«”The Green hornet” è un film che si presta a letture di più genere:può essere un rocambolesco blockbuster, ma anche un’intima riflessione su Hollywood e sui miti da esso stesso generati».
Esce nelle sale il 28 gennaio The Green hornet, ultima opera del francese naturalizzato statunitense Michel Gondry. L’opera narra le rocambolesche gesta di Green Hornet (il Calabrone Verde), supereroe in salsa comica che cela l’identità di Britt Reid (Seth Rogen), facoltoso unigenito del magnate dei media di Los Angeles James (Tom Wilkinson). Rimasto orfano, ed erede del capitale paterno, Britt entra casualmente in contatto con il meccanico e faccendiere del padre, Kato (Jay Chou). Per riscattarsi da vite inoperose o insoddisfacenti, i due decideranno di fare qualcosa di utile per la società: combattere il crimine.
The Green hornet nasce come progetto radiofonico e poi cinematografico nell’America rooseveltiana, rispettivamente nel 1936 e poi nel 1940, ad opera di George W. Trendle e Fran Striker. Gli anni ’40 vedono il Calabrone Verde esordire nelle tavole fumettistiche della Holyoke e della Harvey, per tornare all’audiovisivo solo nel 1966-67, quando il telefilm sul supereroe venne programmato dalla ABC, evento che passò alla storia non tanto per le qualità del prodotto quanto per aver lanciato Bruce Lee – nelle vesti di Kato – nel mondo dello spettacolo.
Hollywood è da più di tre decadi che ha iniziato, in maniera sistematica, a riflettere sul ruolo che il cinema ha nella nostra società. Quello che è stato il più importante media del secolo scorso ha creduto bene di investigare le proprie funzioni, limiti, risultati e poteri di persuasione. Gli esempi sono dei più disparati, sia per epoca che per genere cinematografico, da La conversazione (1974) di Francis Ford Coppola fino a Tropic thunder (2008) di Ben Stiller, in un fiume di opere che vede al proprio interno cineasti interrogarsi sul corretto uso del mezzo cinematografico. Uno dei più importanti filoni aderenti a questa sorta di autoanalisi cinematografica è quello che ha interessato i supereroi, archetipi mitici che sul supporto a 24 fotogrammi al secondo hanno fatto la storia, la propaganda e buona parte della dominazione imperialistica e culturale statunitense del ventesimo secolo, e che oggi devono fare i conti con una società profondamente mutata che, con la sua aumentata criticità, ha messo in seria discussione dogmi venerati fatti di poteri soprannaturali, uomini in calzamaglia e animi afferenti tanto imperturbabili quanto perfetti. The Green hornet appartiene dunque a questo genere, che dopo l’11 Settembre 2001, e grazie ad opere capitali in tal senso come Spider-Man (2002) ed altri suoi epigoni, ha restituito imperfezione e verità a quello che era divenuto, e stava ancor più divenendo, un grande fraintendimento globale.
Infatti il Calabrone Verde è, al secolo, Britt Reid, un debosciato che trascorre le giornate a dormire e le notti le impiega a far baldoria, a ubriacarsi, portandosi a letto una donna ogni volta diversa. Ma quando decide di divenire il supereroe della Città degli Angeli, Britt non cambia affatto il suo profilo umano come faceva un tempo Clark Kent che, dismessi gli abiti di reporter mansueto, si trasformava nell’impavido e rispettato Superman. Il Calabrone Verde presenta immutato il mediocre carattere di Britt Reid: rozzo, idiota, insicuro e codardo. La comicità del personaggio gli si autoriflette, per meglio mostrare i limiti che sono sì del Calabrone Verde, ma anche di tutti i supereroi che il cinema ci ha sempre mostrato fino a pochi anni fa, attraverso un occultamento della verità che oggi non può più perpetrarsi. Non vi è eroismo nel Calabrone Verde, ma un capitale immenso gli permette di possedere armi tecnologiche, berline indistruttibili e inesauribili che, alla lunga, gli faranno avere la meglio sul cattivo di turno dal cognome impronunciabile, Chudnofsky (Christoph Waltz). Non vi è neppure moralità o giustezza nel supereroe, e le peripezie che egli compirà per riportare serenità nella città si fondano su scelte discutibili, che infatti saranno fraintese dall’opinione pubblica, facendo passare il Calabrone Verde per l’ennesimo malvivente di strada.
The Green hornet è dunque un film che si presta a letture di più genere: può essere un rocambolesco blockbuster fatto di inseguimenti, esplosioni e comicità irriverente; ma può anche essere una scanzonata eppure intima riflessione sul mondo di Hollywood e sui miti da esso stesso generati. In tal senso, la scelta di Michel Gondry come regista segna senza dubbio la riguardevole riuscita del mix di generi, essendo il francese uno che si è sempre distinto per le sue doti autoriali, narrative e ammaliatorie che tanto piacciono alle major statunitensi, riuscendo a coniugare nella sua filmografia opere disparate come Be kind rewind – gli acchiappa film (2008), l’intimista e inedito in Italia L’épine dans le coeur (2009), e originali narrazioni da Oscar come Eternal sunshine of the spotless mind (2004). Ottimamente sceneggiato – da Evan Goldber e dallo stesso Seth Rogen – The Green hornet è una divertente opera che trova la sua efficacia nel mettere in ridicolo il cliché dei supereroi cinematografici, per una visione 3D ad alto tasso di dinamismo e a rischio nausea.
Emanuele Protano
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