa di Valerio. Ognuno dei ragazzini è legittimato a riconoscere in quella figura il proprio genitore. 

La tua affermazione mi ha fatto venire i brividi perché era una cosa che nessuno mi avevo detto prima di te e soprattutto perché corrisponde al vero in tutto e per tutto. Anzi, aggiungo che tradotta da te risulta ancora migliore di quello che in realtà è. Il film ha diverse chiavi di lettura. È ovvio che se scegli di andare più nel profondo e fai quel percorso che mi stai difendono tutti lo vogliono o decidono di fare. Spero che Padrenostro abbia anche una lettura più semplice anche perché il film da allo spettatore la scelta del percorso da compiere. Se leggi il film in un altro modo questo i ritrovi i luoghi classici del romanzo di formazione al cui interno ci sono tantissimi appuntamenti simili a quelli che stai dicendo. Mi fa piacere che tu lo stia facendo notare e che tu dica si tratti di un film di fantasmi, una Ghost Story come pure l’ha definita il tuo collega Francesco Alò.

 

D’altronde mi pare che le scene in questione sono anche quelle che consegnano Padrenostro al punto di vista del bambino. Mi pare che sia questo semplice attribuzione di competenza funzionale a offrire alle immagini la loro plausibilità narrativa.

Si, in parte è così. Fino a un certo punto infatti il film mantiene un punto di vista preciso fino a quando sceglie di tradire questo paradigma iniziale attraverso il viaggio della famiglia in Calabria. La scena del tunnel che precede l’arrivo nella terra di Alfonso  è una sorta di confine. oltre il quale c’è l’inizio di un percorso iniziatico anche del padre. Quindi li sia a livello formale che tematico il film inizia ad aprirsi alla figura del genitore, al suo punto di vista.  In quell’attimo il padre capisce che il bambino non riesce a respirare come forse non riesce a fare neanche lui: con la differenza che Alfonso non se lo dice. Attraverso il  tunnel il padre ritorna a quel respiro ancestrale datogli dal luogo in cui è nato e dai legami con esso stabiliti. Lo sguardo che rivolge al padre durante il pranzo nella casa natale è un momento molto importante. È quello scambio di intesa a  innescare un gioco di specchi tra generazioni diverse. Ecco, da quel punto in poi iniziamo a raccontare anche il punto di vista del personaggio impersonato da Pierfrancesco. Inoltre sempre a partire da quel viaggio assistiamo al momento in cui Christian perde le caratteristiche fantasmatiche per diventare visibile a tutti. Un passaggio anche questo segnalato dall’apertura onirica che lo riguarda: Parlo del sogno in cui il ragazzino immagina  la famiglia che non ha.

Claudio Noce attraverso Padrenostro

Padrenostro arriva alla verità attraverso la ricostruzione di un mondo che non c’è. Inizialmente infatti esiste solo nella mente del piccolo protagonista e solo in seguito, grazie all’apertura al mondo circostante e agli altri protagonisti diventa una spazio condiviso in maniera più oggettiva. Voglio dire che il  realismo dei sentimenti presente in Padrenostro è il risultato della descrizione di un mondo interiore. 

Si è proprio così! In questo caso non potrei aggiungere di più!

Allora lo faccio io dicendo che dal punto di vista autobiografico Padrenostro è efficacissimo perché sullo schermo noi non vediamo solo i ricordi di Valerio, ma anche il tuo modo di ricordare. Te lo dico perché se io ripenso alla mia infanzia non ricordo un percorso lineare ma invece una serie di immagini forti, distaccate le une dalle altre da scarti molto netti. A rimanere impresso nella mia mente non è la continuità della storia  ma il concatenarsi di una serie di scene per così dire madri che mi consentono di risalire al tutto. Così è la messa in scena del tuo film e le scelte di montaggio da te compiute. 

