Il Leone d’oro, istituito a metà degli anni ‘40 del Novecento, è stato attribuito a film di grande valore artistico e molti sono disponibili gratuitamente su YouTube.
La mostra internazionale d’arte cinematografica ha una lunga tradizione. Dopo l’Oscar, è la più antica manifestazione cinematografica al mondo. La prima edizione si tenne nel mese di agosto del lontano 1932, con una rassegna cinematografica non competitiva.
Nelle successive edizione, fino al 1942, veniva assegnata La Coppa Mussolini, attribuita al miglior film italiano e al miglior film straniero.
La Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e il suo prestigioso Leone d’oro, sono stati anche terreno di scontro estetico e politico. Come avvenne sul finire degli anni ‘60; quando un folto gruppo di autori, tra cui Pier Paolo Pasolini, protestarono per ottenere un rinnovamento del regolamento.
Ma il festival della città lagunare è stato capace di innovarsi e rinnovare la produzione cinematografica, in Italia e non solo. E quest’anno, nonostante le innumerevoli difficoltà, siamo giunti alla 77° edizione, che si terrà dal 2 al 12 settembre, con la giuria presieduta da Cate Blanchett.
Una delle direzione, che più ha rinnovato il festival, facendo storcere il naso a molte personalità del mondo dello spettacolo, è stata quella di Gillo Pontecorvo.
Il regista, che vinse il Leone d’oro, con La battaglia di Algerinel 1966; ha diretto la Mostra internazionale d’arte cinematografica, dal 1992 al 1996.
La sua direzione pose particolare interesse nei confronti dei giovani cineasti e un occhio di riguardo fu rivolto alle cinematografie dell’est.
Prima della pioggia
Un film, interessantissimo, che ottenne Il Leone d’oro, durante la sua direzione è stato Prima della pioggia (1994), diretto da Milčo Mančevski.
Il film è diviso in tre episodi. Il primo, intitolato Parole; ha come protagonista Kiril (Gregoire Colin), un giovane monaco, che da anni ha deciso di fare il voto del silenzio.
Una notte, Zamira (Labina Mitevska), una ragazza albanese, si nasconde nella cella del giovane monaco, che dopo un momento di esitazione, decide di aiutarla. Il giorno dopo, un gruppo di scalmanati, irrompe nel monastero alla ricerca di Zamira, accusata di aver ucciso un loro parente. La ragazza riesce a nascondersi, ma viene scoperta dal padre abate, che è costretto ad allontanare Kiril e Zamira.
Nel secondo episodio, Volti; è protagonista Anne (Katrin Cartlidge), che lavora per un importante agenzia di stampa londinese. La sua vita privata è incerta e combattuta, tra Nik, suo marito e Aleksander (Rade Serbedzija), un famoso fotografo di guerra.
Fotografie, è il terzo e ultimo episodio del film, e il protagonista è lo stesso Aleksander, lacerato dalle guerre che ha vissuto e documentato con il suo obiettivo. In cerca pace e serenità, torna nel suo villaggio nativo, in Macedonia. Ma anche qui, scopre che la guerra e l’odio razziale hanno stravolto la sua terra. Hana (Silvja Stojanovska), una giovane donna albanese, che vive in un villaggio vicino, chiede ad Aleksander di proteggere sua figlia, accusata ingiustamente di omicidio. Il fotografo riesce a salvare la ragazza ma viene ucciso.
Questa pellicola ha un notevole valore artistico. Apprezzabile è la fotografia, ma interessante è soprattutto la costruzione narrativa del film. I tre episodi, si intrecciano tra loro in maniera atemporale, integrando la storia da diversi punti di vista. Operazione molto diffusa, in una certa cinematografia degli anni ‘90, conosciuta soprattutto per merito di Quentin Tarantino che la usa in Pulp Fiction (1994). Ma è utilizzata anche dal regista polacco Krzysztof Kieslowski in Il film blu, vincitore del Leone d’oro nel 1993.
Prima della pioggia, inoltre, ha il merito di affrontare il tema della guerra nei Balcani, ultimo conflitto che ha colpito il vecchio continente. Una guerra durata quasi un decennio, con più di centomila morti, che ha visto, come è raccontato dal film, lo scontro violento tra diverse etnie.
Così ridevano
Il Leone d’oro, sul finire degli anni ‘90, viene vinto da Così ridevano (1998), diretto da Gianni Amelio.
