Le 10 donne registe che hanno rivoluzionato il cinema Internazionale e il suo linguaggio
Dagli Stati Uniti all’Italia passando per il Libano e la Danimarca: con uno sguardo internazionale, ecco le migliori registe donne contemporanee che difendono e creano il cinema al femminile
Come le Registe Donne Stanno Riscrivendo la Storia del Cinema
Nonostante il cinema sia sempre stata un’industria più per gli uomini, negli ultimi decenni, le donne rivendicano il loro talento e il ruolo posto nella settima arte. Nascono diversi movimenti tra cui il #MeTooche ha molto aiutato nel gettare le basi di un mondo cinematografico equalitario, ma è ancora troppo poco. La condanna di Weinstein ha acceso i riflettori su una verità che il mondo del cinema conosce da tempo: le donne registe affrontano ostacoli e pregiudizi. Nonostante ciò, il cinema al femminile ha dato vita a opere straordinarie e a punti di vista unici, capaci di arricchire l’intera storia del cinema internazionale.
Mi sono spesso chiesta quanta ricchezza artistica sia andata persa a causa di questa disparità di genere. Per anni, lo sguardo maschile ha dominato l’industria cinematografica, rendendo il cinema un’arte “maschile”, omologata e priva di quella pluralità che solo una reale parità di genere può offrire.
Se gli stereotipi di genere sono facili da individuare, lo è meno cogliere le differenze tra la sensibilità artistica maschile e quella femminile. È una sfida affascinante, che apre nuove prospettive sul talento e sull’interpretazione.
In questo articolo vi porto alla scoperta delle migliori registe donne che stanno rivoluzionando il cinema. Una lista di dieci nomi internazionali, con particolare attenzione a Hollywood, dove le registe donna stanno finalmente conquistando il posto che meritano dietro la macchina da presa.
Kathryn Bigelow: la prima vincitrice di un premio oscar alla regia
A fare da apripista la statutinense Kathryn Bigelow: prima regista donna ad aver vinto un Premio Oscar alla Regia, riconoscimento avvenuto appena nel 2010.
La Bigelow debutta nel lungometraggio nel 1981, ma si fa notare nel 1990 con Blue Steel – Bersaglio mortale, e conquista il grande successo l’anno successivo con Point Break – Punto di rottura. Nel 1995, con Strange Days, la sua regia cruda e coinvolgente la porta a raggiungere un successo; e ancora di più con The Hurt Locker, che le vale sei Oscar. Con film come Zero Dark Thirty (2012) e Detroit(2017), esplora i conflitti globali, mostrando una visione intensa e senza compromessi che sfida gli stereotipi. A proposito di stereotipi. (Immagine di copertina).
Dall’Australia una esponente brillante della cinematografia aussie:Jane Campion. Se la Bigelow è stata la prima a conquistare la statuetta americana, la Campion è stata la prima donna ad aver vinto la Palma d’Oro a Cannes (ad oggi seguita da Julia DucournaueJustine Triet). Il riconoscimento è arrivato con la sua opera summa, Lezioni di piano (1993): la sua Ada (Holly Hunter), pianista muta, viene catapultata in Nuova Zelanda per un matrimonio combinato. Palpita di emozioni sublimi e vive nelle note scroscianti del suo pianoforte. Mai nessun personaggio contemporaneo ha potuto fare a meno delle parole con risultati così perfetti.
Il film ha fatto un pezzo di storia del cinema, e la Campion ha un po’ “pagato” i livelli altissimi a cui questa sua pellicola è arrivata. I film seguenti raccontano spesso di donne del passato (Ritratto di signora, Bright Star), e le sue protagoniste sono personalità forti che si affermano e si distinguono.
Nel 2021 ha prodotto, scritto e diretto l’acclamato film Netflix Il potere del cane, in cui Benedict Cumberbatch offre una interpretazione conturbante e di torturato vigore. Per questo film Jane Campion ha fatto incetta di premi e conferme: Leone d’argento alla Miglior Regia alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, due Golden Globe, tre Critics Choice Awards e due Premi BAFTA; senza dimenticare le tre candidature agli Oscar, di cui ha vinto quello come Miglior Regista. È diventata così anche la prima donna a essere nominata più di una volta per questo premio e la terza a vincerlo.