Ti ringrazio perché le tue sono considerazioni che non mi erano state mai fatte e che rivelano invece quello che è stato inconsapevolmente il mio percorso per quanto riguarda la scrittura le riprese il montaggio. Cioè, i ricordi di un bambino sono proprio così, procedono attraverso un collage di immagini forti. Quante volte abbiamo giocato con qualcuno che non c’era e a un certo punto c’è ne siamo dimenticati per poi ricercarlo e ritrovarlo. Sono molto colpito dalle tue parole perché effettivamente hai detto tutto ciò che volevo fare attraverso e dentro il film.

Prima e seconda parte del film

Parlando della natura delle immagini ti volevo chiedere del contrasto visivo tra la dimensione ambientale della prima parte, quella metropolitana, frammentata e claustrofobica, fatta di sentimenti implosi e la seconda immersa nel paesaggio naturale in cui le conseguenze del dramma esplodono in una resa dei conti ad alto rischio emotivo. 

Sentimenti implosi è un’affermazione che mi piace molto perché definisce nella maniera migliore la parte di film a cui sono riferiti. Ovviamente dal punto di vista narrativo volevo raccontare che quell’uomo, quel bambino diventato uomo non ha ancora compiuto il salto necessario per esserlo. Ora io non so se questo arriva ed ha senso raccontarlo ma ho fatto questo film per provare a non avere più paura e per cercare di respirare con la pancia. L’incontro con Christian adulto è un appuntamento con l’infanzia che alla fine credo debbano farlo tutti per abbandonare il bambino e trovare il nostro io uomo. Il paradosso è che Valerio rincontrando il suo amico innesca l’idea del ritorno alla vita precedente per cercare di superare il dramma che l’ha segnata.

 

A differenza di altri film relativi agli anni di piombo mi sembra che attraverso la stretta di mano finale tra Christian e Valerio compi quella sorta di ricomposizione sociale necessaria a porre fine a tutti i grandi conflitti civili. Dal punto di vista metaforico metti in immagini un passaggio da altre parti assente. e cioè la messinscena della pace tra le opposte fazioni

È esattamente così. Ancora una volta hai letto correttamente le mie intenzioni. In effetti se tu sei aderente ai percorsi dei personaggi vedi in quell’incontro un segno di pace e di amicizia. Al contrario avendo conosciuto anche l’altra parte ovvero un figlio di un terrorista che mi ha raccontato della paure simili alle mie non volevo dare un giudizio politico sui fatti del terrorismo ma come hai detto raccontare una storia di sentimenti e di emozioni relative ai personaggi. Peraltro non sarei mai stato in grado di raccontare quella guerra e dello scontro sociale di quegli anni. Quell’unione conclusiva  ha a che fare con i traumi e le ferite degli anni di piombo ma allo stesso tempo e’ qualcosa che appartiene ai miei protagonisti.

La fotografia di Padrenostro di Caludio Noce

Venendo alla fotografia di Michele D’Attanasio mi pare che nella seconda parte diventi particolarmente stilizzata : mi riferisco a passaggi come quello della gita in barca in cui gli elementi al centro della scena emergono in maniera netta e delineata sul paesaggio e dove la stasi generale rende bene la sensazione di artificialità connessa agli aspetti magici e onirici di quelle sequenze. Per contesto e soluzioni compositive a me è venuto in mente la fotografia di Harry Savides in Zodiac.

Ovviamente a me piace molto quella che è la traduzione formale dell’aspetto drammaturgico e quindi sono molto vicino anche alla ricerca fotografica che riguarda il trattamento delle fonti luminose.  In tutta la parte romana abbiamo girato con ottiche sferiche diverse che dovevano avvolgere il personaggio dando allo spettatore la sensazione di essere molto addosso ai personaggi. In quella parte di film infatti non c’è l’ apertura che tu stai descrivendo. Piuttosto ci siamo rifatti alla lezione di John Cassavetes e al suo modo di stare addosso agli attori soprattutto in alcune scene. Anche nella sequenza della cucina in cui vediamo parlare Gina e Alfonso la mdp è totalmente al servizio degli interpreti. La seconda parte invece è stata girata con delle ottiche anamorfiche predisposte ad aprirsi sul paesaggio alla maniera del cinemascope. Tra l’altro abbiamo scoperto essere state utilizzate in Moonlight un film che ho amato molto. Io ho iniziato a usarle dopo la scena del risveglio. Quando di notte il padre prende in braccio Valerio e lo porta in camera siamo già in Calabria  ma ho utilizzato ancora le ottiche sferiche  perché avevo ancora bisogno di stare vicino ai protagonisti. Quando il personaggio si risveglia all’improvviso lo sguardo cambia e il film si apre sul paesaggio calabrese.Oltre al lavoro di Michele vorrei citare quello di Paki Meduri alle scenografie e Olivia Bellini ai costumi il cui apporto ha contribuito alla resa visiva del film.

