Il 14 luglio 1918, nascevaIngmar Bergman, uno dei più grandi registi europei. Oggi molti dei suoi film sono disponibili su YouTube. La filmografia del regista svedese è tra le più complesse al mondo e per molti aspetti il suo stile si avvicina molto ad un altro grande maestro del cinema, Federico Fellini.
I film dei due registi, solo ad una visione superficiale, possono apparire diversi, in realtà la loro attività cinematografica ha diversi punti in comune.
La principale caratteristica, che accomuna Bergman a Fellini, è la stessa volontà di nutrire la loro vena artistica, con il vissuto, o meglio con i fantasmi che persistevano il loro inconscio e il loro mondo onirico.
Bergman, in ogni modo, a differenza di Fellini, rivolge la sua attività cinematografica, verso una direzione più psicoanalitica, aspetto che senz’altro interessava meno il regista de Ladolce vita.
L’ora del lupo
L’ora del lupo(1968) è uno dei film di Bergman, che segue questa direzione.
Il protagonista è Johan (Max von Sydow), pittore di grande fama, che vive con la moglie Alma (Liv Ullmann) isolato dal mondo. Marito e moglie, entrano in contatto con vari personaggi, tra cui i baroni, proprietari dell’isola dove vivono. Ma Johan sembra precipitare in un vortice di ossessione e pazzia, perseguitato da oscuri personaggi, partoriti dal suo inconscio. La moglie cerca di aiutarlo, ma anche lei rischia di essere risucchiata nella malattia del marito.
Questo film di Bergman, poco conosciuto, ma comunque molto interessante, è un viaggio nella mente malata di un uomo divorato dalla sua stessa arte.
L’ora del lupo, inoltre, ha anche alcuni elementi autobiografici, anche il regista, infatti, nel corso della sua vita, non è stato esente da problemi di carattere mentale.
Bergman in questa pellicola, alterna sequenze reali, ad altre di carattere immaginario e onirico. In alcuni momenti, lo spettatore ha difficoltà ad individuare la natura delle immagini che vede scorrere sullo schermo.
Personaggi che sembrano appartenere al reale, come i baroni, sembrano mutarsi nei fantasmi che popolano la mente malata di Johan.
Interessante è la sequenza della cena nel castello, che ricorda, anche se solo vagamente, le avventure di Marcello tra la nobiltà annoiata di Roma, in La dolce vita di Federico Fellini.
Ma Bergman va oltre. Le sue immagini sono molto più violente. E soprattutto la fotografia è molto più estrema. Un bianco e nero,che in alcuni momenti abbaglia lo spettatore e per alcuni aspetti si avvicina al cinema underground.
L’ora del lupo, non è certo il primo film di Bergman dedicato all’animo umano e non è nemmeno il più sperimentale.
Persona
Persona, di due anni prima, tratta lo stesso tema ed è probabilmente il film più sperimentale del regista.
Protagonista è l’attrice Elisabeth Vogler (Liv Ullmann) che durante uno spettacolo teatrale non riesce più a parlare. Ricoverata in un ospedale psichiatrico, viene riconosciuta sana fisicamente e mentalmente, scegliendo consapevolmente di non parlare più.
Elisabeth viene affidata alle cure di Alma (Bibi Andersson), una giovane e buona infermiera.
Le due donne vivono un periodo di completo isolamento in una villa in riva al mare.
Tra Elisabeth e Alma inizia a crearsi un rapporto molto forte, di totale simbiosi. Alma racconta i suoi segreti più intimi e il loro rapporto diventa sempre più forte. Ma alla fine del film le due donne lasciano separatamente la villa e tornano alla loro vita.
È questo il film più complesso di Bergman, il cui intento sperimentale è dichiarato sin dal principio.
Le sequenze iniziali sono formate da immagini, che possono essere considerate frammenti dell’inconscio umano.Queste sono apparentemente slegate. Una lampada che si fulmina, una croce con dei chiodi, un ragazzo che tende le mani verso una figura femminile e poi un cadavere.
Ma il regista con Persona, scopre la finzione messa in atto dal linguaggio cinematografico e avverte lo spettatore che il tutto è finzione, il cinema è finzione.
Bergman con Persona, arriva ad un linguaggio cinematografico estremo, ma l’argomento affrontato è uno dei più classici e cioè il conflitto tra l’essere e l’apparire.
Estremamente interessante è il rapporto che si viene a creare tra le due donne. Elisabeth e Alma sembrano fondersi in un unico individuo, in unica persona ( evidente è il riferimento del titolo al termine latino persona, che significa personaggio).
Il regista ci mostra questo processo di simbiosi delle due donne, con particolari movimenti della macchina da presa, dove i loro volti si sovrappongono.
Come in uno specchio
Bergman affronta i problemi che attanagliano la psiche umana anche in film per nulla sperimentali e che per molti aspetti rientrano di diritto nel cinema narrativo convenzionale.
