Se si iniziasse a raccontare “c’era una volta Hanna…” per parlare della serie Amazon Prime Video che ha preso il largo nel 2019 a partire dal film di Joe Wright del 2011, non si sarebbe poi così lontani dal catturare lo spirito giusto dell’opera. Perché Hanna, film e prima stagione, si sono distinti nel marasma di oggetti dal carattere di spy-story identitaria proprio per la volontà di unire l’aspetto spionistico a quello favolistico, agevolati da una trama (la ragazza del titolo è allevata dal padre -ex agente CIA- come un soldato, nelle terre dure e desolate della Finlandia, fino a che non si trova attratta dall’emotività della cultura, pronta quindi a provare ad entrare nel mondo civilizzato ma braccata da una spietata agente dell’intelligence deviata) che univa con equilibrio e naturalezza i due poli opposti della struttura narrativa. Ma proprio quella prima stagione aveva qualche cedimento nel dover far fronte ad un confronto impari con il film capostipite, essendo a tutti gli effetti un reboot e riprendendone i temi ma variando in qualche modo i contorni caratteriali dei protagonisti, rivelandosi una sorta di world building che, per natura, era magmatico e a volte disordinato.
ALLARGARE I CONFINI
Hanna seconda stagione parte quindi agevolata: perché già i primi otto episodi precedenti avevano messo sul tavolo pedine e strategie, costruendo misteri e seminando tracce per attirare lo spettatore nel mondo selvaggio e violento della protagonista (una bravissima quanto efficace Esme Creed-Miles). La nuova stagione, quindi, disponibile con i suoi successivi otto episodi su Amazon Prime Video dal 26 giugno, parte da dove si era interrotta la storia: con la giovane protagonista che scopre le tantissime altre super soldatesse potenziate come lei dal programma della Ultrax Regenesis, ma con la decisione di tutte loro di seguire l’esercito americano ad eccezione solo della recluta 249, Clara, che decide di restare con Hanna. Non solo Bourne e derivati, ma anche una buona dose di echi fumettistici -non sono pochi i personaggi di carta che devono fare i conti con il proprio passato e la propria natura identitaria artificiale, a partire dal celebre Wolverine- fanno sì che allora questa nuova release bypassi quel dualismo che era nel film e nella prima serie (spionaggio e favola) facendolo lentamente scivolare in un altro tipo di contrapposizione non meno affascinante dal punto di vista emotivo e narrativo. È in questo modo che Hanna 2 allarga allora i confini del suo mondo, derivativo ma non troppo, regalando nuove profondità al carattere dei personaggi ma soprattutto calcando sul mood dell’opera, fondata su violenti e decisi scontri degli opposti: natura selvaggia contro tecnologia modernissima, determinismo contro libero arbitrio, etica contro assolutismo. I primissimi minuti del primo episodio, infatti, presentano bene quello che sarà il sentiero degli avvenimenti che seguiranno: una natura selvaggia ed incontaminata, ripresa con un digitale spintissimo, nella quale si intrufola un oggetto altro, un drone militare, e una sorta di nascondino esistenziale che nasce dalla contrapposizione dei due estremi (Hanna e Marissa, una presentata come una forza della natura, l’altra proposta come soldato spersonalizzato).
Gli episodi successivi non faranno altro che sviluppare la trama tenendo bene a mente quest’incipit: con un’alternanza del ritmo e degli scenari così netta da risultare però fin troppo a tema.
SUPERARE I LIMITI
Di fatto, la nuova stagione di Hanna supera i problemi della prima delineandone meglio i contorni psicologici, e si arena solo a tratti quando i risultati emotivi e scenici non riescono ad eguagliarsi: certo, la sua scrittura era avvantaggiata come abbiamo visto dal fatto che il mondo all’interno del quale si dovevano muovere i protagonisti era già bello che compiuto, quindi si trattava solo di lasciare muovere liberamente i personaggi e vedere in che modo i caratteri avrebbero interagito e come la situazione si sarebbe sviluppata. La vicinanza narrativa con Jason Bourne e il suo cote letterario si fa sentire, ma la bella prova di tutti gli attori e una scrittura decisa unita ad una messa in scena sontuosa fanno sì che la serie trovi una sua personalità e un suo respiro, autonomo e ben definito.
E se sia Hanna che Marissa, con relative sequenze ed episodi dedicati ad una o all’altra, cannibalizzano tutto il resto, è certo merito di una sceneggiatura raffinata e precisa che, come visto sopra, decide di tessere le sue trame come una spola che si muove impazzita tra i due estremi.
In questo modo, per la prima volta, le piccole mancanze della storia (che ha un leggero stallo narrativo ma a favore dell’approfondimento) diventano pregi, trasformano l’attesa di una prossima nuova stagione in un bisogno entusiasmante.