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Cosa resta della rivoluzione: Commedia brillante per chi vuole cambiare il mondo

Alla sua prima regia, l’attrice e sceneggiatrice Judith Davis ci regala una deliziosa commedia, Cosa resta della rivoluzione. Per farci riflettere, sorridendo, sull’impegno politico, oggi più che mai necessario

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Cosa resta della rivoluzione esce in sala il 27 agosto, ma è prevista per stasera (12 agosto) un’ anteprima all’Arianteo di Milano

Il film d’esordio alla regia dell’attrice e sceneggiatrice francese Judith Davis, Tout ce qu’il me reste de la révolution, distribuito da Wanted, è stato realizzato da Agat Films&Cie di Robert Guediguian, produttori anche de  Il giovane Karl Marx.

È una deliziosa commedia che affronta il tema dell’ impegno politico com’ era una volta,  ora non più proponibile. Almeno non con gli stessi schemi, non con gli stessi modelli. Il film è credibile, nei toni misurati e negli ambienti, negli effetti umoristici ed emozionali

Trama di Cosa resta della rivoluzione

Il ruolo della protagonista è affidato alla stessa regista  Judith Davis (Viva la libertà). Angèle è una  giovane donna laureata in urbanistica che vive nell’utopia di cambiare il mondo. Una militanza, la sua,  ispirata a quella dei genitori, che nel lontano ’68 hanno vissuto sulle barricate del maggio francese.

Poco importa se il padre finora non ha realizzato granché e la madre ha abbandonato  città e  lotta politica, insieme.  Più imperdonabile è la sorella per aver scelto una famiglia borghese, un lavoro negli affari, e un marito a dir poco discutibile,  tagliatore di teste, che difende nevroticamente il suo ruolo per soffocare i rimorsi.

Angèle, nata in una società che non lascia posto alle ideologie, è molto triste, molto arrabbiata, e indaffarata. Tanto da non trovare il tempo per una possibile relazione sentimentale. Riuscirà il tenero Said (Malik Zidi) a trovare un posto nel suo cuore? E la nostra eroina, alla fine, lo accoglierà?

cosa resta della rivoluzione

Recensione di Cosa resta della rivoluzione

Nell’incipit del film, conosciamo subito Angèle che, come parlasse tra sè, ci rende complici del suo sogno: costruire spazi comuni dove la gente possa stare bene insieme. La conosciamo ancora di più nella scena successiva. Sta fronteggiando due persone che,  per non assumerla, usano parole melliflue, quasi a convincerla che la flessibilità sia un bene. La invitano a mettersi in gioco, ed è quello che lei d’ora in poi farà,  dedicandosi a un progetto tutto suo.

Ma solo dopo la sfuriata liberatoria contro le banalità sfoderate dai due, tipo: “Così va il mondo”,  Al colmo  della rabbia, Angèle  urla la cosa per lei più offensiva: “Mi fate pensare entrambi a Michael Jackson”. Quasi un’evocazione del morettiano “Ve lo meritate Alberto Sordi”.

Un simbolo, come fosse il male dei mali, che riassume ciò che si detesta e contro cui accanirsi.  Certo dev’essere ben scomodo vivere nel momento sbagliato e sentirsi impotenti per modificarlo!

Lo spiega molto bene la stessa regista: «Cosa resta della rivoluzione è nato dal mio desiderio di confrontarmi per l’ennesima volta con l’ingombrante totem rappresentato dal maggio del ‘68, ingombrante perché ogni volta che nasce un movimento di contestazione, sembra lo si debba sempre per forza confrontare con il maggio francese. Come se non fossimo autorizzati a reinventare modelli di impegno politico perché sembrano sempre al di sotto di quelli nati in quel periodo».

La rivoluzione del film,  psicologica e politica

Ma la rigidità di Angèle consiste anche nel non riuscire a emanciparsi dall’eredità genitoriale. Perché c’è stato un tempo in cui la famiglia era unita, prima ancora che gli ideali sbiadissero, o venissero rinnegati.

