Saturday night fever venne trasmesso il 14 dicembre al Chinese Theatre di Los Angeles; due giorni dopo nelle sale americane. Noi ne abbiamo scritto a proposito del suo inserimento nella piattaforma di Netlix.
Un’altra occasione, questo compleanno, per ripensare al film come fenomeno di costume, e non solo. Alla nostra riflessione di due anni fa abbiamo dato il titolo di Tony Manero non è di destra, né di sinistra. Ecco come un film diventa un cult. E abbiamo detto che valeva la pena rivalutarlo, soprattutto da parte di chi, allora, l’ha abbondantemente snobbato come prodotto di serie B.
Riportiamo di seguito l’articolo del 2020
La sintesi del film è tutta nella camminata iniziale di John Travolta: prima i piedi che avanzano nelle scarpe rosse di vernice. Poi la sua andatura molleggiata a figura intera verso la macchina da presa. E poi ancora, il taglio obliquo dell’inquadratura dal basso; la sua camicia rossa di poliestere e la catenina d’oro. Come l’abbiamo guardato dall’alto in basso, povero Tony Manero!
Saturday night fever ed Ecce Bombo, due diverse risposte al disagio
Sono passati sette anni da Fragole e sangue. In Italia La febbre del sabato sera esce nel 1978, l’anno del rapimento Moro, e del morettiano Esco faccio cose vedo gente. In scena due personaggi a dir poco opposti. Tony Manero, ignaro delle proteste giovanili e delle lotte per i diritti civili. E Michele Apicella, che farà crogiolare un’intera generazione nell’irrimediabile nostalgia di un tempo andato per sempre. Il primo cerca il suo posto nel mondo facendosi notare sulla pista da ballo, il secondo sembra che abbia smesso di cercarlo, il proprio posto, nella paranoia sua e degli altri come lui: mi si nota di più se vengo o non vengo.
L’amico di Michele, Mirko, si chiede Ma quando vedremo il sole? E l’ amico di Tony dice che questo è un mondo di merda. Nella macchina lanciata a velocità, tra parolacce, rabbie urlate, alcool e anfetamine. In Ecce bombo, invece, l’assoluto ripiegamento su di sé, impedimento totale all’azione.
Nel paradosso, il gruppetto di Nanni Moretti, che ci somigliava di più, mostrava com’eravamo o come stavamo diventando. E invece di fuggire a gambe levate da quel modello, ci siamo cascati in pieno. L’hanno chiamato riflusso, brutta storia come la parola che lo rappresentava. Almeno, Tony, i suoi amici e le sue ragazze ballavano. Una risposta maniacale al disagio, ma non è detto che quella depressiva sia stata migliore.
Saturday Night fever Nessuna comprensione nei confronti di Tony Manero
Avessimo saputo che la disco music nasceva dalle minoranze (portoricane, gay, omosessuali) allora sì, l’avremmo guardato con più benevolenza. Ma eravamo troppo presi dalle catalogazioni, dal definire ciò che era di destra e ciò che era di sinistra. Come Marco Tullio Giordana fa dire a Flavio Bucci in Maledetti vi amerò, film generazionale che più di così non si poteva.
Continuando la parodia di Giordana, potremmo dire che rock e reggae erano di sinistra, la disco music di destra. Intanto, La febbre del sabato sera incassava cento milioni di dollari e la colonna sonora dei Bee Gees raggiungeva i 30 milioni di copie vendute. Motivo in più per prenderne le distanze!
Il pregiudizio nei confronti della discoteca
La discoteca non era luogo adatto a noi e ce ne siamo stupidamente privati. Fino a quando, almeno a Milano, l’apertura di due locali è riuscita ad infrangere il tabù: l’Odissea 2001 prima, (2001 Odyssey è il posto delle performance di Manero), il Rolling Stones poco dopo. Discoteca sì, ma con la musica giusta, mentre la disco rimaneva sempre ai margini, un mondo altro, diverso.
Intanto quella musica tanto disprezzata, da chi voleva l’impegno e solo quello, moltiplica le discoteche ovunque, anche per la presenza del disc jockey in sala, che sostituisce la musica dal vivo. Creando un luogo inedito di aggregazione giovanile, del quale è stata colta solo la superficie.
Era in realtà un fenomeno underground (termine che con la disco pareva un ossimoro). Nasce all’inizio degli anni Settanta dal soul e dal funk, come espressione di disagio, sociale e culturale, e come elemento capace di tenere insieme generi, classi sociali, provenienze geografiche. Proprio contro i pregiudizi (gli stessi che vantavamo di non avere), omofobia, razzismo, sessismo.