Andrea Arnold: rappresentante del cinema al femminile in Inghilterra
Il capello rosso e la frangetta cortissima e densa: Andrea Arnold, attrice, regista e produttrice inglese. Si presenta al mondo con un cortometraggio premiato agli Academy nel 2005, Wasp. Ama raccontare la realtà inglese con una preferenza per i personaggi giovani, ma si è avventurata anche in terreno americano.
Fish Tank (2009) balla ritmi hip hop di una adolescente in dichiarata ribellione e rottura con la madre, che riacquista fiducia nella vita quando incontra il nuovo compagno della madre, un Michael Fassbender che convincerebbe chiunque. Nel 2011 porta a termine un adattamento aspro, buio e veritiero, del romanzo di Emily Bronte, Cime tempestose. Mi ha spinto a rileggerlo dopo anni dal primo incontro.
Dai campi piovosi della campagna inglese, si sposta negli Stati Uniti per raccontare nuovamente di adolescenza con American Honey (2016). Le sue protagoniste sono ostinate fino all’osso, così come lo è lei, che è arrivata ad essere tra le donne registe più quotate relativamente tardi e ci sta mettendo tutta quella caparbietà che ci racconta.
Del 2021 è il bel Cow. In Televisione cura la regia di: Coming Up – serie TV, episodio 1×08 (2003), Transparent – serie TV, 4 episodi (2015-2017), I Love Dick – serie TV, 4 episodi (2017) e Big Little Lies – Piccole grandi bugie.
Del 2024 è Bird. Il film è stato presentato in anteprima al 77º Festival di Cannes.
Susanne Bier: la cineasta danese
Bird Box
Susanne Biersi forma in architettura e poi passa al cinema. Fa l’ingresso sulla scena internazionale nel 2002 con una pellicola che abbraccia la narrativa Dogma e riesce nell’intento di creare un intenso conflitto emotivo, nella complicata vicenda di tradimento raccontata in Open hearts (2002). Magistrale il contributo dei quattro attori Mads Mikkelsen, Sonja Richter, Nikolaj Lie Kaas e Paprika Steen. Nel 2004 convince il Sundance Film Festival con Non desiderare la donna d’altri, che arriva anche nelle sale italiane. Qui la Bier dirige un altro noto volto danese molto forte, Ulrich Tomsen.
Le sue storie mettono i personaggi di fronte ad amori proibiti, a sentimenti combattuti che spingono l’essere umano ai limiti dell’accettazione, del tollerabile, del concesso. Così come nel lungometraggio del 2006, Dopo il matrimonio, candidato agli Oscar. La statuetta arriva l’anno seguente con una travolgente storia che porta la giustizia ai limiti estremi, dove il bene e il male si mischiano e si scambiano di ruolo: è la volta del suo film meglio riuscito, In un mondo migliore. Nel 2012 si dedica alla commedia con risultati interessanti: alleggerisce i toni ma prosegue la riflessione sull’amore, il tradimento e la famiglia. Pierce Brosnan è il padre dello sposo in Love is all you need. In anni recenti è arrivata a Hollywood, ma mai come nella sua Danimarca ha prodotto opere di rilievo che la fanno entrare nella rosa delle registe donne più influenti.
Per la tv negli ultimi anni dirige The Undoing – Le verità non dette (The Undoing) – miniserie TV, 6 puntate (2020), The First Lady – serie TV, 10 episodi (2022). L’ultima creazione è The Perfect Couple, una miniserie televisiva del 2024, ideata da Jenna Lamia, distribuita da Netflix e tratta dall’omonimo romanzo di Elin Hilderbrand. Tra i protagonisti Nicole Kidman e Dakota Fanning.
Sofia Coppola: la donna regista figlia d’arte, collezionista di successi
Figlia d’arte riconosciuta, si muove come attrice per diverso tempo. Esordisce alla regia con Il giardino delle vergini suicide (1999), ed è subito amore. Nel 2003 scrive quello che diventerà poi un cult movie degli anni Duemila, Lost in translation: Bob (Bill Murray) incastrato a Tokyo per un video pubblicitario, conosce Charlotte (Scarlett Johansson), anche lei in città. Bellissima la relazione tra solitudini che si fanno compagnia e si muovono in una città incomprensibile. Il film riceve l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura.
