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I migliori film di Vittorio De Sica

Un omaggio a uno dei padri del Neorealismo italiano. Attore, grande regista e sceneggiatore

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Il 7 luglio del 1901 nasceva uno dei padri del Neorealismo, Vittorio De Sica.

Ripercorriamo la sua filmografia.

Autore di film indimenticabili come Sciuscià, Ladri di biciclette e Miracolo a Milano, in patria il suo talento non fu immediatamente compreso ed è diventato un simbolo del cinema mondiale soprattutto per il successo suscitato all’estero.  I suoi film Sciuscià, Ladri di biciclette, Ieri, oggi, domani e Il giardino dei Finzi Contini hanno vinto l’Oscar al miglior film in lingua straniera, premio al quale fu candidato anche Matrimonio all’italiana.

Le sue pellicole hanno inizialmente indignato il mondo politico nostrano, che voleva dare dell’Italia un immagine falsata, di un paese ormai uscito dalla devastazione della guerra.

I primi passi nel mondo del cinema

Dopo una lunga carriera come attore, iniziata nel 1917, con Il processo Clémenceau diretto da Alfredo De Antoni, Vittorio De Sica, negli anni ‘40, decide di passare alla regia.

I suoi primi film, nei quali continua a essere anche interprete, sono  ambientati in collegi e conventi: Maddalena… zero in condotta (1940) e Un garibaldino al convento (1942).

Con queste sue prime opere, Vittorio De Sica si colloca a metà strada tra la commedia sentimentale e il cinema dei telefoni bianchi. Progressivamente egli limita il suo ruolo di attore, acquisendo maggiore autorevolezza come regista.

I bambini ci guardano

La svolta avviene quando il fascismo è al potere e il conflitto mondiale ancora in corso. È la fine del 1942 e l’inizio del 1943, quando Vittorio De Sica inaugura il suo sodalizio con lo sceneggiatore Cesare Zavattini, realizzando I bambini ci guardano, tratto dal romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola.

Il film conserva ancora alcuni tratti distintivi della commedia sentimentale, ma anticipa lo stile del cinema neorealista. Inoltre, I bambini ci guardano precorre temi di carattere filosofico, che verranno approfonditi anni dopo da Michelangelo Antonioni.

Pricò (Luciano De Ambrosis) è un bambino che osserva con innocenza  la dissoluzione della sua famiglia, causata dalla relazione della mamma (Isa Pola) con un altro uomo, Roberto (Adriano Rimoldi). Un giorno la donna scappa con Roberto, abbandonando marito e figlio. Il padre di Pricò (Emilio Cigoli), per evitare traumi al piccolo, lo porta dalla zia. Successivamente il bimbo si ammala gravemente e ritorna a casa sua, dove ritrova la madre. Per recuperare la serenità famigliare, padre, madre e figlio si recano in vacanza. Marito e moglie sembrano aver ritrovato la loro stabilità, ma poi la donna resta sola in vacanza con il figlio e Roberto riesce a rintracciarla. I due riprendono la loro relazione. La donna lascia nuovamente la sua famiglia e scappa con l’amante. Il marito abbandona il figlio in un collegio religioso e poi si suicida. Il giorno in cui la madre si reca al collegio per prendersi cura di Pricò, lui si rifiuta di seguirla, preferendo la solitudine del collegio.

La coppia Zavattini – De Sica realizza un’ opera molto coraggiosa. In piena epoca fascista, i due autori mettono in pratica una severa critica alla famiglia borghese. Attraverso gli occhi del bambino ci vengono mostrate le malefatte degli adulti. Il film percorre una strada diametralmente opposta alla propaganda di regime. La donna non è certo l’angelo del focolare e il tragico gesto del marito conferma la volontà del regista di smascherare le falsità del fascismo sul ruolo della famiglia.

Sciuscià

L’attività cinematografica di Vittorio De Sica continua con Sciuscià (1946). Sono ancora i bambini i veri protagonisti, una costante del suo cinema fino a Ladri di biciclette.

Pasquuale (Franco Interlenghi) e Giuseppe (Rinaldo Smordoni) lavorano come lustrascarpe nel centro di Roma. Hanno una passione in comune, i cavalli. Ma senza volerlo vengono coinvolti in un furto a casa di una chiromante e condotti al carcere minorile. I ragazzi, rinchiusi in celle diverse, vengono indotti dagli adulti a tradirsi. Il film termina con la fuga dal carcere e la morte di uno dei protagonisti.

Sciuscià, con il sottotitolo Ragazzi, viene considerato uno dei primi capolavori del neorealismo e fu il primo film di Vittorio De Sica a vincere il Premio Oscar. La pellicola, che sembra avere un impianto favolistico, racconta aspetti reali della società italiana dell’immediato dopoguerra.