La storia si sviluppa dal 1958 al 1964, ed è ambientata nella città di Torino.
Protagonisti del film sono due fratelli di origine siciliana, Giovanni (Enrico Lo Verso) e Pietro (Francesco Giuffrida). Giovanni, ingenuo e analfabeta, decide di raggiungere Pietro, che studia a Torino per diventare maestro. Quest’ultimo in realtà non è uno studente diligente, come vuol far credere a suo fratello, disposto a fare qualsiasi sacrificio, per il suo avvenire. I due fratelli vivono varie disavventure. Pietro, consapevole dei sacrifici del fratello maggiore, decide di prendersi la colpa di un omicidio, commesso da Giovanni e finisce il riformatorio.
Così ridevanoè diviso in capitoli, uno per ogni anno raccontato. Il film risulta a distanza di anni molto attuale. La prima parte del lungometraggio ha come tema centrale l’immigrazione. Quando a cavallo tra gli anni ‘50 e e ‘60, tantissimi giovani del sud Italia; siciliani, come i due protagonisti, ma anche pugliesi, lucani e napoletani, erano costretti ad abbandonare la propria terra e allo sbaraglio cercavano fortuna nel nord Italia. Gianni Amelio, non tralascia di raccontare le tante azioni discriminatorie che i meridionali dovettero subire. Così ridevano, nei capitoli successivi, senza perdere di fascino, si raccoglie in una dimensione più intima, affrontando il rapporto dei due fratelli.
L’amore di Giovanni nei confronti di Pietro è un amore ossessivo, che gli impedisce di vedere la realtà. Giovanni si pone sempre in una posizione d’inferiorità. Si vergogna della sua ignoranza, temendo che possa nuocere a suo fratello Pietro. Ma i due protagonisti subiscono una vera e propria metamorfosi. Se Giovanni, inizialmente, appare buono e sincero, al contrario di Pietro, invece, arrogante e presuntuoso; il finale ribalta il rapporto tra i fratelli. E Giovanni accetta, senza rimorsi, di far pagare a Pietro un delitto commesso da lui.
Vaghe stelle dell’Orsa . . .
Il rapporto tra fratelli, anche se con risvolti diametralmente opposti, è centrale anche in Vaghe stelle dell’Orsa… diretto da Luchino Visconti e vincitore del Leone d’oro nel 1965.
Sandra (Claudia Cardinale) torna a Volterra, sua città natale, in compagnia di suo marito Andrew (Micheal Creig). Sandra ha l’occasione di rivedere Gianni (Jean Sorel), suo fratello.
Sandra e Gianni, da sempre hanno un pessimo rapporto con la madre e il patrigno, sospettati di aver denunciato il padre ai nazisti. In un incontro con tutta la famiglia, il patrigno di Sandra e Gianni, li accusa di spargere solo menzogne, per coprire il loro rapporto incestuoso. Il tutto sfocia in una furiosa lite. Gianni distrugge il romanzo che stava scrivendo e si suicida, durante una cerimonia pubblica in onore del padre.
Vaghe stelle dell’Orsa… è un film molto complesso e affronta un tema che scandalizza, come quello dell’incesto. Scandalizzare è l’obiettivo, che molto probabilmente, si è posto Visconti realizzando questo film. Senza dubbio è l’obiettivo di Gianni, che ha deciso di raccontare il rapporto incestuoso, con sua sorella Sandra, in un romanzo, soddisfacendo la sua vanità, non curante delle critiche di una società bigotta.
Questa pellicola di Visconti, ha un’atmosfera asfissiante, resa da una fotografia in bianco e nero spettrale. Il titolo del film, rimanda al primo verso de Le ricordanze, un canto di Giacomo Leopardi. Ma se per il poeta di Recanati, il canto aveva valore idilliaco; in Visconti acquista un significato opposto. Le ricordanze, vissute da Sandra e Gianni, si presentano come ossessioni. E se Sandra le vive con vergogna, sentendo il bisogno di cancellarle, Gianni sente il bisogno di renderle pubbliche, come se volesse liberarsi di un peso, che lo porterà al suicidio.
Il generale della Rovere
Un altro film vincitore del Leone d’oro è Il generale della Rovere(1959), diretto da Roberto Rossellini e interpretato da Vittorio De Sica.
