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MOLECOLE: a Venezia 77 la malinconia di Andrea Segre, tra passato e presente

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MOLECOLE è il film di Andrea Segre proiettato in anteprima per la pre-apertura della 77^ Mostra del Cinema di Venezia.

Difficile (o forse no) capire fin dove arriva il caso: l’apertura di Venezia 77 affidata a Molecole di Andrea Segre, un film crepuscolare e malinconico che sembra dare il via ad un’edizione che parte già piena di cicatrici che nessuna mascherina riesce a coprire.

“NON POTEVO IMMAGINARE COSA STAVA PER SUCCEDERE”

Il film è una sorta di bio-doc che raccorda il lockdown del marzo 2020 ad una dolorosa autobiografia di Segre stesso: è la sua voce infatti, onnipresente per tutti i 70’ dell’opera, che ripercorre il passato senza soluzione di continuità, con episodi legati solo dallo spessore del ricordo. Ma d’altronde il regista veneto ci ha da sempre abituato ad una filmografia sommessamente lacerante, attraversata dal valore del ricordo sopra tutto e filtrata da una sensibilità spiccata che riesce a dare forma ai fantasmi del passato: Molecole restituisce allora una Venezia svuotata, spettrale e spaventosa (come neanche Roeg in Don’t Look Now) che aleggia su tutto, ricoprendo come un sudario cose e persone.

La cosa che però colpisce nel profondo nel film è come Segre sia stato capace di intrecciare la più stretta attualità -che se vogliamo è incidentale quanto necessaria- con un racconto particolarmente intimo e sentito, che affronta il rapporto con padre con una sensazione di straniamento adolescenziale quantomai adatta. E se le molecole sono sì quelle del Covid siamo però anche e soprattutto noi, sparsi per il mondo e per le strade alla ricerca e insieme spaventati del contatto, dello scontro: ed è anche e soprattutto lui, Andrea, voce narrante, occhio che osserva e decide, veneziano che si fa migrante a Venezia per vederla con occhi stranieri e restituirla in tutto il suo mistero.

Perché l’altra grande protagonista di Molecole, oltre ad Ulderico Segre (padre del regista), è proprio Venezia, una città che diventa stato d’animo che diventa enigma, che come la forma dell’acqua assume di momento in momento una forma diversa ma uguale. Le immagini sono di repertorio ma provengono anche da stralci di altri suoi progetti: ma insieme contribuiscono quindi a dare appunto forma -e sostanza- alla città: inafferrabile nel suo sentimento, eterna nella sua dolce malinconia.

IL SENSO TRAGICO E PRESENTE DEL RICORDO

In questo senso, a tutti coloro i quali temevano che il Covid potesse dare la stura a progetti uguali a sé stessi, MOLECOLE non è uguale a niente se non al suo autore: Segre infatti non permette quasi mai che il tema prenda il sopravvento, e ricostruisce il suo film declinandolo secondo le sue ossessioni, il suo stile, il suo vissuto, girando un piccolo gioiello pieno di suggestioni che una volta sedimentato prende il contorno di un viaggio nella memoria (personale e storica) che sovrappone e a volte confonde i lineamenti del padre con lo skyline della città, uniti nel mistero, conoscibili forse solo attraverso foto, vecchie clip, testimonianze, lettere, in un continuo cortocircuito tra presente e passato, tra pubblico e privato, senza mai rinunciare ad una confessione privatissima, una messa a nudo sincera e sinceramente carica di emozione.

E mai come in questa occasione, la frase che apre il film (di Alberto Camus, citato anche) è sorprendentemente vicina al senso, al cuore e all’emotività del film: “Dal fondo del mio avvenire / durante tutta questa vita assurda che avevo vissuto / un soffio oscuro risaliva verso di me / Attraverso annate che non erano ancora venute

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