L’idea di realizzare questo lungometraggio venne a Vittorio De Sica quando conobbe due ragazzini, che vagavano nei pressi di via Veneto, facendo appunto i sciuscià. E anche la presenza del cavallo bianco, che potrebbe essere scambiata come un trovata fantasiosa, è in realtà tratta dal vissuto reale di questi due ragazzini, che giravano nel cuore di Roma in groppa a un cavallo.

Con Sciuscià, De Sica riconferma la strada intrapresa ne I bambini ci guardano, e ci mostra ancora il mondo degli adulti attraverso gli occhi dei bambini. Il contesto è quello post- fascista, ma la sostanza delle cose non è molto differente dal regime mussoliniano.

Sciuscià è un film con un forte messaggio sociale che fa luce sul problema della detenzione dei minori, mentre propone il tema dell’abbandono.

Ladri di biciclette

La definitiva consacrazione di Vittorio De Sica arriva nel 1948 con Ladri di biciclette, che prende spunto dal romanzo di Luigi Bartolini.

Il film è ambientato a Roma. Il protagonista è Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), un disoccupato, che trova lavoro come attacchino. Per lavorare, però, deve possedere una bicicletta e la sua è impegnata al Monte di Pietà. La moglie Maria (Lianella Carell) è costretta a dare in pegno delle lenzuola per riscattare la bicicletta. Ma proprio il primo giorno di lavoro  gli viene rubata. Il povero operaio si reca alla polizia per denunciare il furto, ma si rende conto che le forze dell’ordine non potranno aiutarlo e decide di fare da solo. Con l’aiuto di un suo amico e il piccolo Bruno (Enzo Staiola), si mette alla ricerca della preziosa bicicletta.

Ladri di biciclette è considerato da molti uno dei film più belli della storia della cinematografia mondiale e diede modo a Vittorio De Sica di ottenere il suo secondo Oscar. Il regista, ancora una volta, decide di usare lo sguardo di un bambino per rappresentare il mondo ingiusto e crudele degli adulti. Ma come in Sciuscià, De Sica e Zavattini, che fece un grande lavoro per riadattare il romanzo di Bartolini al linguaggio cinematografico, non rinunciano alla denuncia sociale.

Il film è un ritratto della società italiana del secondo dopoguerra, quando la stragrande maggioranza della popolazione viveva nella miseria più estrema. E se oggi, il furto di una bicicletta può essere considerato un atto di poco conto, allora era una vera tragedia.

Con questo film De Sica mette in pratica una delle caratteristiche principali del suo cinema, il pedinamento del personaggio. La macchina da presa, senza mai cedere ad effetti virtuosi, diventa uno strumento ideale d’indagine, socio-economica e drammatica.

Miracolo a Milano

Dopo il successo internazionale di Ladri di biciclette, Vittorio De Sica temeva che il Neorealismo diventasse una formuletta convenzionale e sentì il bisogno di andare oltre. E senza abbandonarlo del tutto, decise di usarlo in una cornice favolistica, realizzando Miracolo a Milano (1950).

Totò (Francesco Golisano) viene trovato sotto un cavolo da Lolotta (Emma Grammatica). Passano gli anni, Lolotta si ammala e muore. Totò viene portato in un orfanotrofio, da dove esce dopo aver raggiunto la maggiore età. Girando per la città di Milano, Totò cerca lavoro e si imbatte in Alfredo (Arturo Bragaglia) che, dopo aver rubato la valigia al giovane ingenuo, lo invita a casa sua. Un riparo di fortuna realizzato con vecchie lamiere. Col passare dei mesi, Totò, insieme a tanti altri barboni, dà vita a un vero villaggio, dove chi non possiede più nulla è il benvenuto. In occasione della festa, che inaugura la baraccopoli, si scopre che nel terreno sottostante c’è il petrolio. Rappi (Paolo Stoppa) informa Mobbi (Guglielmo Barnabò ), un ricco e potente industriale, che arriva subito e, con l’aiuto di un proprio esercito, vuole scacciare i barboni. Ma sotto forma di angelo, giunge dal paradiso Lolotta che consegna a Totò una colomba magica in grado di realizzare ogni tipo di desiderio. L’esercito di Mobbi riesce comunque a deportare tutti i barboni, che vengono trasportati in alcuni carri a Piazza del Duomo, ma sempre con l’aiuto di Leolotta, e questa volta anche di Edvige (Brunella Bovo), Totò usa il potere della colomba per liberare i suoi amici e volare in cielo a cavallo delle scope rubate ai netturbini.