A quel punto, Sofia Coppola ha già conquistato le platee internazionali, e l’uscita nel 2010 di Somewhere, anche se non egualmente ben riuscito, riceva una giusta accoglienza. La Coppola esamina qui un rapporto leggermente diverso: una paternità insolita di un viziato e ricco attore che si trova la figlia undicenne in giro per casa.
Tra le due storie, nel 2006, Sofia Coppola ha diretto Kirsten Dunst nel ruolo di Maria Antonietta (Marie Antoinette). Tornerà alle stesse atmosfere storiche nel 2017 con L’inganno, ma né questo film né il seguente On The Rocks (2020) hanno saputo eguagliare il successo dei suoi titoli più celeberrimi, malgrado la nuova collaborazione con Murray.
Il recente Priscilla (2023) invece l’ha vista adattare le memorie del 1985 ElvisandMe, scritte da Priscilla Presley con Sandra Harmon. La pellicola è stata presentata in concorso all’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ha strappato una Coppa Volpi alla performance della protagonista Cailee Spaeny, riportando Sofia Coppola al centro dei palcoscenici dei festival più prestigiosi
Le figure femminili dei suoi film sono sempre donne dalla notevole densità emotiva, non scontate, che spingono la regista ad indagare l’intimità e il non detto delle versioni pubbliche fai questi personaggi.
Ava DuVernay: non solo regista
CENTRAL PARK FIVE
Regista, produttrice, distributrice afroamericana. Ava DuVernayha contributo alla scena black con passione ed enorme dignità artistica. I suoi film sono non solo lavori magistralmente diretti, ma manifesti dell’identità culturale afro-americana, appunto. Non arriva da una formazione prettamente cinematografica e il suo talento alla regia è davvero qualcosa di innato. Si è portata a casa diversi primati, in qualità di regista donna di colore, soprattutto grazie alle due pellicole Middle of nowhere (2012), con cui vince il Sundance, e il sorprendente Selma (2014). Qui Ava DuVernay dirige David Oyelowo nei panni di Martin Luther King Jr., nella sua celeberrima battaglia per il diritto di voto.
Ecco che la produzione Netflix articolata, perfettamente documentata e intimamente toccante di 13th, arriva nella filmografia della DuVernay come un passo necessario: la regista esplora il sistema penitenziario statunitense, le disuguaglianze e le ingiustizie perpetrate nei confronti dei neri d’America, nel tempo. L’opera gli vale, senza sorpresa, la candidatura agli Oscar. A seguire, e sull’onda dell’indagine e della rivendicazione, la miniserie firmata NetflixWhen they see us, un successo anche per ciò che rappresenta: ripercorrendo la tragica vicenda dei “Central Park Five”, la DuVernay riflette sull’onnipresente razzismo della società americana. La sua voce si fa sentire.
Nadine Labaki: il cinema femminile made in Libano
Bellissima attrice e regista libanese, Nadine Labakiè il volto stesso protagonista nei film che dirige. Squisitamente perfetta nei ruoli richiesti e sensualmente presente a schermo.
Il mondo la scopre dopo il successo internazionale di Caramel (2005). Un esordio per la regista, di una delicatezza ispirante, una narrazione che non potrebbe che essere redatta da una donna, nella sua celebrazione orgogliosa della femminilità. Il racconto è anche visceralmente legato alla sua terra, il Libano appunto, un luogo di contraddizioni e fermento. L’opera seconda esce nel 2012 ed è Ed ora dove andiamo?dove la Labaki porta sul grande schermo i conflitti religiosi che segnano il suo Paese.
Il terzo lungometraggio è un successo indiscusso e mondiale. Si chiama Cafarnao – Caos e miracoli (2018), e probabilmente è riuscito a far piangere tutti quelli che l’hanno visto. Zain sta scontando cinque anni di carcere per un crimine indotto dalla vita miserabile a cui è costretto. Mentre è in prigione, denuncia i genitori per averlo messo al mondo nella disperazione, ed esser stati incapaci di crescerlo nel bene. Li porta in tribunale e dall’aula, in elissi varie, si va rivivendo la storia sofferta e polverosa della sua vita, nella Beirut dei diseredati. Il cuore grande di Zain è messo continuamente sotto pressione, e la maturità con cui affronta il pericolo e il male è disarmante.
