Edoardo Natoli in stop motion con Solitaire. Intervista al regista
Nelle Giornate degli autori torna Edoardo Natoli con un altro cortometraggio d'animazione in stop motion. Dopo il successo del precedente "Secchi" stavolta si parla di due solitudini e del tentativo di reagire ad ogni ostacolo. Ne abbiamo parlato col regista che ha realizzato il lavoro in pieno lockdown.
Da attore, tra televisione e cinema, a registaEdoardo Natoli torna a Venezia con un nuovo cortometraggio. Sempre in stop motion, come il precedente Secchi, anche Solitaireè un film d’animazione, con la particolarità di essere stato realizzato in pieno lockdown.
Presentato nelle Giornate degli autori al 77 festival di Venezia, il cortometraggio di Edoardo Natoli e prodotto dallo stesso è distribuito da Zen Movie.
Com’è nata l’idea di Solitaire?
Com’è nata l’idea di questo corto Solitaire che verrà presentato a Venezia? Nelle note di regia hai affermato che è maturato durante il lockdown, ma c’era già un’idea di base? Oppure hai riadattato la sceneggiatura in relazione al momento che abbiamo vissuto?
In realtà è un piccolo soggetto che avevo scritto anni fa. Non ho riadattato niente, ma purtroppo gli eventi hanno rispecchiato quello che avevo scritto. Io parlavo di questi due vecchetti che, per problemi oggettivi di salute, erano costretti ognuno nelle proprie case senza potersi raggiungere ed era una cosa che io immaginavo per queste persone. Ma quando mi sono ritrovato anche io chiuso in casa mi è tornata in mente questa storia e l’ho sentita molto più vicina. Però era una storia che avevo già scritto tempo prima e mi sono ritrovato a poterla realizzare perché avevo tempo a disposizione, dal momento che tutti ci siamo ritrovati nelle loro condizioni.
Perché hai scelto proprio delle persone anziane come protagonisti? La scelta era vincolata al fatto che dovevano essere in qualche modo “bloccati” in casa?
Io personalmente amo tantissimo le persone anziane e mi piace stare con loro e farmi raccontare perché penso siano una cosa preziosa e, in qualche modo, anche la nostra memoria. Avevo da sempre l’idea di raccontare qualcosa che li riguardasse e soprattutto una storia d’amore tra due anziani. È una fase della vita che mi attira molto partendo dai miei nonni che adesso non ci sono più, ma con cui ho avuto tempo da passare insieme. Secondo me è una fascia di età che trovo interessante e che non è troppo raccontata. Quindi era nell’aria raccontare qualcosa che riguardava questa fascia d’età.
Un grande amore per la stop motion
Con Solitaire sei tornato allo stop motion nonostante non avessi intenzione di riprendere da solo la lavorazione di un progetto del genere dopo l’esperienza di Secchi, il precedente cortometraggio che ha richiesto tempi molto lunghi, e anche perché “costretto” data la situazione. Vedendo l’ottimo risultato hai cambiato idea?
Nel frattempo ho iniziato a lavorare anche per pubblicità e altro e ho sempre avuto dei collaboratori. Il primo corto lo avevo fatto da solo, chiuso dentro casa e ci avevo messo un anno e mezzo. In questi anni ho lavorato tanto, ma con tanti collaboratori e ritrovarmi di nuovo da solo, tranne per piccolissime cose per cui mi sono fatto aiutare appena si è potuti uscire nuovamente, mi spaventava. Però mi sono detto che, visto che tutto il cinema era fermo e io potevo creare qualcosa da solo, dovevo usare quel tempo. Fare da soli un film del genere, sia perché sono una persona socievole, sia per lo sforzo necessario, è ed è stato difficile. Poi è capitato anche in un periodo in cui io non avevo nemmeno l’attrezzatura e, infatti, il corto l’ho girato col telefono, usando quello che avevo dentro casa.
Quali sono gli autori di riferimento di Edoardo Natoli?