Il film è ambientato a Genova, durante l’occupazione nazista. Emanuele Bardone (Vittorio De Sica), un truffatore, amante del gioco e delle belle donne, con la complicità di un membro delle S.S. estorce denaro ai familiari dei detenuti politici. Un giorno viene scoperto e arrestato, ma per alleggerire la sua posizione, decide di collaborare con il colonnello Muller (Hannes Messemer).
Bardone assume l’identità del generale Giovanni Braccioforte della Rovere, capo della resistenza.
Il falso generale viene internato nel braccio politico del carcere di San Vittore, con l’incarico di scoprire la vera identità di Fabrizio, un capo partigiano. Vivendo la realtà carceraria e avendo rapporti con i detenuti, il finto generale inizia a credere realmente nei valori della resistenza, fino al punto di accettare la condanna a morte, come se fosse il vero generale Della Rovere.
Magistrale è l’interpretazione drammatica di Vittorio De Sica, che con questo film dimostra di essere un attore a tutto tondo, scrollandosi di dosso il personaggio sbarazzino del maresciallo Antonio Carotenuto, interpretato nei vari Pane amore e fantasia, Pane amore e gelosiae Pane amore e…
La pellicola ha un cast d’eccezione. De Sica non è il solo grande attore ad interpretare questo film, al suo fianco ci sono attrice del calibro di Sandra Milo e Giovanna Ralli.
E poi c’è, ovviamente, la regia di un grande maestro come Roberto Rossellini, che con uno stile sobrio, senza mai cadere in virtuosismi, riesce a sottolineare i vari momenti drammatici. Come la tortura dei detenuti e soprattutto la fucilazione del finto generale della Rovere.
Le mani sulla città
Il vincitore del Leone d’oro nel 1963 è il film di Francesco Rosi, Le mani sulla città.
La storia è ambientata a Napoli e racconta le vicende politiche e non solo di un consigliere comunale napoletano, Eduardo Nottola (militante di un partito di destra) e costruttore edile è costretto a ritirarsi dalla vita politica per il crollo di una palazzina da lui costruita. Cambiato partito (si sposta al centro) riesce a farsi eleggere di nuovo e ad avviare un gigantesco progetto speculativo.
Senza dubbio il tema principale deLe mani sulla città è la speculazione edilizia che interessò Napoli già alla fine del secondo conflitto mondiale e raggiunse il suo culmine nel 1960 con i governi cittadini guidati dal monarchico Achille Lauro. Ma il regista sviluppa anche altri temi, come la moralità politica. Le mani sulla cittàè sicuramente un documento reale, nato da fatti di cronaca che per il regista avevano il potere di smuovere la coscienza civica dello spettatore. Francesco Rosi ritiene che il principale obiettivo del cinema è la conoscenza. Il suo è senza dubbio un cinema di denuncia.
L’uomo del sud
Il primo film ad aggiudicarsi il Leone d’oro, nel 1946, è stato L’uomo del sud, diretto da Jean Renoir.
Il film è ambientato in Texas e ha come protagonista la famiglia Tucker, che lavora in una piantagione di cotone. Sam Tucker (Zachary Scott), il capofamiglia, decide di chiedere al suo padrone il permesso di lavorare un appezzamento da tempo abbandonato, ma molto fertile. La famiglia vive tante disavventura, come la malattia di un figlio, ma con un intervento di un vecchio amico e l’amore famigliare i Tucker ottengono la serenità e il benessere.
L’uomo del sud è il terzo film che il regista francese realizza in America. La pellicola traspira di fatica e sacrifici nei campi. Jean Renoir, non rinuncia alle sue tesi socialiste e questo film ne è una prova. Il regista riesce ad esprimere il suo sogno utopico: l’unione di tutti i lavoratori; operai e contadini.
Perfetto è l’equilibrio che si crea tra momenti comici, come il matrimonio in città; e altri invece drammatici, come la piena del fiume.
Dal teatro di Shakespeare
A vincere il Leone d’oro sono stati anche film, interamente tratte dal teatro di William Shakespeare.
È il caso di Amleto(1948), diretto, interpretato e prodotto da Laurence Oliver; e Giulietta e Romeo (1954), diretto da Renato Castellani. I due film ripercorrono, più o meno fedelmente, le opere del grande drammaturgo. Ma mentre la pellicola di Catellano, ha una regia molto teatrale, quella di Oliver è un’opera prettamente cinematografica; con una fotografia in bianco e nero molto suggestiva e una profondità di campo, tipica del cinema d’autore.
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