Dopo Cafarnao, torna a dirigere durante la pandemia, uno dei cortometraggi inclusi nella raccolta Homemade, una serie antologica di 17 film brevi, ideati e realizzati durante la quarantena per COVID-19 da registi di fama internazionale, distribuita da Netflix. Contemporaneamente, Nadine Labaki non ha mai smesso di recitare.
Alice Rorhwacher: il tocco nostrano
Se Wertmüller o Cavani sono sicuramente tra i nomi più noti, Alice Rorhwacher è l’Italia contemporanea. Quale regista di lungometraggi ha mostrato un’evoluzione, un crescendo di consapevolezza narrativa e registica ammirevole.
Nel 2011 esordisce con il tenero Corpo Celeste, in cui Marta, tornata in Calabria dopo anni all’estero, affronta il suo percorso verso la cresima. Il sacramento diventa pretesto per un incontro delicato con la Chiesa di provincia e un’esplorazione dell’adolescenza, fase di cambiamenti e formazione dell’identità.
Nel 2014, conLe meraviglie, la regista racconta un ritratto largamente autobiografico di una famiglia di apicoltori in Toscana. La maggiore delle quattro figlie, Gelsomina, desidera partecipare a un programma televisivo, ma il padre si oppone fermamente. Nel frattempo, gli equilibri familiari, sospesi tra il tempo e lo spazio dei ritmi delle api, vengono scossi dall’arrivo di Martin, un ragazzo proveniente dal riformatorio, che inizia un percorso di reinserimento sociale. Un altro tuffo nell’adolescenza, quella di ragazzi fuori dalle righe, che cercano di adattarsi a un sistema che non condividono completamente.
Nel 2021 e nel 2022, dirige i cortometraggi Quattro strade e Le pupille, quest’ultimo presentato a Cannes e candidato agli Oscar. Con i film brevi, il primo girato durante la pandemia in pellicola e il secondo, una perla storica con giovanissime attrici non professioniste, Alice Rorhwacher indaga la narrativa breve con effetti straordinari. In un certo senso le sue opere più corte, sono anche le più dense di spunti. Impossibile considerarle una pausa tra i lungometraggi o una leggerezza narrativa, hanno lo stesso identico carisma e meritano la medesima considerazione.
Nel 2018 Rorhwacher dirige Adriano Tardiolo in Lazzaro Felice, un film che ha fatto letteralmente il giro del mondo, e offre un racconto senza tempo sulla “banalità del male” e la purezza del bene. Ma i successi non si fermano qui: nel 2023 arriva La Chimera, un omaggio all’Italia, e ancora di più alla Toscana, nelle sue radici più antiche. È un film che si inchina davanti alla magia del tempo con una poesia molteplice, a tratti visionaria, e uno straordinario Josh O’Connor nei panni di un elegante e squattrinato furfante ammaliato dal tempo. Il film vince tutto, e dove non vince fa record di candidature, conquistandosi un posto d’onore tra i migliori film del 2023.
Habituée del Festival di Cannes (Grand Prix della Giuria e poi Miglior Sceneggiatura), con i suoi modi pacati e la sua dialettica moderata, osservatrice, Alice Rorhwacher ha portato la provincia italiana nel mondo. E si è fatta portavoce della scoperta dei sentimenti e dei bisogni del popolo nei suoi personaggi candidi e fallibili.
Greta Gerwig alla reception del film ‘Barbie’ – Creative Commons
Greta Gerwig: la donna regista più chiacchierata
Grande sorpresa degli anni recenti, Greta Gerwig viene dalla recitazione e ha militato fruttuosamente nel movimento indie americano degli anni 2000. La sua faccia resterà a lungo incollata al ruolo di Frances Ha (2012) di Noah Baumbach, che miglior interpretazione, così fresca genuina ed esilarante, di rado si è vista.
