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‘Spaccapietre’ con Salvatore Esposito: parliamo di caporalato!

Salvatore Esposito in un dramma che scava nel rapporto padre-figlio. Su Sky

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Copyright Foto di copertina Kash Gabriele Torsello

Spaccapietre di Gianluca e Massimiliano De Serio, l’unico film italiano nella selezione ufficiale della 17° edizione della Giornata degli Autori alla 77° Mostra di Arte cinematografica di Venezia, arriva su Sky.

Spaccapietre  è sbarcato su RaiPlay. Vi basterà iscrivervi gratuitamente per vederlo!

I temi e la trama

La pellicola affronta il tema del caporalato nelle campagne pugliesi.

Dopo la morte della moglie Angela (Antonella Carone), Giuseppe (Salvatore Esposito) si ritrova solo con il figlio Antonio (Samuele Carrino) senza lavoro e denaro per vivere.

Il dramma del caporalato secondo i fratelli De Serio

Nella situazione drammatica di una parte di popolazione che non ha il minimo di sussistenza, il cinema italiano di questi ultimi anni ha affrontato sempre più il tema della disoccupazione e della mancanza di opportunità per una vita decorosa. Il lavoro in qualche modo è il mezzo per una certa realizzazione personale.

I fratelli torinesi De Serio, documentaristi e artisti, al loro secondo lungometraggio, scrivono con una storia spietata e lucida sulle condizioni dei braccianti agricoli sottoposti alle angherie e soprusi dei proprietari terrieri. Il duo registico crea una commistione tra fatti di cronaca che riempiono i notiziari e ricordi d’infanzia del nonno paterno.

Giuseppe ha subito un incidente nella cava dove operava come spaccapietre e la moglie è obbligata dalla situazione contingente a lavorare nei campi. Muore d’infarto per la fatica e lui è costretto a prenderne il posto per poter sopravvivere e dare da mangiare al figlio che sogna di diventare archeologo.

L’oppressione e la mancanza in Spaccapietre

Se nell’incipit notturno, nella modesta casa dove vivono, si sente la fatica del quotidiano ma, allo stesso tempo, l’amore che sostiene la famiglia, con la scelta di inquadrature strette e primi piani, dopo la morte di Angela, Giuseppe e Antonio diventano figure solitarie immerse in ampie scene. I registi allargano lo sguardo mettendo in scena un paesaggio brullo, assolato e desolato. Periferie decadenti, strade vuote, uomini e donne in fila per prendere il pacco alimentare della sussistenza. Il passaggio all’azienda agricola svela la fatica e l’oppressione di un sottoproletariato agricolo. Giuseppe vive in una baraccopoli ai suoi margini, insieme alla varia umanità di immigrati extracomunitari, pagati pochi spiccioli dal proprietario e sottoposti a continue vessazioni dei caporali.

La fotografia desaturata dipinge una luce tanto accecante quanto limpida che crea una forma soffocante e opprimente sui personaggi. Da un lato, alcune scelte stilistiche riprendono la lezione pasoliniana – su tutte le inquadrature dei personaggi che camminano solitari su strade sterrate o la macchina da presa che li segue nella baraccapoli che ricorda quella di Accattone. Ma soprattutto i De Serio rielaborano e attualizzano in modo originale un cinema realistico con richiami al cinema fordiano di Furore, pennellando una grande depressione non solo economica, ma anche sociale e umana.

Spaccapietre: l’amore paterno per Gianluca e Massimiliano De Serio

Un cinema sinestetico di corpi e sangue

Salvatore Esposito interpreta Giuseppe lavorando in sottrazione, recitando con l’intensità emotiva di piccoli gesti emananti dal corpo. Del resto, la carnalità della recitazione è un elemento distintivo di Spaccapietre che coinvolge tutti i protagonisti. L’entrata in scena di Rosa (Licia Lanera) sottolinea questo aspetto e la scena del mattatoio dove viene eviscerato un cinghiale, rende materica la visione sprigionando una sinestesia in cui l’olfatto e il tatto appaiono elementi costitutivi delle struttura filmica.

I De Serio riescono con maestria a descrivere l’abisso di questa umanità arrivando al climax della sequenza finale, in uno scoppio di violenza messo in scena con ferocia drammaticità.

E la lunga corsa finale di Antonio e Rosa, che si trasforma in una figura materna sostitutiva, appare come una fuga dalla realtà. Utilizzando l’unico piano sequenza che si vede in Spaccapietre, i De Serio traducono nella forma visiva l’assenza di speranza, la mancanza di prospettive per le generazioni future in una chiusura al nero (un buio sia notturno e sia dell’anima) che la dice lunga della realtà che stiamo vivendo.

Leggi l’intervista di Taxidrivers a Licia Lanera sul film

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