In Padrenostro c’è anche un grande lavoro sui suoni perché l’idea è che in certi tratti essi siano stati del tutto ricostruiti a favore di una sonorità irreale, specchio di quelli che sono i moti interiori dei personaggi.  

Assolutamente sì, continuo a ringraziarti per le tue parole, perché è proprio così nel senso che il suono in presa diretta nei dialoghi è quello reale. Diversamente, per le ricostruzioni legate alla natura o alla realtà è andata come hai detto, si tratta di una rappresentazione interiore ed emotiva del sonoro.  E’ un lavoro che faccio da sempre. Nella fattispecie in questo caso siamo arrivati al risultato grazie a un lavoro di squadra e in particolare a un sound design bravissimo che si chiama Gianni Pallotto. Insieme abbiamo compiuto una minuziosa ricostruzione di quel mondo sonoro nell’intenzione di farne una vera e propria narrazione. Mi rendo conto che a volte nel cinema italiano non sia facile operare in tal senso ma noi abbiamo voluto farlo. Poi magari tu lo noti e altri mille no ma c’è proprio quella ricerca lì, messa in opera con un lavoro fatto di sfumature e dettagli minimali.

 

Il cast

Come si fa a dirigere un attore come Pierfrancesco Favino che in questo momento ha raggiunto la massima consapevolezza del suo talento e delle sue possibilità interpretative. Non penso sia una domanda banale?

Pierfrancesco è un attore straordinario, di quelli che deve sempre sapere ciò’  che gli sta accadendo intorno. Studia in maniera ossessiva senza dare nulla per scontato: dall’analisi del testo agli obiettivi delle mdp. Affermare che arriva in scena preparato è dire poco. Poi è ovvio che a volte nel cinema a cui aspiro c’è anche la voglia di non stabilire tutto a priori: parlo dell’organizzazione dello spazio scenico così come  dell’interpretazione di un determinato ruolo. Sta di fatto che tutto quello che era la ricerca sul personaggio lui lo aveva fatto da solo e in maniera ineccepibile, tenendo conto che la sua enorme capacità di trasformarsi non doversi rapportarsi con un personaggio noto quanto piuttosto con una figura universale come quella di un padre.  Cosa che lui è riuscito a essere regalando al personaggio straordinaria dolcezza. Pierfrancesco ha fatto delle cose straordinarie però poi tra questi ci sono momenti unici e meravigliosi come quello in cui in Hammamet fa quel monologo alla figlia nel quale c’è la tenerezza aa cui mi riferisco. In realtà lui è sempre molto in controllo e nello stesso tempo ha una capacità oserei dire “americana” di trasformarsi che in Italia non ha  nessun altro Questo per dire che in Padrenostro lui ha messo una parte più di cuore, che forse gli è valsa la Coppa Volpi. Rispondendo alla tua domanda su come è stato dirigerlo dico che a volte non si è rivelato facile: gli ho chiesto di fidarsi su alcune cose e credimi fare tale richiesta a lui è stata dura.  Pensa che a un certo punto mi ha detto: “Io non mi sono mai fidato così di un regista nella vita”, e lui ha lavorato con Marco Bellocchio e Gianni Amelio. Per me era non un complimento, di più. Però questo ti dà la cifra del suo modo di lavorare, cioè lui neanche con un maestro come Bellocchio si lascia trasportare fino in fondo. Questo per dirti fino a che punto lui sa quello che deve fare. Per farti un esempio nella scena in Padrenostro del super otto, quando il bambino lo guarda intercettando la debolezza dell’eroe/padre, ecco, in quel passaggio lui non sapeva cosa significasse uno sguardo che gli avevo chiesto. Capendo che non si era reso conto di cosa stava succedendo intorno a lui gli ho detto di guardare in macchina.  Rivedendosi in quella scena mi ha ringraziato perché in quello momento non aveva capito cosa stava facendo. Poi in realtà ci sono due o tre appuntamenti nel film in cui lui si è lasciato un po’ andare. Il che non era scontato ne facile perché come dici tu il mio è un racconto costruito molto sulle immagini e non sempre sul testo per cui talvolta gli attori si sono trovati a replicare qualcosa che non  era scritto. Per me vale la regola di John Cassavetes  e cioè: “do it, fallo!” perché certe cose non si possono raccontare. Certo nel caso del regista americano lui lo diceva a Gena Rowlands, lo diceva alla moglie, dunque in qualche modo andava più sul sicuro rispetto a me (ride, ndr).