C’è qualche autore o qualche opera in particolare alla quale ti ispiri/ti sei ispirato?
A me piace moltissimo tutto quello che è artigianale. Riguardo la stop motion l’imprinting fu sicuramente Nightmare before Christmas. Quindi da Tim Burton a Wes Anderson, ma in questo caso una grande ispirazione è Appuntamento a Belleville e tutta quell’animazione francese un po’ sporca e caricaturale che trovo molto elegante e mi piace molto. Poi Appuntamento a Belleville è pieno di personaggi più anziani e grotteschi che mi attirano molto.
Per questo hai deciso di ambientarlo in Francia?
In realtà è un corto che io ho dedicato a mia mamma che non c’è più e che era sulla sedia a rotelle ed era un po’ un volerle dire che la vita va avanti. Inoltre mia mamma amava molto la Francia, quindi è stata una commistione di cose. Però anche Appuntamento a Belleville ha in qualche modo influito, poi Parigi è anche una città molto romantica e bella visivamente.
In Secchi c’era una voce narrante ad accompagnare la vicenda (quella di Pierfrancesco Favino), qui ti sei affidato completamente alla musica. Come mai?
Anche a seguito dell’esperienza precedente ho visto che si perdeva il gusto delle immagini. Visto che c’è tanto lavoro dietro e visto che parlavamo anche di solitudine e di persone che non hanno modo di parlare con nessuno, mi piaceva il fatto di lasciarli, in qualche modo, nel loro silenzio, senza dover spiegare queste due solitudini. La voce narrante spesso aiuta, ma in questo caso ho pensato fosse meglio osservarli in questo modo.
Lo sviluppo dei personaggi
I personaggi, in quanto disegni, come sono nati? I disegni ho visto sono di Giuseppe Di Maio, ma tu hai comunque dato un’impronta?
Abbiamo fatto tante prove e tentativi prima di arrivare a questi due personaggi. Tra le varie ipotesi mi sono innamorato di questi e siamo andati avanti con loro. Giuseppe Di Maio è un ragazzo con cui collaboro da anni per pubblicità, storyboard di altri lavori e quindi era una cosa che avevamo messo in un cassetto, ma sulla quale avevamo già lavorato parecchio e pensavamo di farlo, ma con degli animatori. Erano comunque prove da mandare ad altri animatori per sviluppare altri disegni. Invece mi sono ritrovato, poi, con due pagine e cinque espressioni. Le ho stampate, colorate con gli acquerelli e ho usato quelle, però era proprio uno studio per poi fare un lavoro come si deve. Io sono comunque contento perché si sente l’artigianalità e a me piace molto lavorare e sudare lavorando. In questi lavori poi il tempo è infinito perché devi pensare ogni singolo movimento e in una giornata riesci a fare solo pochi secondi. Anche le location del film le ho realizzate in casa, sul tavolo, creando dei mini teatrini di posa dove muovevo i personaggi.
Tante tematiche
A prescindere dalla situazione che abbiamo vissuto il film ha anche una valenza universale con più tematiche messe assieme. Dalla vecchiaia, alla solitudine, all’amore.
Quello che vorrei raccontare è che la vita non finisce per forza quando succedono delle cose, ma si può reagire e ci si può reinventare in ogni fase della vita anche con impedimenti e ostacoli che possono sembrare oggettivi. Mi piacerebbe trovare sempre la forza di reagire che è un po’ quello che cerco di fare io, come in questo caso, essendo chiuso in casa. In Solitairesi tratta di due solitudini che potrebbero rimanere tali, ma che in qualche modo decidono di cambiare. In questo caso è la donna che decide e prende in mano la situazione. Mi piace pensare che quando si incontrano degli ostacoli bisogna usare le proprie energie per superarli, anche quando sembrano insuperabili.
Anche per questo hai scelto solo due personaggi (solo in un momento appare una terza figura, quella della fioraia) perché la storia ruota attorno a due persone?