Intanto, lei e il suo collettivo (anche il film nasce da un collettivo di attori) non riescono a definire gli elementi sui quali fondare una teoria che li sostenga. Nella riproduzione goffa delle assemblee anni Settanta, non trovano le parole che possano trasformarsi in azioni. Si perdono  così in astrattismi divertenti per noi (molto meno per loro). Quando non vanno a recitare poesie di Whitman in banca o non manifestano per strada: Angèles, l’amica Lèonor (Claire Dumas) e il gruppo di reduci attivisti, sempre alla ricerca di battaglie inedite.

Lei vuole essere compagna a ogni respiro, ma deve trovare qualcosa di nuovo per cui combattere.  E dire che di lotte reali ce ne sarebbero, anche tante. Lo stesso anno in cui è stato prodotto  Cosa resta della rivoluzione (2018) esce in Francia il film di Brizé En guerre, e tre anni prima La legge del mercato.

Ci sarebbero appunto i diritti degli operai, e tante altre cause civili, sociali, politiche. Perché no, l’immigrazione? È sempre del 2018 Benvenuti a casa mia(di Philippe de Chauveron),  commedia che gioca ancora di più con gli stereotipi della sinistra, e della destra, amplificandoli.

Cosa resta della rivoluzione invece ha uno stile  tutto suo. Non cerca la risata con  l’equivoco della classica commedia. È un sorriso malinconico quello dello spettatore. Che assiste al bisogno di re-inventarsi, quando si è convinti che i padri hanno arraffato tutto, lasciando solo le briciole e a volte nemmeno quelle.

Parlare ancora del Sessantotto

Dal Sessantotto è passato davvero tanto tempo e ci si è parlati addosso abbastanza. Angèle lo investe di odio e amore, gli stessi della regista, che sceglie come sottotitolo del suo film “Commedia brillante per chi vuole cambiare il mondo”.

L’impaccio dei personaggi impegnati e confusi infatti non scade mai nel ridicolo, perché il film non vuole essere uno scimmiottamento dei tempi andati, bensì stimolo all’azione, oggi, se pure tra mille difficoltà. E la ricerca ostinata  delle parole per orientarla esprime tutta la sua necessità.

Amo questi posti indefiniti. Creano possibilità

Parigi vista dagli occhi di questa giovane urbanista alternativa non è quella solita dei bistrot, dei giardini di Lussemburgo, delle rive del canale Saint Martin. Posti indefiniti che creano possibilità, piuttosto, come dice lei stessa. I murales della periferia, le rotaie abbandonate, o i grandi edifici a vetri, comuni alle grandi città. Per dirci che i suoi problemi superano i confini parigini e francesi. Appartengono a tutta la generazione, europea e internazionale, che non riesce a recuperare il ritardo di cui non è responsabile.

Gli spazi sono il più delle volte resi con una bella luce naturale. Poche le scene al buio. A farci sperare in una conclusione pacificatoria della vicenda. Quasi un diario, a dire il vero, dei giorni spesi alla ricerca di una  meritata affermazione.

Verso il dramma, come soluzione delle contraddizioni

Il film prende poi una piega drammatica,  l’unico modo per sciogliere le ansie e le contraddizioni nell’anima di Angèle. Nel farsi più intimo, sembrerebbe perdere la sua leggerezza. Ma l’incontro intenso tra donne, lontane dalla città, è il vero sollievo della cara Angèle e nostro.

L’autenticità tutta al femminile forse non basta per salvare il mondo, ma  almeno qui ci fa respirare un po’. E se ci venisse  da dire, sconfortati, che della rivoluzione non c’è più nulla, l’empatia nelle relazioni, e la capacità di esprimerla,   confermano che qualcosa invece è rimasto.

Cosa resta della rivoluzione

  • Anno: 2018
  • Durata: 88 minuti
  • Distribuzione: Wanted
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Judith Davis
  • Data di uscita: 27-August-2020

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