SoundScreen Film Festival: intervista al direttore artistico Albert Bucci
Nato con lo scopo di porre al centro di tutto la musica, il SoundScreen Film Festival di Ravenna dà la possibilità, ormai da cinque anni, a vari gruppi musicali di musicare e sonorizzare alcuni film muti dei primi anni del cinema. Abbiamo incontrato il direttore artistico Albert Bucci per qualche domanda sull'edizione 2020
Prossimo all’inizio, dal 26 settembre al 3 ottobre, il SoundScreen Film Festival (qui per un’analisi del programma) metterà, anche quest’anno, a disposizione del pubblico un programma ricco e interessante, grazie al direttore artistico Albert Bucci.
L’evoluzione della musica secondo Albert Bucci
Ormai la musica è sempre più parte integrante della narrazione cinematografica. Da semplice accompagnamento si è trasformata in vera protagonista. Cosa pensi di questa evoluzione e come questa evoluzione influenza il SoundScreen Film Festival e la scelta dei film?
Bisogna partire innanzitutto da un semplice fatto: quello che 100 anni fa il cinema era muto. Ma in realtà questo significava fornire comunque un accompagnamento musicale dal vivo, prima che diventasse sonoro. Cioè un cinema dove veniva introdotta la voce dei personaggi, ma dove veniva anche data voce all’ambiente.
Il rapporto immagine e suono è antico ed è dentro l’essenza del cinema stesso. Noi abbiamo reso esplicito questo fattore, in mille varianti. Abbiamo certe musiche che, se evocate, ci permettono di riconoscere immediatamente il film al quale appartengono. Certe volte, poi, la musica è stata elemento protagonista non solo del lato estetico, ma anche di quello narrativo. Un esempio che cito sempre a tal proposito è Incontri ravvicinati del terzo tipo (qui per l’intervista a Richard Dreyfuss) dove l’anello di congiunzione linguistico tra l’umanità e gli extraterrestri è dato da una melodia sonora. In questo senso noi esploriamo in modo esplicito questo aspetto a 360°.
Qualche festival d’ispirazione
Oltre a prendere spunto da tutto questo, c’è un festival o una manifestazione (nazionale e non) al quale il festival si ispira?
No, perché quando siamo nati questa era una novità. Quando io ho presentato il progetto era già il 2015 (e poi la prima edizione è del 2016) e contemporaneamente a noi, in Italia, è nato un analogo festival a Torino, il Seeyousound, ma nessuno dei due sapeva dell’altro. Però si tratta di un discorso diverso: loro fanno molto riferimento al documentario musicale che è una tipologia di film che noi trattiamo, ma non è l’unica.
Noi lavoriamo su questo rapporto diretto musica cinema anche da un punto di vista performativo. I primi gruppi musicali, incuriositi soprattutto dalle prime commissioni che fece il museo del cinema di Torino, cominciarono a prendere alcuni film muti e musicarli facendo in modo che ciò diventasse una performance globale. Questa è una combinazione del cinema in quanto spettacolo dal vivo con musiche in quanto spettacolo dal vivo. Per noi la sonorizzazione è un “cine concerto“. Ed è stata una problematica per noi in questo periodo, quando ancora non si sapeva se saremmo riusciti a fare il festival. Avevamo il problema per quanto riguarda la realizzazione perché non riesce in streaming.
In questa direzione, quest’anno, proponiamo L’inferno del 1911 musicato dal duo OvO. Cerchiamo, quindi, di mostrare proprio operazioni di questo genere: abbiamo un film muto e un gruppo dal vivo (su tutti i generi) e li uniamo. Da questo punto di vista non abbiamo mai avuto un modello di riferimento perché non c’era. Noi abbiamo fondato il festival perché probabilmente un’idea del genere era nell’aria, ma non era ancora stata concretizzata.
La selezione del programma
Come vengono selezionati i titoli del SoundScreen Film Festival? Siete influenzati anche dall’attualità e da ciò che ci circonda anche magari per aiutare a far riflettere su determinate tematiche?