Inizialmente il suo pubblico è quello delle comunità italo-americane, di cui Tony è il tipico esempio, e delle latine newyorchesi. Oltre alle comunità gay, tra Fire Island e Manhattan, che non avevano voce nella società americana di allora. Anche dei gruppi afro-americani. L’ abbigliamento delle loro band con i tacchi alti e i colori sgargianti (e i pantaloni rigorosamente a zampa d’elefante) è imitato da numeri sempre più consistenti di giovani.
Vita breve della disco music, che non muore del tutto
Gli anni clou della disco music sono gli ultimi Settanta, e Saturday night fever ne costituisce la consacrazione. Già nel ’79, però, vivrà la sua notte dei lunghi coltelli: la Disco Demolition Night, una vera e propria crociata durante la quale vennero dati alle fiamme migliaia di dischi, a Chicago, nel tentativo di sopprimerla. Atto di vergognosa intolleranza verso un genere che per molti aveva la colpa di essere kitsch e disimpegnato, comunque innocuo. Ma dava fastidio a coloro che le riconoscevano la portata trasgressiva e rivoluzionaria.
In Europa, attraversata da ben altri problemi, erano gli anni di piombo. C’era poco da stare allegri e pavoneggiarsi sulle piste fosforescenti. Mentre qui si oscillava lentamente ai ritmi di Bob Marley (e chi se lo scorda il concerto di Milano, un anno prima della sua morte, con novanta mila spettatori?), la disco terminava, in America, il suo periodo d’oro.
Per continuare comunque sottotraccia, contaminare insospettabili sonorità, diffondersi anche in Italia. Ma il distacco continuava a essere deciso, anche verso i grandi come Donna Summer o Michael Jacson, o gli italiani: Raffaella Carrà, Donatella Rettore, Alan Sorrenti. Tanto insofferenti da non cogliere i contenuti nuovi e controcorrente di alcuni testi musicali.
Saturday night fever, film politicamente scorretto
Saturday night fever, il film della gioventù bruciata degli anni Settanta, visto ora (ma anche allora), diciamolo, è politicamente scorretto, e parecchio. Una spedizione punitiva contro i portoricani; la violenza verbale verso i gay incontrati per strada; la definizione di pollastrelle nei confronti delle ragazze; due stupri, uno consumato a fondo, l’altro evitato per poco. La consapevolezza finale di Tony, quella di essersi creato lui un mondo di merda, frettolosa e poco credibile.
Eppure il film ci aveva divertito, come quando si assiste a realtà così lontane da impedire qualunque identificazione. Come non sapessimo leggere tra le righe. O cogliere, di una storia, aspetti diversi dai linguaggi soliti.
Tony Manero, visto oggi quasi con simpatia
Visto ora Tony Manero fa tenerezza. È un’anima semplice, felice per un aumento di stipendio di soli due dollari e mezzo, nel negozio di vernici in cui lavora e dove si dimostra empatico con i clienti. È il bravo figliolo di una famiglia che oggi si userebbe definire disfunzionale. Proprio a New York, dieci anni prima usciva La pragmatica della comunicazione umana di Watzlawick ma non arrivava di certo al tavolo da pranzo della famiglia Manero, dove volavano schiaffoni, commenti svalutanti e convinte mancanze di rispetto.
Che male c’è se Tony investe tutto se stesso nei sabato sera sulla pista da ballo? Si dà vent’anni per sentirsi più importante, ma ne ha solo diciannove. Gli stessi di Michele Apicella. Due personaggi diversi che, in momenti di crisi, rispondono diversamente ad un unico, difficile, processo individuativo. Travoltismo e morettismo, poi, hanno fatto il resto.
Ancora nel 1994, sedici anni dopo, Giorgio Gaber aveva modo di dire, estremizzando, che “Tutti i film di adesso sono di destra, ma se annoiano sono di sinistra”. Ne abbiamo sorriso, ma forse sarebbe il caso di ripensare al superamento definitivo delle rigidità di allora. Soprattutto in questo presente confuso, in cui le categorie prive di spessore dividono più che mai.
Per approfondire il tema della disco music e sulla possibilità di uno sguardo più sereno, è consigliabile la lettura del libro La storia della disco music di Andrea Bufalini e Giovanni Savastano, con l’introduzione di Gloria Gaynor e le postfazioni di Mario Biondi e Ivan Cattaneo.