È il caso di Come in uno specchio (1961), vincitore del premio Oscar, come miglior film straniero.
La storia si svolge su un isola nel mar Baltico, dove una famiglia ha deciso di trascorrere le vacanze. I protagonisti sono Martin (Max von Sydow) e la sua compagna
Karin (Hariett Andersson), accompagnati da Minus (Lars Passagard), fratello di Karin e David, il padre dei de due.
La ragazza è appena uscita da un ospedale psichiatrico ed ha un rapporto morboso con suo fratello, al quale confida le proprie allucinazioni di carattere mistico.
Ogni personaggio crede di leggere l’animo degli altri e il disagio sociale e mentale in cui vivono.
I protagonisti vengono messi a confronto con dilemmi metafisici.
Come in uno specchio, Bergman dà risalto, oltre alla psiche umana, ad un altro tema, anch’esso di natura autobiografica: Il rapporto dell’uomo con Dio. Essendo figlio di un pastore luterano, Bergman ha a lungo riflettuto sull’esistenza di Dio e questo film non è altro che un invito a riflettere. Il regista abbandona ogni effetto virtuoso, sia per quanto riguarda lo stile, scegliendo una regia sobria, sia per quanto riguarda la narrazione, scegliendo un percorso lineare, senza salti temporali. Il suo principale obbiettivo, in questo caso, è porre delle domande e non vuole distrarre lo spettatore.
Luci d’inverno
Ingmar Bergman continua il suo discorso sul rapporto uomo / Dio con Luci d’inverno (1963), che insieme a Come in uno specchio e Il silenzio (1963), formano la trilogia del silenzio di Dio.
Luci d’invernoè molto simile a Come in uno specchio, ma con questa pellicola il regista pone con più risalto il tema, scegliendo come protagonista un pastore protestante, interpretato da Gunnar Bjornstrand. Il pastore è inquieto e si tormenta con delle domande sulla natura dell’esistenza Dio.
A differenza di Come in uno specchio, Luci d’inverno ha una narrazione più frammentaria, che si interrompe in diversi punti, ricorrendo a diversi flashback e anche la regia è più dinamica.
Interessante è la sequenza dove Marta (Ingrid Thulin), la donna che ama il pastore, legge una lettera. Questa appare in uno spazio extradigenico, come una sorta di corollario del film.
Scene da un matrimonio
Un altro tema ricorrente in Bergman è il rapporto di coppia, che affronta in diversi film, il più importante è senza dubbio Scene da un matrimonio (1973). Inizialmente il film venne realizzato in un formato televisivo, composto di 6 episodi e successivamente, venne presentato anche al cinema.
Protagonisti sono Johan (Erland Josephson) e Marianne (Liv Ullmann), sposati da circa dieci anni. I due sembrano una coppia felice, ma ad un certo punto Johan s’innamora di una ragazza molto più giovane di lui e lascia la moglie. Marito e moglie decidono di intraprendere il percorso del divorzio, ma intanto continuano a vedersi e a desiderarsi sessualmente. Il film termina con Johan e Marianne, che si rivedono dopo molto tempo, e finiscono a letto insieme, tradendo i loro nuovi rispettivi coniugi.
Scene da un matrimonio è da apprezzare soprattutto per l’interpretazione dei due protagonisti, che risulta notevole. Ma il film è interessante anche a livello sociologico, raccontando come una coppia svedese, o comunque del nord Europa, possa vivere l’esperienza del divorzio e come questa affronti problematiche legate alla sessualità, soprattutto femminili. Temi questi ancora tabù nell’Italia degli anni ‘70.
Un’ estate d’amore
Il tema del rapporto di coppia, o comunque dell’amore, Bergman lo aveva affrontato anche all’inizio della sua carriera da regia, in Un’ estate d’amore (1951).
Protagonista del film è Mariè, che riceve un plico contenente il diario di Henrik, un giovane amato circa dieci anni prima e morto in un incidente. Mariè, senza dire nulla a nessuno, si reca allo chalet, dove aveva vissuto quella storia d’amore, che ci viene raccontata attraverso un flashback.
Il film appare una comune commedia sentimentale, ma sul finale lo spettatore percepisce come la bella Mariè, vive e ha vissuto un vero trauma. La sua bellezza è sfiorita nel ricordo di quell’amore giovanile, ed ella non sarà mai più capace di amare.
Fanny e Alexander – Crisi
L’ultimo film di Bergman è Fanny e Alexander (1982), che vinse 4 premi Oscar.
Il film è ambientato nei primi anni del Novecento, e racconta la storia dell’agiata famiglia degli Ekdahl. Il tutto viene visto soprattutto attraverso gli occhi innocenti dei bambini Fanny e Alexander.
È Crisi, invece il primo film di Bergman, che il regista, realizza nel 1946, quando il regista aveva solo 28 anni.