Reviews

‘Pyongyang si diverte’ di Pierre-Olivier Francois, l’altra faccia della Corea del Nord

Published

on

Presentato in anteprima Europea nella sezione K-Doc del Florence Korea Film Fest, Pyongyang si diverte di Pierre-Olivier Francois è un combattuto tentativo di mostrare come la capitale della Corea del Nord intrattiene il suo popolo. Al di là della dittatura, del dittatore, del nucleare, della povertà e dell’embargo.

Concentrandosi unicamente e forzatamente sul tracciare gli svaghi della capitale, il documentario pare un delirio dello stesso Kim Jong-un. La Pyongyang dei parchi giochi, dei parchi acquatici, delle spose, delle spiagge e dei ristoranti; la Pyongyang che solleva il morale, che sta bene, che ride e si mostra leggera e spensierata, ci fa dimenticare per un po’ il lato oscuro della sua luna. Insomma, una Pyongyang mai vista.

Pyongyang si diverte di Pierre-Olivier Francois e gli ossimori della Corea del Nord

Minatori carichi di adrenalina raccontano come il loro pellegrinaggio alla capitale, oltre al Museo di questo e di quello, includa anche una nutrita fetta di passatempi, oppio della mente. E per un momento, addio alle rinunce e alle ristrettezze. Signore in appartamenti umilissimi nella provincia più dimenticata, si illuminano al solo nominare La Mecca dei nordcoreani, mentre sullo sfondo la televisione continua il suo quotidiano brainwashing.

Purtroppo il film Pyongyang si diverte di Pierre-Olivier Francois è assurdamente antisettico nel tentativo di illustrare esternamente e su due piani ben divisi la Pyongyang scoperta: l’egloga cittadina colorata delle immagini da una parte, e il commento perfettamente british dall’altra. È alla voce off che si affida il compito di svelare, di ricordarci, di nominare, quello che è in realtà. Mentre le immagini si attengono al consentito, che in questo caso è la follia puramente propagandistica di una macchina che seda la sua popolazione. Davvero, Pyongyang sembra uno spasso.

We have never been abroad, but now we have a lot of waterparks.

Il risultato è un film noiosamente osservativo, come National Geographic potrebbe osservare una specie di animali in via d’estinzione, con misurati interventi e condivisioni. Che osa pochissimo, perché chiaramente il regista avrebbe personalmente rischiato grosso ad uscire dal concesso.

Sebbene riesca a svelare questa faccia nascosta della città, il tentativo di tenere in vita il suo cuore tormentato è tutto nelle mani del fuori campo. È molto difficile mostrare una Corea del Nord allegra, quando tutti la conoscono assoggettata ad un criminale e se ogni volta che si assiste alla spensieratezza dei suoi cittadini, è evidente che ci sia l’ombra della morte che pesa su di loro. È noto che l’essere umano trovi a modo suo una strada per celebrare la bellezza dell’essere vivo, e risorgere nella vita quotidiana. Ma qui, il ritmo è lento e la voce off pedante, noiosa.

Questo tipo di spaccato folgorante, sul finto benessere di un popolo criminalizzato, e l’energia risollevante della risata, qui serpe del “male”, poteva esistere solo qui, in Corea del Nord. In special modo a Pyongyang, che già altri hanno tentato di rappresentare “diversamente”, cozzando nuovamente con le regole imposte dal regime (come in Una gloriosa delegazione a Pyongyang di Pepi Romagnoli).

Il regista si è attenuto ligio alle indicazioni del regime, rispettando l’apatia creativa richiesta, compilando un resoconto descrittivo. Poi, ha provato a dire la sua nel denso commento esterno; ma il film non è per nulla assimilato in se stesso, e le boccate d’aria sulla natura selvaggia, sono le aperture più attese.

Commenta
Exit mobile version