Sì, la storia ruota attorno a due solitudini che si uniscono e quindi diventano una solitudine, ma fatta da una non più solitudine.
A tal proposito è geniale l’idea del titolo modificato alla fine con l’aggiunta di una “s” plurale.
Ci tengo molto perché sono due solitudine che ne fanno due, ma alla fine non è più una solitudine e mi piace pensare che adesso loro due vivano insieme e si supportino a vicenda.
Animazione tradizionale o stop motion?
Vista la tua passione per lo stop motion hai mai pensato ad un’animazione “tradizionale”?
Lo avrei fatto con questo corto se avessi portato in porto l’idea che avevo all’inizio, cioè iniziare con un disegnatore a creare dei bozzetti e poi passare a dei professionisti. Pensavo anche di far fare l’animazione all’estero. Poi, però, solo perché mi sono trovato da solo in casa ho provato a fare autonomamente. A me lavorare in gruppo piace e piacerebbe molto, quindi se arrivasse un produttore con una proposta per qualcosa di più sarei felice.
Al di là della tecnica che è la stessa secondo te c’è qualcosa in comune tra Secchi e Solitaire, una sorta di filo conduttore?
Secondo me c’è sicuramente il prendere con ironia la vita. A me piace molto giocare con il grottesco e lavorare sull’ironia perché credo non ci si debba mai prendere troppo sul serio. Però anche il raccontare persone sole che hanno tante realtà da condividere e che hanno solo voglia di trovare le persone giuste con cui condividere esperienze. In Secchi erano tre ragazzini soli che lottavano per essere i più bravi della classe, ma alla fine avevano solo bisogno di conoscere altre persone per scoprire che quelle energie potevano usarle per altro.
Un altro filo conduttore è sicuramente Venezia, dove era stato presentato anche l’altro corto. C’è un legame ormai con il festival?
Un bel filo conduttore. Io ormai vengo al festival da tantissimi anni come spettatore. Quando posso vengo sempre e cerco di vedere 5 film al giorno. Venirci sia come attore che come regista è veramente bello. Esserci con un qualcosa di realizzato da me è impagabile. È un’emozione incredibile perché nasco come spettatore di Venezia e pensare che ci saranno persone che si metteranno in fila per vedere qualcosa di mio è emozionante. Un sogno che si realizza.
Chi è Edoardo Natoli attore?
Oltre a questi cortometraggi, però, Edoardo Natoli nasce come attore.
Sì, ma più che altro nasco con l’amore per il cinema. Ho iniziato a lavorare a 15 anni e la mia passione mi ha portato a lavorare sui set fin da subito perché sono abbastanza pratico e all’epoca, a quell’età, sapevo che l’unica cosa che potevo fare per essere sul set era fare l’attore. Nasco come attore più che altro per la volontà di voler stare sul set e vedere come lavoravano i registi. Da lì ho fatto anche l’assistente di registi che ammiravo. Infatti mi sono capitati dei momenti in cui finivo un film da protagonista e il giorno dopo ero sul set di un altro film a portare caffè a dei colleghi per la fame di vedere e sapere come si arriva a certe cose. Amo i set e la magia che si crea e amo vedere come si arriva a quei risultati. Mi piace fare l’attore, però è proprio la voglia di vedere come si fa, come si raccontano le storie che mi spinge a fare quello che faccio.
Ci sono dei progetti futuri, sia come regista che come attore?
Come regista e sceneggiatore sto scrivendo alcune cose. Ho scritto un film con un regista che ha vinto due anni fa il Nastro d’Argento e adesso fa la sua opera prima, prodotta dalla Kavacdi Marco Bellocchio. Si chiamerà Milosc ed è una storia d’amore che si trasforma in un incubo. Quest’anno loro hanno vinto il David di Donatello come miglior produzione, quindi è un progetto a cui teniamo molto. Nicola Sorcinelli sarà il regista. E questo è il primo lungometraggio che ho scritto che diventerà un film. Speriamo che Venezia smuova un po’ le acque.