Il regista anche per questo film decide di mostrare il mondo attraverso gli occhi di un bambino. Questa volta un bambino un po’ cresciuto, ma poco cambia. Totò, infatti non ha perso la sua ingenuità e la sua innocenza.

Miracolo a Milano fu un altro successo internazionale di Vittorio De Sica e con questo film si aggiudicò il Grand Prix du Festival a Cannes, mentre in Italia fu un fiasco completo e venne osteggiato anche dal mondo politico, sia di destra che di sinistra.

Umberto D.

Nel 1952 il regista realizza la sua opera più dura, Umberto D. Il film, che venne candidato alla Palma d’oro, rappresenta il ritorno di De Sica al Neorealismo puro.

Umberto Domenico Ferrari (Carlo Battisti), uomo anziano che tira avanti con una misera pensione, non riesce a pagare l’affitto di una piccola camera ammobiliata. Trascorre le giornata svendendo i pochi suoi averi per racimolare una piccola cifra per saldare un debito con Antonia (Lina Gennari), la padrona di casa. Umberto, senza famiglia, riesce ad avere un vero rapporto solo con Maria (Maria Pia Casilio), la servetta di casa, e con Flaik, il suo inseparabile cane.

Umberto Domenico Ferrari non è un bambino, ma viene trattato come tale dagli altri personaggi del film. Maria è l’unica a dimostrare un minimo d’affetto per Umberto,  ma lo tratta come un bambino, che non è in grado di comprendere le sue disavventure amorose.

Con questo film, Vittorio De Sica abbandona la classe sociale del proletariato e torna a descrivere il mondo della piccola borghesia, come aveva fatto con I bambini ci guardano. Ma questa volta è una borghesia povera, che non  riesce più a vivere ma solo a sopravvivere.

Per questo motivo, il film ebbe non pochi problemi con il mondo della politica. E un giovane Giulio Andreotti, allora sottosegretario alla cultura, accusò Vittorio De Sica di dare un’immagine negativa della società italiana.

Vittorio De Sica e Napoli

L’oro di Napoli del 1954  è una pellicola suddivisa in sei episodi, tra i quali spicca il primo, intitolato Il guappo con protagonista Totò, che interpreta il personaggio di Don Saverio, costretto a subire le angherie di un amico prepotente; e anche il secondo,  Pizza a credito, con Sofia Loren, nei panni di una procace piazzaiola.

Il film ha comunque un cast d’eccezione: oltre a Totò e alla Loren ci sono lo stesso Vittorio De Sica, Eduardo De Filippo, Paolo Stoppa e Tina Pica.

Altri film di De Sica da ricordare, ambientati nella città di Napoli, sono Matrimonio all’italiana (1964), tratto da Filomena Marturano, lavoro teatrale di Eduardo De Filippo, con protagonista Marcello Mastroianni, che interpreta il personaggio di Domenico Soriano, un ricco pasticciere e impenitente donnaiolo e Sofia Loren, nei panni di una prostituta, che da anni è legata sentimentalmente a Domenico.

Vittorio De Sica decide di ambientare a Napoli anche il primo episodio di Ieri, oggi, domani (1963), intitolato Adelina. Protagonisti sono ancora una volta Marcello Mastroianni e Sofia Loren. Lui un perenne disoccupato e lei una venditrice abusiva di sigarette, che evita il carcere con una lunga serie di gravidanze.

La ciociara e Il giardino dei Finzi Contini

 

Con Vittorio De Sica, Sofia Loren interpreta anche La ciociara (1960), film che consentì all’ attrice napoletana di vincere l’Oscar nel 1962. La pellicola,  tratta dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, ha come protagonista Cesira (Sofia Loren) che per scappare dai bombardamenti su Roma, durante la seconda guerra mondiale, intraprende un lungo e faticoso viaggio per raggiungere il villaggio dove è nata, nei pressi di Fondi.

Vittorio De Sica, con questo film, ha il merito di affrontare un tema poco conosciuto della seconda guerra mondiale: le violenze, che una parte delle forze degli Alleati, misero in atto nel basso Lazio, crimini che sono stati definiti con il termine “marocchinate”.

Il film è disponibile su Rai Play Link

Vittorio De Sica ottiene un altro Premio Oscar nel 1972 con il film Il giardino dei Finzi Contini (1970), tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani.

Il film è ambientato a Ferrara e racconta le disavventure di una ricca famiglia ebrea, durante il regime fascista. Il film si sviluppa su due diversi binari narrativi. Uno di carattere intimo, dedicato alla tormentata storia d’amore, che vivono i due giovani protagonisti;  l’altro, di carattere politico, dedicato alla persecuzione degli ebrei da parte del regime fascista.