Poi, nel 2017, scrive e dirige Lady Bird, ed è subito amore. È una pioggia di consensi da ogni parte, critica e pubblico: Christine, in arte Lady Bird, fa innamorare con i suoi deliri adolescenziali e la sua cocciuta ricerca dell’università lontano da casa. Amicizie che vanno e che vengano, litigi sanguigni con la madre, la verginità e le menzogne. La commedia drammatica di Gerwig è ottimamente scritta e femminilmente diretta, così come deve essere.
Alla seconda opera Gerwig rimane tra donne, perché porta sullo schermo la sua versione di Piccole donne (2018); nel cast delle sorelle, nuovamente Saoirse Ronan, ma anche Emma Watson, Florence Pugh ed Eliza Scanlen. Tutto il lavoro degli attori è stato ritenuto eccellente, così come la regia: questa donna regista con la sua arte, spettina i colleghi uomini più maturi.
Con Barbie (2023) esplode e manifesta tutto il suo potenziale affermandosi come una delle registe più potenti di oggi. Pop, sfacciata, talvolta grossolana, volutamente tagliente: non si può non parlare di Barbie e non si può non parlare di Ken (Ryan Gosling). Dove tutto sguazza negli stereotipi e ci si annega, Barbie surfa sul successo, portando a casa otto nominations e un Oscar.
Vivian Qu: dall’Asia con furore
Facendo un salto nel lato asiatico del mondo, nominiamo questa produttrice esperta e regista donna attenta dalla Cina: Vivian Qu. Anche la sua è una filmografia ridotta, ma siamo attenti, in questa lista, a dare voce ai talenti emergenti.
Vivian Qu azzecca due produzioni, scoprendo il regista Diao Yi’Nan che sostiene nell’acclamato Fuochi d’artificio in pieno giorno (2014). Quando passa alla regia, inizia con un dramma intimista dal titolo Trap Street (2013), ambientato a Nanchino, dove un ragazzo che fa rilievi per mappe si imbatte in una ghost street. Non mappata, introvabile, innominabile. In quella strada incontra una oscura donna, e via di ulteriore mistero.
Un avvio interessante, ma mai quanto la sua ultima produzione: un film straordinario su un tema delicatissimo, Angels wear white (2017). Vivian Qu racconta di pedofilia, nella Cina dell’omertà e del potere gerarchico. E lo fa con una bellissima narrazione realizzata dagli occhi della vittima adolescente, che vittima non si può sentire fino in fondo perché costretta a normalizzare la sua esperienza per imposizione del sistema. Un prodotto incredibile: coraggioso, delicato e premuroso allo stesso tempo.
L’ultima opera firmata da Vivian Qu ha concorso alla 75° edizione del Festival di Berlino; si chiama Girls on Wire (2025) dove torna su i temi di Angels wear whitee sul concetto di trauma.
Chiudiamo la selezione ridotta delle dieci migliori registe nominando una coppia all’undicesimo (e dodicesimo) posto.
Come poter escludere le signore Lana e Lilly Wachowski dalla lista delle migliori registe donne? Bè, non si tratta di discriminazione. Pur orgogliosamente sostenendo le rivendicazioni messe in piazza dal #MeToo, e quindi in realtà proteggendo anche la categoria LGBTQIA+, qui abbiamo tuttavia scelto di includere quelle registe che hanno dovuto combattere per un riconoscimento carente di tinte rosa, e aggiudicarsi uno spazio di affermazione all’interno di un sistema carente in inclusività. O per citare Michela Murgia, abbiamo nominato donne che hanno avuto a che fare con la…
[…] maledizione di Ginger Rogers, secondo la quale devi saper fare tutto quello che fa Fred Astaire, ma all’indietro e sui tacchi […]
Per quanto siano titolari di opere straordinarie, Lana e Lilly Wachowski nascono come “i fratelli Wachowski”, e così dirigono la trilogia del memorabile Matrix. Il cinema mancherebbe di un pezzo di cuore se Matrix non fosse stato creato.
La loro transizione porta incredibile orgoglio e riconoscimento al transgender e una notevole sensibilizzazione alle questioni di genere. Che come si è potuto notare, hanno innumerevoli sfumature di rosa, tanto che si spingono fino al fluo con i rasta.