Anche Barbara Ronchi che in Padrenostro è la madre di Valerio e la Moglie di Alfonso è stata molto brava, considerando anche di dover recitare con dei bambini e a fianco di un mostro sacro.

Barbara ha fatto un lavoro straordinario. Prima di tutto le ho chiesto di unire la fermezza di una donna forte, direi quasi di una soldatessa, sul tipo di quella avuta da mia madre all’epoca dei fatti raccontati. Stare con un uomo di quel tipo significava mantenersi dietro le quinte ma dover fare tutto tutto da sola. Poi però volevo che tirasse fuori la dolcezza che lei ha nello sguardo, negli occhi. Barbara è proprio madre ed è per questo che l’ho scelta. Quando ho fatto i provini ho visto attrici bravissime che hanno fatto magari dei provini non dico più belli ma insomma si tratta di interpreti di primo piano però ad un certo punto è stata lei a farmi arrivare quel senso di maternità adatto al personaggio. C’è una scena in cui la donna credendo di non essere vista si lascia andare e inizia a piangere. Si tratta di un fatto vero, successo  circa sette anni dopo l’attentato ed era la risposta alla paura di cui ti dicevo prima. Ecco, il quel momento io l’ho guardata come Valerio ha fatto con sua madre e cioè senza essere visto e ti dico che Barbara in quella sequenza è straordinaria.

Il cinema di Claudio Noce oltre Padrenostro

L’ultima domanda te la faccio a proposito del cinema che ti piace e di cui in parte hai iniziato a parlarmi. 

Prima ti ho citato Cassavetes che sicuramente è uno dei registi che mi ha folgorato per il lavoro con gli attori, per il suo modo di muove re la mdp attorno alla scena e agli attori. Poi invece ho amato e mi sono formato con il cinema della Nuova Hollywood, e cioè con  Martin Scorsese, FF Coppola, Michael Cimino, Brian De Palma. Devo dire che mi sono rivolto a loro con l’amore di cui parla Scorsese, quello che poi ritorna nel linguaggio e nel modo di raccontare di quando poi sei tu a girare un film. Questo perché l’idea di avere un insieme anche di lezioni anche nel modo, perché poi è quello anche come dice da sempre Scorsese che il suo linguaggio, il suo modo di raccontare è frutto di tutto l’amore che lui ha dato ai film che ha visto e che gli è ritornato indietro. Da un punto di vista formale non posso non citare Wong Kar wai  sai che a certo punto ho abbandonato per via della troppo estetica. Allo stesso tempo lo sguardo che ha la mdp dietro una quinta, e dal punto di vista di un personaggio continua ancora ad arrivarmi. L’ultimo nome che ti faccio tra i tanti di cui potrei dirti è Elio Petri un autore che amo.

Padrenostro è una produzione: Lungta Film, Pko Cinema & Co, Tendercapital Productions, Vision Distribution, con il sostegno di Fondazione Calabria Film Commission

Commenta
Exit mobile version