Dipende, ma non necessariamente. Con i documentari spesso questo accade perché sono legati al tema che affrontano, ma con altri generi no. Noi, ad esempio, facciamo anche fiction e animazione, abbiamo anche dark comedy. Per rispondere alla domanda sicuramente non scansiamo il tema politico. Quest’anno è stato complicato perché non abbiamo creato più di tanto dal punto di vista degli omaggi ai musicisti. Abbiamo dedicato tutte le energie ai film nuovi in concorso e alle sonorizzazioni dal vivo piuttosto che alle retrospettive.
Sappiamo che a Ravenna è l’anniversario della morte di Dante e, quindi, faremo L’inferno. Poi è anche il centenario della nascita di Fellini e Sordie l’omaggio sarà con I vitelloni. Ma non ci saranno retrospettive particolari come nelle scorse edizioni. Faremo anche qualcosa in replica online. E anche per gli ospiti quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, non è stato facile, soprattutto per quanto riguarda ospiti stranieri.
Qual è, secondo il direttore artistico Albert Bucci, il pubblico al quale si rivolge il festival?
In realtà è un pubblico abbastanza trasversale perché dipende anche dal momento particolare. In linea di massima si parla della fascia dai 18 ai 65 anni. Ad esempio tutti gli anni, in qualche modo, troviamo sempre un film sul rap. Ma riusciamo sempre a proporre anche dei classici che fanno sì che vengano anche i più anziani. Ma sono soprattutto le sonorizzazioni dal vivo ad essere mescolate come pubblico (dall’universitario al pensionato). Quindi si può dire che il pubblico è molto eterogeneo in generale. Si pensa sempre molto ai giovani, ma, come programmazione, siamo molto inclusivi. Certamente partiamo dal presupposto che la musica ha un target più giovane di altri, ma questo non significa che non possano esserci anche altre fasce d’età. Il pubblico è l’unica cosa per la quale posso dire che siamo un festival generalista.
Se Albert Bucci, in quanto direttore artistico, dovesse accompagnare lo spettatore all’interno del festival quali film consiglierebbe?
In maniera democratica posso dire che Albert Bucci accompagnerà a tutte le sonorizzazioni. Per quanto riguarda i film in concorso dovrei fare delle scelte dure e radicali. Certamente consiglierei di venire a vedere i film che non sembrano immediatamente relazionati alla musica perché sono sempre molto sorprendenti. Anche se è un film d’animazione o anche se è un film ucraino o cubano è comunque da vedere. Noi facciamo 27 anteprime con 18 paesi rappresentati. E di questi 18 paesi 12 sono nazioni di cui non si conosce il cinema. Quindi mi sentirei di dare come consiglio il fatto di non avere paura di vedere che un film è fatto in un altro luogo perché potrà sorprendere perché è ironico, surreale. Non ci sono film indigeribili. E ognuno di loro se è presente è perché ha delle qualità e un livello di fruizione non banale.
Come si articola il SoundScreen Film Festival? Oltre alle proiezioni dei film in concorso sono previsti eventi speciali o ospiti particolari?
Come ospiti quest’anno abbiamo Massimo Zamboni, protagonista di un documentario che documenta il suo secondo viaggio in Mongolia, e poi abbiamo Filippo Vendemmiati, il giornalista regista noto per il suo documentario sull’omicidio di Federico Aldrovandi a Ferrara, che presenta il suo documentario sul Canzoniere delle Lame. E poi come ospiti abbiamo naturalmente tutti i musicisti che suoneranno dal vivo. Abbiamo già citato gli OvO per L’inferno; poi ci saranno Paolo Spaccamonti e Ramon Moro per musicare Vampyr; il Nosferatu sarà musicato dal gruppo di Bologna Earthsete poi una serata dedicata alle sonorizzazioni del cinema d’avanguardia e avremo i Kyokyokyoche musicheranno due corti d’avanguardia femminile e Alessandro Baris che sonorizza dal vivo La jetée di Chris Marker, girato come un fotoromanzo.
Appuntamento, quindi, a sabato 26 settembre con Albert Bucci per l’inizio del SoundScreen Film Festival che durerà fino a sabato 3 ottobre!
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